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Il comportamento espressivo

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view post Posted on 8/3/2013, 13:42     +1   -1
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Il comportamento espressivo

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Tratti di personalità e stili comunicativi




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Quando gli psicologi parlano di “stile comunicativo”, generalmente fanno riferimento al suo significato più ampio, cioè quello che abbraccia sia la forma verbale (le parole), sia quella non verbale (il gesto, lo sguardo, l’espressione del volto, i silenzi), sia quella para-verbale (il tono della voce, la cadenza, la melodia del discorso).

Quando parlano di “tratto di personalità” fanno invece riferimento al “modo di essere” tipico di ogni persona e per classificarlo ricorrono a quegli aggettivi che, meglio di altri, lo descrivono.

La domanda è allora questa: è possibile che a particolari profili di personalità corrispondano altrettanto particolari stili comunicativi?

È possibile, ad esempio, che le persone estroverse siano facilmente portate ad uno stile comunicativo assertivo e quasi “teatrale”?

O che le persone emotivamente instabili non riescano a comunicare in modo rilassato?

Le donne sono comunicatrici più attente e utilizzano maggiormente il linguaggio non verbale: tono della voce, mimica facciale, sguardo, postura, ecc.

Alcuni sostengono che sia la società stessa a suggerire questi comportamenti alle donne anziché agli uomini (McCroskey, 1977).

Per quanto riguarda l’età, risulta che i giovani dai 18 ai 29 anni, sono molto più espressivi ed assertivi rispetto alle altre fasce d’età, mentre gli ultracinquantenni risultano più pignoli e rilassati.




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In contributo della personalità al comportamento espressivo



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Come scriveva Norton, nel 1983, lo stile comunicativo può essere definito come «il modo in cui una persona interagisce a livello verbale, non verbale e para-verbale, al fine di segnalare come il significato letterale deve essere recepito, interpretato o capito».

Questa definizione adombra il ruolo centrale dei tratti di personalità nella comunicazione. In effetti, i dati della nostra ricerca indicano con buona evidenza come a diversi tratti di personalità corrispondano diversi stili comunicativi.

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In particolare, indicano come ad un tratto di personalità si colleghino più stili comunicativi coerenti tra loro.

L’Amicale è definito come tollerante, fiducioso e disponibile, ha uno stile comunicativo empatico e rilassato: una corrispondenza evidente tra modo di essere e modo di comunicare.

Dalla ricerca emerge quindi che il legame fra personalità e modo di comunicare è molto forte, tanto da rendere in qualche modo possibile inferire dalla modalità comunicativa, ovviamente se autentica e genuina, il tipo di personalità dei nostri interlocutori.

Va da sé, in ogni caso, che qualsiasi inferenza di questo tipo deve sempre accompagnarsi a un atteggiamento di estrema cautela, visto che lo stile comunicativo non varia solo in base alla personalità, al genere e all’età, ma anche in base, ad esempio, alle intenzioni comunicative del parlante, al suo stato emotivo, alle richieste della situazione, al tipo di argomentazioni, alla cultura di appartenenza…

Tutti aspetti, questi, che testimoniano della complessità dell’atto comunicativo, che sarebbe impensabile pretendere di dominare interamente attraverso le sole variabili di personalità, che pure danno un contributo indubbiamente ricco e illuminante.



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I. Stile Assertivo (Aperto + Dominante)


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1) Aperto: espansivo, affabile, conviviale, gregario, loquace, indiscreto, schietto ed estroverso. Dà informazioni su di sé. L’opposto dell’assertivo è il comunicatore difficile da decifrare. Chi comunica in modo aperto tende ad essere percepito attraente, leale e fidato
(Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Sono uno che comunica in modo espansivo»).
2) Dominante: assertivo, positivo, competitivo, sicuro di sé, metodico, attivo, controlla le interazioni sociali, ricerca il contatto visivo, tono della voce alto, usa pause brevi e si sovrappone nella conversazione. (Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Quando mi trovo con gli altri chiacchiero molto»).



II. Stile Empatico (Attento + Amichevole)


3) Attento: empatico, propenso all’ascolto attivo (si assicura che l’altra persona capisca che lui/lei la sta ascoltando), utilizza elementi non verbali come cenni del capo, sguardo duraturo e vicinanza fisica. L’interlocutore ha un rinforzo positivo, si sente incoraggiato e capito (Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé:: «Di solito faccio capire alle persone che le sto ascoltando»).
4) Amichevole: dà certezza, conforta e apprezza positivamente gli altri. Il comunicatore amichevole tende ad incoraggiare i suoi interlocutori e a sviluppare relazioni interpersonali intense e sicure (Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Quando parlo con gli altri tendo ad incoraggiarli»).



III. Stile Pignolo (Preciso + Polemico)


5) Preciso: accurato, documenta e verifica le informazioni, propenso ai discorsi informativi e argomentativi
(Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Nelle discussioni insisto su definizioni molto precise»).
6) Polemico: argomentativo, esigente nei confronti dell’interlocutore, tollera difficilmente le opinioni diverse dalle sue, vuole sempre e comunque andare fino in fondo alle discussioni e utilizza connotazioni negative, quali litigiosità e aggressività.
(Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Una volta coinvolto in una discussione accesa faccio fatica a fermarmi»).



IV. Stile Rilassato


7) Rilassato: sereno, calmo, pacifico, confidenziale e rassicurante, ma possono anche emergere caratteristiche quali svogliatezza, dis-attenzione, apatia, noncuranza. Il tratto distintivo e saliente è comunque la mancanza di tensione in ogni segnale inviato, sia verbale sia non verbale.
(Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Generalmente sotto pressione risulto una persona che parla in modo rilassato»).



V. Stile Espressivo (Drammatico + Animato)


8) Drammatico: utilizza esagerazioni, fantasie, metafore, satira ed altri espedienti linguistici per mettere in risalto o minimizzare il contenuto della comunicazione. (Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Uso frequentemente espressioni esagerate per enfatizzare un aspetto del discorso»).
9) Animato: utilizza in maniera frequente e prolungata il contatto visivo e le espressioni facciali e lascia trasparire facilmente le proprie emozioni. Fa ampio uso attivo dei gesti e dei movimenti del corpo per enfatizzare il contenuto di un discorso.
(Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Quando comunico il mio volto tende ad essere molto espressivo»).



VI. Stile d’Impatto (d’Impatto + d’Immagine)


10) d’Impatto: suscita attenzione e ricordo. Si può considerare come “indicatore di reciprocità” nel processo di formazione delle impressioni nelle relazioni interpersonali.
(Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Di solito ciò che dico resta impresso negli altri»).
11) d’Immagine: percezione e valutazione dell’efficacia del proprio stile comunicativo, di conseguenza il criterio di valutazione è estremamente soggettivo.
(Chi usa questo stile comunicativo, potrebbe dire di sé: «Mi ritengo un buon comunicatore»).



ZAJONC: VIENE PRIMA L’EMOZIONE


Nel 1980, Robert Zajonc ha pubblicato un articolo provocatorio intitolato "Feeling and Thinking: preference need no Inferences". Nell’articolo Zajonc cita i versi di E. E. Cummings che sostengono con la massima semplicità che " per primo viene il sentimento". Concordando con questa affermazione, Zajonc contesta l’ipotesi avanzata dalla psicologia cognitivista secondo cui, per provare una sensazione relativa a un evento, prima si deve interpretare o valutare l’evento stesso. Secondo Zajonc, le emozioni soggettive e volte sono la primissima risposta che una persona fornisce ad un evento; le reazioni emotive, inoltre, non sono necessariamente accompagnate da pensieri e non compaiono più rapidamente rispetto alle valutazioni cognitive. A volte, ad esempio, noi proviamo una simpatia immediata per qualcuno che attraversa una stanza o un’avversione per qualcun altro, per il modo in cui risponde al telefono.

In questi casi, si tratta di reazioni emotive che compaiono prima che noi disponiamo di informazioni sufficienti per valutare una persona su basi razionali.

Zajonc ha messo in dubbio la convinzione che noi di solito affrontiamo la vita come bravi scienziati, vagliando le prove prima che prima di decidere quali sensazioni proviamo. A volte, quando vengono per prime le sensazioni, ci comportiamo da veri romantici, lasciando che i pensieri cadano dove possono. Per Zajonc, è ragionevole concludere che le sensazioni soggettive e le valutazioni cognitive sono, almeno in parte, indipendenti. A suo parere, le sensazioni possono comparire prima, dopo o contemporaneamente ai processi cognitivi. Inoltre, le sensazioni a volte forniscono energie al comportamento emotivo, indipendentemente dal fatto che siano o meno rinforzate dal pensiero. Secondo Zajonc, "Non è sulla base di una dettagliata analisi cognitiva dei pro e dei contro delle loro azioni che le persone si sposano o divorziano, uccidono o si suicidano oppure rinunciano alla libertà".

A riprova del fatto che può esserci emozione senza elaborazione cognitiva , Zajonc cita una ricerca di William Wilson (1979). In un esperimento programmato allo scopo di verificare se la simpatia (sensazione soggettiva) può comparire in assenza di riconoscimento (valutazione cognitiva) , Wilson ha usato un test basato sull’ascolto dicotomico, facendo ascoltare un breve racconto attraverso uno dei due auricolari di una cuffia stereo. Ai soggetti si chiedeva di correggere le bozze del racconto su di un foglio scritto a macchina, individuando gli errori. Attraverso l’altro auricolare Wilson faceva ascoltare alcuni brani musicali ripetendoli cinque volte. Nella seconda parte dell’esperimento, Wilson faceva riascoltare i brani precedenti più alcuni altri, e chiedeva ai partecipanti di segnalare quelli che avevano già sentito. I soggetti erano talmente assorbiti dal compito principale, che la percentuale delle risposte esatte (il 53% in una ricerca e il 59% nell’altra) non risultava molto superiore a quella che si ottiene quando si cerca di indovinare. I soggetti, inoltre, dovevano segnalare la preferenza per ciascun brano, usando una scala da 0 a 6 punti, dove 6 segnalava il gradimento maggiore. I risultati dimostrano che le preferenze andavano alle melodie che erano già state ascoltate, piuttosto che a quelle nuove, anche se i soggetti non erano in grado di riconoscere le nuove rispetto a quelle già ascoltate. Questi dati concordano con la premessa fatta da Zajonc, secondo cui l’attrazione che è una sensazione soggettiva, si manifesta prima del riconoscimento, che è una valutazione cognitiva.

Una ricerca più recente fatta da W. R. Kunst- Wilson e Zajonc (1980) dimostra che le preferenze emotive per le forme si sviluppano anche quando le figure sono visibili per un periodo di tempo estremamente breve. Ai soggetti vennero mostrate delle diapositive che riproducevano forme ottogonali irregolari, cinque volte ciascuna per un solo millisecondo. Successivamente, gli sperimentatori fecero vedere alcune coppie di ottagoni, all’interno delle quali chiesero di scegliere quella preferita e che sembrava già nota. Solo 5 soggetti su 34 riconobbero gli stimoli a un livello superiore rispetto al caso, mentre 16 preferirono gli ottagoni "vecchi" rispetto ai "nuovi".

Quando i soggetti dicevano che stavano cercando di indovinare, sia il riconoscimento sia la discriminazione emotiva rientravano nella casualità. La precisione del riconoscimento rimaneva in questo ambito anche quando i soggetti erano più sicuri delle proprie scelte, mentre il riconoscimento emotivo diventava molto più accurato. Non si è scoperto il motivo per cui le valutazioni emotive possono venire affinate con tanta maggiore rapidità rispetto a quelle cognitive. Una spiegazione potrebbe essere che la nostra sopravvivenza è legata ad un meccanismo potente — ad una sensazione di attrazione- che ci porta a dirigerci verso ciò che è familiare e ad allontanarci da ciò che non lo è e che quindi è potenzialmente pericoloso.


Opponendosi nettamente al punto di vista di Zajonc, Richard Lazarus (1982) afferma che perché compaia un’emozione è necessario e sufficiente il pensiero (la valutazione cognitiva) ( i termini necessario e sufficiente descrivono i requisiti logici per ogni evento: nessun evento può avere luogo senza la condizione necessaria, mentre può accadere in presenza della condizione sufficiente). La tesi di Lazarus assomiglia a quella di Magda Arnold ( di cui abbiamo parlato in precedenza), in quanto entrambi ipotizzano che le nostre esperienze emotive sono sempre il risultato del pensiero, vale a dire di una valutazione cognitiva del significato degli eventi responsabili del nostro benessere qui ed ora.



LAZARUS: VIENE PRIMA LA VALUTAZIONE COGNITIVA


Secondo Lazarus, Zajonc ha dato un’interpretazione errata dei processi cognitivi, equiparandoli al pensiero intenzionale, razionale e consapevole. Per Lazarus un processo cognitivo così ponderoso non è la condizione necessaria e sufficiente dell’emozione. Al contrario, Lazarus sostiene che prima di provare una normale emozione noi valutamo gli eventi in modo rapido o inconscio, basando i nostri pensieri su informazioni minime, facendo ricorso perfino a premesse irrazionali. Le valutazioni cognitive che si formano molto rapidamente e provocano una risposta emotiva istantanea (ad esempio "Quell’orso sta per assalirmi") prendono il nome di processi cognitivi caldi e sono i precursori dell’emozione. Altri processi cognitivi, più lenti (ad esempio "Quell’orso ha una pelliccia nera molto folta") non destano alcuna emozione e vengono quindi definiti processi cognitivi freddi. Secondo Lazarus, i processi cognitivi caldi precedono sempre le emozioni.




IL DIBATTITO SUCCESSIVO SULLE CAUSE DELL’EMOZIONE


Lazarus (1984) e Zajonc (1984) hanno continuato a polemizzare sulle pagine dell’American Psychologist. Ancora una volta Zajonc ha ribadito la tesi che prima vengono le sensazioni, le quali si formano senza essere necessariamente precedute dai processi cognitivi. Per Zajonc, inoltre la spiegazione di Lazarus è di tipo circolare, o tautologico (una tautologia è una semplice definizione che si maschera dietro una spiegazione causale). Poiché Lazarus ha già definito l’emozione come lo stato psicologico che deriva da un processo di valutazione, la sua conclusione — che ogni volta che si osserva un’emozione deve essersi verificata una valutazione- è vera solo per definizione. Zajonc ha insistito sul fatto che deve essere possibile misurare i processi cognitivi indipendentemente dalle emozioni al fine di verificare se il pensiero è sempre il precursore di una sensazione. Quando Wilson (1975) ha valutato i processi cognitivi, verificando se le persone sono in grado di riconoscere gli oggetti per cui affermano di provare attrazione, ha trovato che in realtà non vi riescono.

In risposta alla critica di Zajonc, Lazarus ha respinto l’esperimento di Wilson come irrilevante. Secondo Lazarus, quando troviamo gradevoli una musica, delle parole o delle immagini, non esprimiamo una vera emozione, ma ci muoviamo nell’ambito di una valutazione estetica; l’affermazione "Mi piace questa melodia" è soltanto un processo cognitivo freddo, non è il precursore di una sensazione. Perché si abbia un processo cognitivo caldo, emotivo, l’argomento deve essere più significativo per la persona: le emozioni autentiche devono essere provocate da oggetti, eventi o persone che potenzialmente possano portarci un vantaggio o un danno.

Non è possibile stabilire rigorosamente che abbia ragione, se Zajonc o Lazarus, in quanto le critiche sollevate da entrambi sono certamente importanti e significative. Zajonc può avere ragione quando afferma che la teoria di Lazarus non è verificabile, dal momento che questi afferma che le valutazioni — i processi cognitivi caldi — sono presenti indipendentemente dal fatto che possano venire osservati. Poiché la posizione di Lazarus è vera per definizione, non può essere ritenuta falsa sulla base di un’indagine scientifica. D’altra parte, Lazarus ha probabilmente ragione quando afferma che quando diciamo che una musica è gradevole difficilmente siamo di fronte a una vera emozione. Le sensazioni che accompagnano la domanda "Mi piace questa musica?" sono tutt’altra cosa rispetto a quelle che accompagnano l’interrogativo "Affronterei la morte per i miei compatrioti?".

Gli esperimenti di Wilson, comunque, sollevano alcuni problemi importanti su come si possano misurare le valutazioni cognitive. Anche se i suoi soggetti non erano in grado di dire con sufficiente affidabilità quali musiche avevano ascoltato, quando ne preferivano alcune si comportavano come se le ricordassero. Wilson si è chiesto se essi, in realtà avessero riconosciuto quei brani, senza esserne consapevoli. Sembra che i soggetti potessero inconsciamente dimostrare di averne conservato il ricordo tramite la preferenza che esprimevano per essi. A livello cosciente, però, non potevano dimostrare di ricordarli, in quanto non erano in grado di fornire un resoconto cognitivo del riconoscimento. Questo dato indica che mancava una valutazione cognitiva oppure che questa era presente, ma al di sotto del livello di consapevolezza? Il dibattito promette di essere denso di importanza. Paradossalmente può essere che gli psicologi cognitivisti siano stati i primi a fornire un supporto convincente a uno principi della teoria freudiana: l’esistenza di eventi mentali inconsci.



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Manuela Franco è Docente di Psicologia della comunicazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Brescia e Milano e collabora con la Cattedra di Psicologia della personalità della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano.






Edited by filokalos - 9/3/2013, 21:48
 
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