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Gio Ponti: Amare l'architettura

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view post Posted on 26/10/2013, 12:29     +1   -1
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Gio Ponti: Amare l'architettura

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Architetto, designer e saggista italiano,
tra i maggiori del XX secolo.
Ha disegnato moltissimi oggetti
nei più svariati campi,
dalle scenografie teatrali,
alle lampade, alle sedie,
agli oggetti da cucina,
agli interni di famosi transatlantici.




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La rivista "domus", diretta da Giò Ponti

Giò Ponti morì a Milano il 16 settembre 1979 in una casa che aveva costruito nel 1957 come pubblico autoritratto.
Aveva 88 anni: nonostante la sua vista si fosse ormai ridotta a una sfocata visione, non aveva mai smesso di lavorare.
Solo poco prima aveva finito di disegnare la facciata dei magazzini Shui-Hing a Singapore e tra il 1970 il 1971 aveva inaugurato a Taranto la nuova Concattedrale e a Denver, in Colorado, l'Art Museum.
Tutt'attorno, nel disordine di un appartamento trasformato in atelier d'arte, immagini colorate invadevano grandi fogli di perspex dove con mano ancora agile tracciava con spessi pennarelli figure luminose: il pavimento in ceramica colorata per il Salzburger Nachrichten, i grattacieli scomponibili dalle facciate traforate, diavoli simili a putti dispettosi, ma soprattutto angeli.
Ai vetri delle finestre, su lastre di plastica trasparente e nel modello infine per la cattedrale di Los Angeles (un angelo enorme con le grandi ali dispiegate per celebrare la nascita e il nome della "città degli angeli").
Il cerchio stava per chiudersi e non a caso Ponti aveva evocato l'angelo per apporvi l'ultimo sigillo.
Nel 1927, la casa nella campagna francese di Garches per gli amici Bouilhet era stata battezzata "l'Ange volant" e, come un simbolo araldico sopra la porta d'ingresso, un angelo di metallo dorato sorreggeva tra le mani il modellino della villa.
Uno stilizzato angelo con l'aureola era stato anche per Ponti, negli anni Sessanta, il grattacielo Pirelli, slanciata figura ermafrodita che pretendeva di additare la via italiana allo skyscraper americano.
Nicchie per angeli erano anche le aperture a losanga della facciata della cattedrale di Taranto, straordinaria invenzione di un retablo all'aria aperta - "finestre aperte sull'immenso" - che realizzava la sua ossessiva aspirazione ad architetture che si confondessero nel cielo.



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Interni della Villa Bouilhet, nota anchecome "l'Ange volant", a Garches, Parigi





Nel 1928, su suggerimento di Ugo Ojetti, raccoglie la proposta dell'influente predicatore ed educatore barnabita, padre Giovanni Semeria, e fonda la rivista "Domus", che più tardi passerà nelle mani dell'editore Gianni Mazzocchi, insieme alla sua storica rivale "Casabella".
Architettura, arte e abitare sono dunque termini di una triade inscindibile su cui Ponti fonda la nozione di "civiltà" come partecipazione interiore - non dettata dalle mode del momento -al proprio tempo. L'architettura fornisce gli spazi rinnovati e contribuisce alla loro organicità con arredi, oggetti d'uso, opere d'arte espressive di un'assoluta contemporaneità; l'arte per Ponti non si esaurisce, infatti, nel passato, ma al contrario essa si ricrea col contributo creativo di architetti, artisti, artigiani e imprenditori.
Grazie all'impegno diretto nelle Triennali (del 1930, del 1933, del 1951 in particolare) così come al ruolo di docente al Politecnico di Milano, di polemista instancabile, di inesauribile progettista, contribuì all'affermarsi del design come momento formativo della produzione seriale e punto di convergenza di molti saperi artigianali. Ponti, infatti, non è stato solo il primo promotore del Made in Italy, come dimostra l'esempio degli arredi navali per l'Andrea Doria, Giulio Cesare, Conte Grande e dei tanti progetti e realizzazioni all'estero.



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Bozzetti degli interni del transantlantico "Andrea Doria"



Attraverso il carisma di una fama internazionale e di una compulsiva imprenditorialità come organizzatore di riviste (nel 1941 fondò anche "Stile" per Garzanti e la diresse fino al 1947, prima del ritorno a "Domus”), eventi e mostre, egli fu in un certo senso l'inventore del design italiano del secondo Dopoguerra e il promotore del riconoscimento culturale di clienti ed artefici - Cassina a Meda, Olivari a Borgomanero, Fontana Arte e Giordano Chiesa a Milano, Walter Ponti a Mantova, De Poli a Padova, Seguso e Venini a Venezia, Richard Ginori a Firenze, D'Agostino a Salerno ecc. di cui contribuì a definire l'identità industriale, fornendo programmi e riconoscibilità internazionale.



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Dettaglio della facciata della Concattedrale di Taranto



La sua biografia professionale attraversa quasi per intero tutto il XX secolo con un'ininterrotta vitalità: dopo gli esordi neoclassici - caratterizzati dall'associazione con Emilio Lancia (1927-1933) - e le prove d'art director per la produzione ceramica Richard Ginori, prenderà avvio (con Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini) una fase progettuale caratterizzata da grandi progetti, come
- il primo palazzo Montecatini (1935-1938) a Milano,
- l'istituto di matematica alla Città universitaria di Roma (1933-1935),
- il palazzo della Facoltà di lettere di Padova, il Liviano, (1934-1938),
- il piano urbanistico per Addis Abeba, in Etiopia (1936),
- la sede EIAR - oggi RAI - di Milano (1939).



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Primo Palazzo Montecatini a Milano



Diversamente da tanti altri protagonisti della scena italiana tra le due guerre, gli anni della ripresa offriranno a Ponti straordinarie occasioni di riformulare la sua architettura, portando a maturazione quei concetti di leggerezza, di trasparenza e di sottigliezza che sono oggi tra i motivi della sua ritrovata notorietà.
Per l'artista che aveva scritto "nell'espressione personale è il filo di continuità delle opere", infatti, il Dopoguerra segnerà ravvicinamento ai nuovi materiali costruttivi, la fissazione di alcuni temi figurativi - come l'architettura a "diamante", la facciata libera, l'architettura luminosa -, la concentrazione sull'arredo di serie (soprattutto dopo l'associazione in studio di Alberto Rosselli nel 1952) nonché la diffusione internazionale della sua opera.

America del Sud:
- Villa Planchart, 1953-1958, e
- Villa Diamantina, 1954-1956, a Caracas;
- il Centro italo-brasiliano e
- l'istituto di fisica nucleare a San Paolo del Brasile, 1953)



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Villa Planchart - Caracas



America del Nord:
- l'auditorium del Time and Life Building a New York, 1959).

Europa:
- l'istituto di cultura italiana a Stoccolma, 1952-1958, e
- i magazzini Bijenkorf a Eindhoven, 1967

Medio Oriente:
- Villa Nemazee a Teheran, 1960



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Villa Nemazee - Teheran



Est asiatico:
- la facciata dei grandi magazzini Shui-Hing a Hong Kong, 1961-1963, e
- palazzo dei Ministeri a Islamabad, Pakistan 1962-1969).



La casa all'italiana



La casa all'italiana è il titolo dell'editoriale del primo numero di "Domus" nel gennaio del 1928: Ponti vi riassunse il suo programma di una cultura domestica intesa come più generale riformulazione dell"1 abitare moderno" in linea con i movimenti di riforma dell’abitazione sostenuti in Europa dalle ricerche dei razionalisti, dai numerosi programmi di riforma sociale e dagli sforzi individuali dei principali protagonisti del rinnovamento dell’architettura a cavallo tra vecchio e nuovo secolo.
Il programma di "far diventare la casa più famigliare e meno presuntuosa" aveva cominciato a circolare in Italia già nelle iniziative editoriali di Raffaello Giolli (Problemi di arte attuale, 1927) e in una generale convinzione di dover sviluppare quella che Massimo Bontempelli definirà un'arte "d’uso quotidiano". Ad essa Ponti fece corrispondere il concetto di "casa tipica" come declinazione della "casa di serie", avviando a Milano la costruzione di alcune unità, come le "domus" di via de Togni e di via del Caravaggio, destinate a una larga diffusione per le loro innovative caratteristiche di distribuzione e d’uso. Innanzitutto, un'organizzazione razionale della pianta, con l'abolizione dei corridoi, la separazione tra zona giorno e zona notte e la riduzione al
minimo degli ambienti di servizio in favore di un grande ambiente per il pranzo e il soggiorno, dove la famiglia potesse ritrovarsi. In corrispondenza di tale ambiente, poi, la dislocazione di aperture e di balconi in linea con la sua visione della "casa all'italiana" non come "il rifugio, imbottito e guarnito degli abitatori contro le durezze del clima", ma come "lieto aprirsi fuori e comunicare con la natura". Ancora, l'accentuazione della nozione di attrezzatura domestica come elemento fisso dell'architettura, al posto del mobile o dell'arredo tradizionale, da cui scaturirono tante "invenzioni", come gli "arredi mobili" (vetrine, scaffali, pareti divisorie per articolare gli ambienti senza dividerli), l‘office arredato (armadi a tutta parte), le "finestre-vetrine" (mensole ed aggetti che rendono utilizzabile la finestra come superficie d'appoggio) e cosi via.



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Tipiche case di Via De Togni



Nell'abitazione dimostrativa allestita alla Triennale del 1936, Ponti riassunse tutti questi caratteri nello slogan "minimo ingombro, massima trasformabilità, docile mobilità", cui uniformerà anche negli anni a venire la sua idea di abitazione moderna. Negli anni drammatici del Dopoguerra, facendo proprie le esigenze della semplificazione e della prefabbricazione, parlerà di "casa esatta", abbracciando la profezia di una nuova società industriale capace di determinare "uno stile esatto, modulato, di elementi perfetti e intercombinabili" e un'"architettura ardita" da risolvere in "realizzazioni grandiose".
Il quartiere INA casa Harar Dessiè (con Luigi Figini e Gino Pollini, 1951-1955) ne fu una prima dimostrazione, insieme ai prototipi di case prefabbricate presentate alla X e alla XI Triennale e al condominio milanese di via Dezza (1956 -1957), dove nell'appartamento al settimo piano stabilì la sua ultima residenza. Nell'organizzazione della pianta fissò in maniera esemplare la sua predilezione per un'idea di casa trasformabile, praticando una distribuzione aperta degli spazi che rifiutava la suddivisione in stanze, adottando sistemi di chiusura a fisarmonica. Questo principio fu sviluppato con coerenza, negli anni Settanta, nella proposta della "casa adatta":"maggior spazio godibile in minor superficie"!



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Il quartiere INA casa Harar Dessiè



L'obiettivo era quello di contrapporre alla pratica ricorrente del piano-tipo la possibilità di una trasformazione dello spazio nel tempo, coerentemente al mutare delle esigenze. La diversa composizione degli alloggi si sarebbe espressa anche nella diversa composizione delle facciate, che in quegli anni Ponti porta al limite della sottigliezza, come nel palazzo Montedoria (1964-1970), quasi riducendole allo spessore di fogli traforati e sospesi.



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Palazzo Montedoria

L'architettura è un cristallo



"L'architettura è un cristallo. Quando è pura, è pura come un cristallo, magica, chiusa, esclusiva, autonoma, incontaminata, incorrotta, assoluta, definitiva come un cristallo.
L'Architettura comincia e finisce. L'Architettura sta, l'Architettura tronca le forme chiuse per farle stare, e poggiarle".



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Nel 1945 Ponti dà alle stampe un breviario dei suoi pensieri sull'architettura (L'architettura è un cristallo) che nel 1957 riprende, ampliandolo, col titolo di Amate l'Architettura. Utilizzando la metafora del cristallo ("nella natura - scrive - essa rappresenta il finito contro l'indefinito") sviluppa la sua teoria della "forma finita" da cui deriva, negli anni Cinquanta, una significativa serie di progetti e di realizzazioni, dalla villa Planchart di Caracas al grattacielo Pirelli, che costituiscono ancor oggi una delle espressioni più compiute della sua poetica dello spazio.






Edited by filokalos - 20/11/2013, 17:31
 
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