Il Forum delle Muse

La mente estesa

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 12/6/2012, 12:00     +1   -1
Avatar

Super Ñasual Dating - Authentic Maidens

Group:
Magazzinieri
Posts:
1,960
Location:
Usa

Status:


La mente estesa

0001gy

I confini della mente superano quelli del cervello
grazie all’impiego di strumenti esterni
che ne amplificano il potenziale.




L’uomo si è costruito nel mondo che lo circonda un contesto cognitivo da cui trae vantaggi tali che è ormai difficile separare i due aspetti, quello interno, cerebrale, e quello esterno, depositato nell’ambiente modificato dall’uomo.

La mente coincide con il cervello?:hmm:

mergingofmindandmachine

E, se sì, le neuroscienze sono in grado di fornirci una lettura esauriente della mente umana?

Interrogativi come questi sono sempre più frequenti a causa dei continui progressi nello studio del cervello e di diverse funzioni mentali, dalle emozioni alla memoria.

Ma in realtà si tratta di domande mal poste, in quanto una delle caratteristiche fondamentali della mente umana è quella di essere “estesa”, non circoscritta ai confini del cervello.

La mente, infatti, non soltanto esteriorizza attraverso il linguaggio complessi concetti che a loro volta strutturano il pensiero, ma sfrutta anche le più diverse tecnologie, da quelle più essenziali, come una penna o un quaderno, a quelle più complesse, come uno smartphone, un tablet o un computer.

Questi strumenti amplificano il potenziale della mente e agiscono a loro volta su di essa, plasmandola, dandole nuove forme e capacità, come ormai indicano numerosi studi nell’ambito delle neuroscienze.



Che vuol dire “mente estesa”?


0002br

Partiamo anzitutto dal linguaggio, lo strumento attraverso cui comunichia mo con le altre persone, facciamo dei piani, analizziamo le situazioni.

Il linguaggio ci aiuta a definire diversi aspetti della realtà, modifica la percezio ne, favorisce l’elaborazione di un sistema di associazioni e diventa, come sostiene anche Jerome Bru ner, una sorta di “amplificatore” del pensiero.

In alcuni casi, però, il linguaggio parlato non è sufficiente e abbiamo anche bisogno della scrittura: non soltanto per trasmettere agli altri informazioni di vario genere, ma anche per materializzare un concetto, identificare una sequenza di azioni appropriate, ideare una strategia o dar corpo a una decisione.

Un foglietto di carta diventa così lo strumento attraverso cui la nostra mente supera i suoi confini, diviene “estesa”.

Ma cosa significa questo concetto? Per spiegarlo bisogna affrancarsi da un presupposto errato, quello che ha portato numerosi studiosi a guardare alla mente e all’intelligenza umana alla luce delle intelligenze e delle menti artificiali o, in termini semplificati, dei computer.

Un computer non fa altro che manipolare una serie di simboli sulla base di un programma: le caratteristiche della macchina che compie queste operazioni sono in gran parte irrilevanti, purché rispondano ad alcune regole, tant’è che uno stesso programma, o software, può essere utilizzato su diverse macchine, o hardware, da quelle di modeste caratteristiche a quelle più potenti e veloci.

L’importante è che i simboli che costituiscono un programma vengano manipolati in modo giusto: perciò alcuni studiosi ritengono che per comprendere la mente, non importa se artificiale o naturale, sia necessario comprendere le regole del suo linguaggio simbolico, ovverosia del suo “programma”.

In realtà, la mente umana presenta alcune fondamentali particolarità rispetto alle menti artificiali: non soltanto è estremamente variabile da individuo a individuo, ma dipende da un complesso intreccio di motivazioni, emozioni, aspettative, desideri.

La nostra mente, inoltre, ha anche origine da una vasta rete di rapporti col mondo in cui opera: rapporti che passano attraverso il corpo e gli strumenti che gli esseri umani hanno inventato.



mindmeld

Il corpo e gli strumenti



0005nq

Le relazioni tra mente e corpo sono troppo evidenti perché occorra dubitarne: è attraverso il corpo che esploriamo la realtà, ce la rappresentiamo, la modifichiamo ed è per mezzo di una serie di strumenti che gli esseri umani hanno creato sin da quan do hanno imparato a lavorare la selce per ricavarne schegge appuntite, che mente e corpo si proiettano oltre i propri confini.

Usare una leva o scagliare una pietra e in seguito una lancia sono stati i primi passi per amplificare le capacità motorie del corpo, per andare oltre i suoi confini fisici.

Un altro passo importante nei nostri rapporti con la realtà è stato quello di rappresentarla in modo simbolico, cioè oltre le sensazioni immediate.

La pantomima e i suoni prelinguistici sono state le prime forme di rappresentazione simbolica, cui ha fatto seguito un linguaggio sempre più strutturato.

Ma ancor prima del linguaggio parlato, gli esseri umani si sono serviti di altri segni, come ad esempio i segnali disposti dai cacciatori per indicare un particolare itinerario utile a localizzare la selvaggina o i luoghi in cui era disponibile l’acqua.

In seguito, gli uomini hanno tracciato sulla roccia raffigurazioni stilizzate di animali, probabilmente più per tenere il conto della consistenza delle mandrie o delle greggi che per una prima forma d’arte raffigurativa: nell’uno e nell’altro caso sono stati comunque varcati i confini della mente che ha iniziato ad estendersi a quei mezzi o supporti esterni che consentivano di ricordare, contare, raffigurare.

Anche le prime tavolette di argilla, utilizzate nel terzo millennio dagli abitanti del vicino oriente per tenere i primi conti o annotazioni basate su una scrittura cuneiforme, rimandano alle origini di una capacità di delegare ad alcuni strumenti ciò che la mente non è spesso in grado di trattenere.



Memorie scaricate


È per l’insieme di questi motivi che molti scienziati cognitivi non si limitano a studiare la mente attraverso un’analisi del cervello e magari del corpo e della realtà naturale, ma anche delle sue interazioni con quei sussidi e mezzi, come la penna, la carta, il computer o le stesse istituzioni, con cui il nostro cervello impara, matura ed opera.



mindteasers

Non è infatti soltanto il cervello a immagazzinare l’informazione, in quanto ricorriamo anche a semplici aspetti della realtà ester na, come un nodo al fazzoletto o un oggetto lasciato in bella vista, ad esempio il barattolo vuoto del caffè, che possono servire da promemoria e ricordarci in modo semplice di andare in drogheria per comprare il caffè, anche se potremmo scrivere “caffè” sulla lavagnetta in cucina, sulla nostra agenda o, per i più sofisticati, sul palmare.

È grazie alla scrittura, dall’uso delle tavolette d’argilla utilizzate per tener conto della consistenza di un gregge a quei foglietti gialli autoadesivi che appiccichiamo sul tavolo o sul frigorifero, che possiamo “scaricare” memorie dal nostro cervello e affidarle ai media più disparati.

Questa strategia non modifica soltanto la massa di dati che possiamo padroneggiare, ma anche il tipo di operazioni di cui siamo capaci: con l’invenzione della scrittura non siamo stati solamente in grado di usare i mezzi esterni come aiuto e supporto ad alcune attività mentali, prima fra tutte la memoria, ma anche di affrontare un tipo di operazioni logiche che, da sola, la nostra mente non potrebbe eseguire.

È grazie alle parole, ai simboli, che il cervello umano è capace di quelle potenti strategie che ci portano a risolvere problemi complessi.

Il cervello, insomma, non è che una parte, per quanto importante, di un processo esteso in senso spaziale e temporale, un processo che implica una serie di operazioni attuate al di fuori del sistema nervoso e da cui dipende, nella sua globalità, la qualità del nostro pensiero.



La semplificazione dei problemi


jackingz

Questa strategia travalica i confini della mente e implica che gli esseri umani siano capaci di combinare le operazioni di cui è in grado il loro sistema nervoso con un insieme di operazioni e strumenti esterni, essenziali per ridurre problemi complessi a operazioni più semplici, adatte alle caratteristiche della loro mente che, in questo modo, evita un sovraccarico che potremmo paragonare a quello imposto a un computer poco potente da un programma troppo pesante.

Ad esempio, possiamo risolvere lunghe moltiplicazioni attraverso l’uso di penna, carta e simboli numerici: partendo da questi simboli e visualizzandoli o “immagazzinandoli” all’esterno della mente, cioè riversandoli su un foglio di carta, possiamo compiere una serie di manipolazioni simboliche che ci consentono di ridurre un problema complesso a una sequenza di passi più semplici.

È vero che ci sono persone che sono in grado di fare calcoli complessi senza ricorrere ad ausili esterni, utilizzando diverse strategie fortemente individuali.

Tuttavia, la maggior parte di noi utilizza carta e penna (oggi una calcolatrice) per risolvere “indirettamente” quei problemi, come le operazioni aritmetiche o matematiche, che sono lontani dalle caratteristiche del nostro cervello, il quale invece può affrontare in modo diretto quei problemi e realtà che sono in linea con le sue caratteristiche intrinseche, come manipolare oggetti, riconoscere i volti umani, identificare gli insiemi visivi, come quando, ad esempio, ci accorgiamo che un’auto che passa è un taxi e che è anche libero.



thedawn3

Carta e penna sono indubbiamente una tecnologia cognitiva semplice, anche se per diversi millenni gli esseri umani si sono basati essenzialmente su questo tipo di estensione della mente: è solo da pochi decenni che ci affidiamo a tecnologie più complesse come i computer, i word processor, cioè i programmi di videoscrittura, i browser con cui andiamo in rete, i mouse, gli iphone, gli ipad, le "apps", i programmi di grafica computerizzata e via dicendo.

Inizialmente i computer richiedevano abilità di programmazione, bisognava conoscere il loro linguaggio e manipolare lunghe stringhe di dati: in seguito queste procedure sono state semplificate, al punto che non è più necessario comprendere il linguaggio della macchina su cui operiamo, si tratti di quello più diffuso, come il DOS, o di altri.

Le tecnologie e i programmi informatici stanno infatti diventando sempre più “user friendly”, intuitivi, cosicché, a differenza di quanto è avvenuto con i congegni meccanici, ben pochi di noi sono in grado di comprendere a quali principi rispondano gli strumenti di cui ci serviamo e soprattutto in che modo operino quei programmi, come Word, Excel, Power Point, Paint, Movie Maker, ecc., che oggi usiamo in modo naturale, senza cioè conoscerne la logica e il linguaggio che ne sono alla base.

Daniel Dennett, uno dei più noti filosofi della mente contemporanei, parla quindi degli esseri umani come di “macchine cognitive”, nel senso che creiamo e traiamo vantaggio da strumenti esterni, tra cui le tecnologie dell’informazione, che ci consentono di codificare e manipolare la realtà; quest’ultima, a sua volta, agisce sul pensiero modificandolo.

Sono perciò gli esseri umani a creare un contesto cognitivo da cui traggono vantaggio, al punto che è difficile separare i due aspetti: quello interno, cerebrale, e quello esterno, insito nell’ambiente che abbiamo modificato.

Oltre all’hardware e al software esiste quindi anche il “mindware”, termine che ricalca quello di “wideware”, coniato da filosofi della mente come Clark e Chambers (1988) per sottolineare le particolarità di una mente che non è circoscritta al solo programma, ma che è aperta alle sue diverse “estensioni”, dal linguaggio parlato e scritto ai diversi strumenti di cui si serve, dai quaderni alle tecnologie informatiche.




jpg

I limiti delle immagini mentali


0006km

Le tecnologie cognitive non riguardano soltanto il linguaggio, e quindi gli strumenti che servono per manipolare simboli, come ad esempio i computer, ma anche alcuni aspetti della creazione artistica.

Ad esempio, prima di eseguire un dipinto gli artisti, generalmente, ricorrono al bozzetto, una versione più o meno provvisoria dell’opera su cui è possibile operare una serie di variazioni prima di passare all’opera definitiva, al dipinto vero e proprio.

Questa strategia viene praticata sia dagli artisti figurativi, sia da quelli informali, che eseguono opere astratte in cui il ricorso al bozzetto potrebbe apparire superfluo.

Nell’arte astratta, ma anche in quella figurativa, l’artista potrebbe basarsi esclusivamente sulle immagini mentali, vale a dire su una rappresentazione interna dell’opera.

Per quale motivo, allora, le immagini mentali non sono sufficienti? :fu fi:

Una spiegazione viene dagli studi degli psicologi cognitivi, che indicano come le immagini mentali non siano plastiche e come sia difficile modificarle, cioè rappresentarle in diversi modi nella nostra mente, in quanto esse hanno una loro fissità che non ci consente di scoprire nuove forme e componenti.

È questo il caso delle figure ambigue, ossia quelle immagini di cui sono possibili due diverse interpretazioni: in queste figure è molto più difficile accedere a una seconda interpretazione della figura con l’immaginazione che confrontandosi con un disegno reale.



immagine006srb

La mente sembra infatti fissarsi su un aspetto dell’immagine piuttosto che oscillare tra i due possibili aspetti che caratterizzano le immagini ambigue: al contrario, come hanno indicato Chambers e Reisberg (1985), è facile ricostruire un’immagine ambigua, e individuarne i due diversi aspetti, disegnandola.

Generare immagini mentali, ruotare dei solidi come se li si guardasse da diversi punti di osservazione, scoprire i significati delle figure ambigue, sono attività che richiedono un notevole impegno mentale.

Proprio come avviene per il computer, dove l’analisi e il trattamento delle immagini assorbe una notevole capacità di memoria, così anche per la mente l’analisi di una figura complessa richiede uno sforzo massiccio e, come indicano tecniche come la PET che visualizzano le aree del cervello implicate in una determinata funzione, una notevole mobilitazione di reti e aree nervose.


0003aleksijkobalnocturn

Aleksij Kobal
Nocturno, 2011

È per questi motivi che un artista può facilmente raffigurarsi l’immagine d’insieme del tema che ha in mente, ma ha maggiori difficoltà quando deve “lavorarci”, cioè passarlo in rassegna con la mente da diversi punti di vista o variarne alcuni aspetti.

Per ovviare a queste difficoltà, e non soltanto per non investire troppo lavoro in una stesura definitiva sulla tela, l’artista esegue il bozzetto, ossia esteriorizza sulla carta un’immagine che gli consente di lavorare su una realtà al di fuori della sua mente.





Dall’immaginazione al disegno: l’estensione della mente


L’immaginazione e la costruzione attraverso il disegno su carta presentano quindi una fondamentale diversità: nel disegno, infatti, la realtà viene esteriorizzata e la mente passa a una rappresentazione estesa.

Immaginate, ad esempio, uno di quei pavimenti in cui mattonelle di varie forme e colori formano un particolare disegno.

Spesso questo disegno assume due diverse connotazioni: ad esempio una figura geometrica più piccola che, ripetendosi, dà luogo a una figura geometrica più grande.

Mentre è facile individuare queste figure sul pavimento, o tracciarle su un foglio da disegno scoprendo così nuove possibilità e configurazioni, è molto difficile immaginarle mentalmente e, soprattutto, scoprire nuove forme.

Pure nell’arte astratta l’artista, ispezionando una forma più vol te, può creare significati a diversi “livelli” e dare luogo a diverse interpretazioni strutturali.

Per l’artista il bozzetto è una strategia per mettere in atto un processo creativo basato su prove ed errori, in cui è spesso necessario rimuovere un’immagine o una forma precedente e ricomporla in modo nuovo.



281619114210905thumbnai

Il bozzetto, pertanto, non è soltanto una forma di memoria esterna, o un ausilio per conservare nuove idee, ma un modo per esteriorizzare le immagini, variarne la struttura, percepirle in modo nuovo, una strategia alla base del processo cognitivo nell’arte.

D’altra parte, anche la realtà virtuale rappresenta un’estensione della mente e i suoi scenari sono vicini al mondo delle immagini mentali, quel processo attraverso cui ci rappresentiamo, in modo più o meno fantastico, scenari immaginari.

Così, la realtà virtuale che caratterizza i videogiochi non è che la proiezione tecnologica di un’attività tipica della nostra mente: il virtuale esiste al di fuori di noi in quanto è in noi.

Grazie al virtuale è possibile simulare le nostre rappresentazioni interne rendendole accessibili alla manipolazione e alle modifiche: anche il virtuale fa dunque parte delle caratteristiche della mente estesa: è una tecnologia cognitiva basata sull’esteriorizzazione del nostro pensiero che, al pari della scrittura, ha un impatto notevole sulle nostre capacità di pensare e imparare.



screenshot20120104at134

I lobi frontali



0007yw

Il concetto di mente estesa si riallaccia al pensiero di Jerome Bruner secondo cui, sin dalle prime fasi dello sviluppo, gli esseri umani utilizzano amplificatori delle proprie capacità sensoriali e motorie, raggiungendo in tal modo prestazioni ben superiori: questi amplificatori sono essenziali nel processo di costruzione della mente, che è fortemente dipendente dalle attività simboliche e dalle strutture cognitive presenti in un determinato stadio dello sviluppo.

Più di tutte le altre specie animali, noi utilizziamo infatti una struttura allargata, non biologica, grazie a cui elaboriamo l’informazione e creiamo sistemi cognitivi estesi, le cui capacità sono ben diverse e superiori rispetto a quelle del puro e semplice cervello.

Ma perché le altre specie, e in particolare i primati non umani, non hanno elaborato queste strutture allargate?

Perché non hanno una mente estesa?

La spiegazione principale risiede nelle caratteristiche del nostro cervello, contrassegnate da un notevole sviluppo dei lobi frontali e soprattutto prefrontali: è grazie a queste aree cerebrali che sono possibili strategie cognitive flessibili e in gran parte basate sull’uso di simboli arbitrari associati a significati.

Il linguaggio è la tecnologia cognitiva fondamentale che ha dato origine a una vera e propria valanga di innovazioni: gran parte dei raggiungimenti umani sono infatti spiegabili grazie all’innesco di una sinergia tra cervelli e tecnologie cognitive.




La mente cambia il mondo, il mondo cambia la mente


0008ke

Nel corso dell’evoluzione uma na più recente, vale a dire nello spazio di “appena” qualche decina di migliaia di anni, questa sinergia ha innescato un circolo virtuoso in quanto ha dato vita ad ambienti tecnologicamente arricchiti che hanno permesso al cervello umano di espandersi e di produrre tecnologie di seconda generazione: queste, a loro volta, hanno dato vita a un nuovo ambiente in cui il cervello fa nuove esperienze, modificandosi e producendo nuove tecnologie…

Considerato in questi termini, il linguaggio ci si presenta come lo strumento fondamentale che ha permesso, generazione dopo generazione, di produrre nuove tecnologie e creare ambienti favorevoli all’apprendimento.

È al linguaggio che sono legate le prime forme di autoconsapevolezza, la capacità di elaborare riflessioni ed ipotesi, l’emergere di un pensiero filosofico, che non ha certamente avuto bisogno di un ambiente caratterizzato da sofisticate tecnologie per toccare la profondità del pensiero aristotelico o platonico.

Tuttavia, lo sviluppo di tecnologie cognitive come la stampa, la macchina da scrivere, il telefono, il computer, il cinema, la televisione e via dicendo ha creato un clima diverso, un terreno di coltura in cui la mente si sviluppa in modo diverso rispetto al passato.

Esiste infatti un moto circolare in cui le tecnologie, prodotte grazie alla creatività della mente, agiscono a loro volta su di essa, plasmandola, dandole nuove forme e capacità, come ormai indicano numerosi studi nell’ambito delle neuroscienze.

Alcune delle tecnologie in cui sono oggi immersi i bambini so no prevalentemente visive, basate su una logica e tempi diversi rispetto a quelli che caratterizzano il linguaggio e la lettura: esse presentano enormi possibilità, ma devono anche essere usate in modo accorto.

C’è un tempo per lo sviluppo del linguaggio e un tempo per il mondo digitale: non ci si può immergere in quest’ultimo senza passare per il primo.

Il nostro cervello, infatti, è definito dal linguaggio e le fasi iniziali del suo sviluppo devono trovare un nutrimento adatto.



Articolo Originale di
Alberto Oliverio





Edited by filokalos - 12/6/2012, 17:47
 
Contacts  Top
0 replies since 12/6/2012, 12:00   742 views
  Share