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Fabrizio Mari - I Fiori e le Candele, Racconto della settimana 12-19/07/2008

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Andbeat
view post Posted on 12/7/2008, 16:10     +1   -1




Fabrizio Mari - I Fiori e le Candele

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Racconto della settimana 12-19/07/2008





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Carlo si versò la bottiglia di acqua del rubinetto che tolse dal frigorifero semivuoto. Si avvicinò alla finestra e guardò attraverso le tendine ingiallite una madre che, chinata, stava raccogliendo una piccola pallina colorata, probabilmente lanciata dal figlioletto poco distante da lei.



Per un attimo guardò le belle sue gambe tornite ed abbronzate e si fermò forse più di un istante ad indagare nella scollatura generosa che pareva gli si offrisse in dono, come si farebbe con un mazzo fragrante di gigli appena colti.



Si allontanò dalla finestra e ripose la bottiglia in frigorifero.
In quel preciso istante sentì aprirsi la porta.



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Era Lucia, con una striminzita borsa gialla di plastica.
La posò sul tavolo della cucina e poi si avvicinò a Carlo, che baciò teneramente sulla bocca.



Carlo tentò di cingerle i fianchi, ma Lucia si divincolò malamente, andando a sbattere con un ginocchio contro l’unica sedia presente nella cucina.



Carlo la guardò con un’aria a mezza strada tra l’inebetito e lo stupito.
Lucia gli disse che andava a farsi una doccia e che poi sarebbe andata subito a letto, perché aveva dei dolori alla schiena.



Carlo allora, avvicinandosi, le chiese se poteva fare anche lui la doccia con lei, ma Lucia, infuriata, non gli rispose per niente, limitandosi ad affibbiargli un sonoro ceffone; entrò nel bagno, chiudendo la porta a chiave dietro di sé.

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La porta d’ingresso si aprì di nuovo ed entrarono Erika e Jessica; salutarono Carlo e chiesero dove fosse la mamma, perché dovevano parlarle urgentemente. Erika urlava, tenendo l’orecchio destro incollato alla porta del bagno e Lucia rispondeva a monosillabi con una voce strozzata, quasi stesse singhiozzando.



Alla fine mise la testa fuori e dal bagno uscì una nuvola rarefatta che invase tutto l’ingresso: i suoi occhi dicevano che aveva appena smesso di piangere.



Intanto Carlo e Jessica, noncuranti di tutto quel baccano, erano andati in camera di lei...
Carlo ebbe anche il tempo di accendersi una sigaretta.



All’improvviso successe il finimondo; Erika cercò di separare la sorella dalle mani di lui e lui non fece in tempo a posare la sigaretta che si vide arrivare proprio nel mezzo del corpo in abbandono un libro grosso e pesante.



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Lucia uscì dal bagno e cercò pure lei di allontanare la figlia minore da Carlo, che aveva già slacciato la camicetta gialla di quella furia impertinente in carne ed ossa di nome Erika.



Quella stessa sera nemmeno una sillaba furtiva uscì da quelle tre bocche, quasi fossero state sigillate col mastice, e i sei occhioni, ricolmi d’acqua, parevano intenti a contare, ad una ad una, le penne in bianco, scaraventate nei piatti come si fa coi panni da lavare.

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Carlo, appena ebbe ingollato l’ultimo pezzetto di pane, si alzò, si mise in fretta il piumino azzurro ed in un battito di ciglia si ritrovò in mezzo alla strada silenziosa.



Girovagò tanto in lungo e in largo che quasi perse l’orientamento e poi, dovevano essere quasi le tre di notte, rientrò in casa. Nella camera, decorata come tutte le sante sere, fiori di campo e candele colorate emanavano un profumo così acre che aveva inondato tutto l’angusto appartamento.



Le tre donne, che, nell’attesa, stavano in dormiveglia nel letto, si alzarono quasi telecomandate e gli si misero intorno con fare lussurioso.



Tutto finì quando anche la candela un po’ più alta delle altre emise l’ultima flebile luce verdognola. L’indomani le tre donne andarono a lavorare, mentre, nel letto, Carlo, beato e soddisfatto, si accese una sigaretta.



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Lucia andava a capo chino, scansando gli sguardi che si sentiva appiccicati addosso, come tante mignatte pronte a succhiarle con fiera avidità il sangue.



Si fermò, perché udì un ragazzino, avrà avuto sì e no cinque anni, che la stava chiamando dalla finestra.
Lei sorrise, guardandolo con tenerezza e, poi, come se avesse tenuto per troppo tempo gli occhi sollevati, li schiacciò di nuovo a terra e riprese la sua quotidiana salita. Al ritorno incontrò di nuovo il ragazzino alla medesima finestra, quasi fosse stato lì tutto il giorno ad aspettarla.



Questa volta lo salutò per prima lei, ma si trovò impreparata a parlare con lui e le parole incespicavano e facevano fatica ad uscire. Mortificata e con gli occhi bagnati, se ne andò senza salutarlo.
Non lo rivide mai più.



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Lucia arrivò lentamente sul pianerottolo, contando, come tutte le volte, le macchie informi e grigiastre che componevano come un puzzle il finto marmo degli scalini e, una volta entrata, cadde sulla sedia come un corpo morto.



Era sorpresa che quel ragazzino l’avesse chiamata, addirittura per nome, come se l’avesse sempre conosciuta, come se quel saluto fosse un qualcosa di più di un banale saluto mattutino, obbligatorio come i servizi, così li chiamava lei, che ormai da anni lei e le due sue figliole sciaguratissime compivano su quel laido corpo che apparteneva al suo Carlo. Suo!?



Quante volte aveva parlato tra sé e sé del suo Carlo! Solo tra sé, perché lui non voleva che lei parlasse con altra anima viva, eccetto che con lui e con le sue due figliole sciaguratissime.



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Aveva accettato solo per amore, solo per amore! Ma il ragazzino l’aveva chiamata e poi per nome: - Lucia!



Farfugliò qualcosa Lucia, ma non riusciva a pronunziarlo ad alta voce quel nome: era come intrappolata dentro se stessa.



Arrivò la sera, ma Carlo non c’era. Passò anche la notte e le tre donne si guardarono fisse negli occhi prima di gettare via i fiori di campo e di spegnere col pollice e l’indice umidi le candele ormai inutili.



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L’indomani era sabato e Lucia andò a fare la spesa, cogli occhi allucinati e fissi sul lastricato del ponte. Arrivata a pagare, le contestarono che la carta di credito era inutilizzabile, perché qualcuno aveva dissanguato il suo conto.



Rimase a testa bassa, come le avevano insegnato a fare e come sempre aveva fatto. Rientrò in casa e vi rimase anche l’indomani a parlare con le due figliole sciaguratissime circa quello che le era capitato e che era capitato pure a loro.



Nessuna fiatò e, come se nulla fosse successo, andarono a cercare, tutte e tre insieme, in silenzio, i fiori di campo e le candele per quella stessa sera.



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