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Le nuove scoperte sull'architettura dei neuroni

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view post Posted on 16/5/2012, 19:30     +1   -1
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Le nuove scoperte sull'architettura dei neuroni

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Studi rivoluzionari hanno rivelato
i meccanismi molecolari del cervello.
Generando speranze: questa volta si potrebbe
veramente trovare la cura per l’Alzheimer
e molti altri disturbi
E stimolando prospettive: si potranno capire meglio il
funzionamento del cervello
e i fondamenti del linguaggio e della coscienza...



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[color=red]Molecole come opere d'arte

Come fa il nostro cervello a ricordare quanto ci è successo tanto tempo fa?

Come fa perfino a ricordare qualcosa che risale a poche ore addietro?

Le neuroscienze hanno a lungo studiato i processi della memoria, mietendo una mole impressionante di eccellenti risultati.

Restano, però, molti problemi di fondo ancora aperti e perfino dei paradossi.

Un articolo pubblicato sulla rivista scientifica internazionale «PLoS Computational Biology» da due fisici canadesi, Travis Craddock e Jack Tuszynski (Università di Alberta) e da un neuroscienziato e anestesiologo americano, Stuart Hameroff (Università dell’Arizona), promette di aprire una nuova frontiera in questo settore.

Detto molto semplicemente, questi studiosi offrono un modello teorico e sperimentale di quello che succede dentro i neuroni.

Hanno, nel vero senso della parola, sondato quello che succede all’interno dei singoli neuroni responsabili della fissazione e della successiva salvaguardia delle tracce mnemoniche.



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Donald Olding Hebb

Occorre, qui, forse, fare un passo indietro.

Nel lontano 1949, uno dei padri delle moderne neuroscienze, il canadese Donald Olding Hebb, aveva individuato l’autografo cerebrale della memoria: la fissazione stabile dei ponti che si creano incessantemente tra i neuroni, le cosiddette sinapsi.

Il motto che lo ha reso famoso è «i neuroni che sparano insieme si sposano insieme» (in inglese è più grazioso: «neurons that fire together wire together» ^_^ ).

In altre parole, due neuroni che si attivano allo stesso tempo, in uno stesso preciso momento, stabiliscono tra di loro un’alleanza stabile per il futuro.



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Una Sinapsi

Attivate uno di questi, e anche l’altro risponderà prontamente all’appello.

Questo tipo di sinapsi si chiama, da allora, una sinapsi hebbiana.

Ne è passata, da allora, di acqua sotto i ponti. Nel 1966, all’Università di Oslo, Terje Lomo e Timothy Bliss, studiando il consolidamento della memoria nell’ippocampo del coniglio, scoprirono il fondamentale meccanismo chiamato potenziamento a lungo termine (in gergo internazionale Ltp).

Lo sposalizio tra i neuroni veniva da loro certificato su precise basimolecolari.



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I Microtubuli

Il problema, però, spiega Stuart Hameroff, è che molte di queste molecole della memoria (delle speciali proteine) vivono solo pochi minuti o poche ore, mentre i ricordi vivono molto più a lungo.

Un paradosso, questo, che il lavoro sopracitato conta di poter risolvere.

"Guardando dentro" neuroni e sinapsi, si scopre così un’architettura di grande complessità e di grande bellezza: i cosiddetti microtubuli, parte dello scheletro delle cellule, ma che, nei neuroni, assumono proprietà particolari.

Sono colonne di forma esagonale, formate da moltissime molecole, le tubuline, che hanno ciascuna all’incirca la forma di un fagiolo.

Questi fagioli possono essere ripiegati su se stessi o invece aprirsi. E lo fanno in modo contagioso, facendo aprire o chiudere altre tubuline lungo tutto il tubulo.

Il loro passaggio dalla forma aperta a quella chiusa racchiude informazione e questa informazione si propaga lungo l’intero tubulo e può poi trasmettersi a un neurone successivo.



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Il processo è assai simile a quanto avviene in un microcalcolatore.

È così che l’immagazzinamento e la trasmissione di informazione possono restare stabili anche su lunghi periodi, in certi neuroni anche lungo molti anni. La quantità di energia consumata è bassissima.

L’articolo spiega tutto ciò in grande dettaglio, con illustrazioni degne di un grande disegnatore.

Ecco quindi trovata, secondo questi scienziati, la soluzione del paradosso della memoria.

Come spiega Hameroff: «Abbiamo scoperto quello che sembra proprio essere il sito della memoria, il codice del ricordare, all’interno dei neuroni. Abbiamo scoperto la memoria, senza alcun paradosso. È forse solo un primo passo, ma le conseguenze possono essere molto importanti per capire il funzionamento del cervello, perfino per capire i fondamenti del linguaggio e della coscienza».


Un cartone animato divulgativo:
Esplorando il corpo umano - Siamo fatti così -
I NEURONI episodio 13

E descrive anche le possibili applicazioni pratiche: «Il trattamento dell’Alzheimer e di altri disturbi del sistema nervoso, compresi i disturbi da stress post-traumatico. Diventerà forse possibile in futuro potenziare la memoria o, all’opposto, eliminare ricordi traumatici».

Hameroff è autore di numerosi articoli e libri scientifici su quello che succede all’interno dei neuroni, uno di questi scritto a quattromani con il noto fisico ematematico inglese Sir Roger Penrose (autore del discusso saggio La mente nuova dell’imperatore).

Nel comunicato stampa rilasciato ieri congiuntamente dall’Università dell’Arizona e dall’Università di Alberta, Hameroff non ha peli sulla lingua: «Molti articoli tecnici di neuroscienze concludono promettendo cure per l’Alzheimer e altri disturbi. Anche noi ora lo facciamo,
ma questa volta potrebbe essere vero ».



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Una speranza contro Alzheimer




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Un nuovo sistema per rigenerare i neuroni, potenziale speranza contro Alzheimer o ictus.
Ricercatori in parte finanziati dall’UE hanno convertito le cellule gliali del cervello in due diverse classi funzionali di neuroni.
I loro risultati, pubblicati sulla rivista Public Library of Science (PLoS) Biology, potrebbero portare a importanti progressi nel trattamento delle malattie neurodegenerative.
Lo studio è stato in parte finanziato dal progetto EUTRACC («European transcriptome, regulome and cellular commitment consortium»), che è sostenuto con 12 milioni di euro nell’ambito dell’area tematica «Scienze della vita, genomica e biotecnologie per la salute» del Sesto programma quadro.
Le cellule gliali (o cellule della glia), comunemente conosciute come il collante del sistema nervoso, circondano i neuroni responsabili della trasmissione delle informazioni. Le cellule gliali forniscono sostanze nutritive e ossigeno ai neuroni, e li isolano gli uni dagli altri.
Inoltre li proteggono dagli agenti patogeni e rimuovono i neuroni morti.
Questo nuovo studio si è focalizzato sulle astroglia (cellule gliali a forma di stella), uno dei più comuni tipi di cellule gliali.
Le astroglia hanno diverse proiezioni che fanno da impalcatura di sostegno per i neuroni.


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Sono inoltre strettamente legate alle cellule gliali radiali. Durante lo sviluppo embrionale del cervello, queste cellule gliali radiali o si trasformano in neuroni o fungono da impalcatura su cui eseguire la migrazione dei neuroni neonati.
Mentre le astroglia normalmente non hanno il potenziale di generare neuroni, il gruppo di ricerca della professoressa Magdalena Gotz e del dottor Benedikt Berninger, del Centro Helmholtz di Monaco di Baviera, in Germania, è riuscito a provocare la loro conversione in due principali classi di neuroni corticali. Più precisamente, le astroglia sono state convertite in neuroni eccitatori e inibitori che eccitano o inibiscono l’azione nella cellula bersaglio. Questi risultati sono stati raggiunti grazie all’espressione selettiva di specifici fattori di trascrizione, ovvero di proteine che si legano a sequenze specifiche del DNA e quindi controllano il trasferimento delle informazioni genetiche. «In questo studio siamo riusciti a riprogrammare i neuroni appena creati, rendendoli capaci di sviluppare delle sinapsi funzionanti. Queste rilasciano - a seconda del fattore di trascrizione utilizzato - sostanze neurotrasmettitrici eccitatorie o inibitorie», dice l’autore principale dello studio, il dottor Christophe Heinrichs della Ludwig Maximilians Universitat (LMU) di Monaco di Baviera (Germania). «I nostri risultati lasciano sperare che la barriera che separa le cellule neuronali e le astroglia - strettamente connesse tra loro - non sia insormontabile», aggiunge il dottor Berninger.




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Scoperta la molecola che "spegne" i neuroni




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Grazie a una ricerca effettuata dalla Yale University, è stato scoperto che una proteina, la MKP-1, funziona da interruttore per la MAPK, fondamentale per la sopravvivenza e il giusto funzionamento dei neuroni.

Dallo studio dell'Università americana, condotto su 21 pazienti depressi deceduti e 18 soggetti sani, è emerso che la quantità di MKP-1 presente nel cervello dei depressi è doppia rispetto a quella negli individui sani; la molecola, a sua volta spegne la MAPK che favorisce la comparsa di sintomi depressivi.

Nei test sugli animali si è potuto osservare che inattivando la proteina nel cervello dei topi, questi diventavano immuni allo stress; al contrario, iperattivando la molecola, l'animale iniziava a manifestare sintomi depressivi.

La depressione è una malattia che causa sintomi più o meno gravi, per questo i farmaci sono efficaci solo sul 60% dei pazienti; per questo la ricerca fa sperare nella produzione di una nuova classe di farmaci.

La ricerca è stata pubblicata su Nature Medicine.



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Come funzionano i neuroni del nostro cervello?



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Una lumaca Aplysia
di fronte ad un labirinto...

La registrazione mnestica è il risultato di una reazione elettrica e di un processo biochimico che avvengono nel cervello. Alla base di tutto ci sono i neuroni, cellule nervose formate da un tratto allungato detto assone da quale partono degli impulsi, e dai dendriti, prolungamenti ramificati che diffondono gli impulsi agli altri neuroni.

Ognuno di questi si comporta così come un cervello in miniatura, in pratica come una piccola rice-trasmittente. Gli impulsi elettrici emessi dal neurone si propagano attraverso le sinapsi (spazi esistenti fra i dendriti e gli assoni, vedi le memorie e le sinapsi) mediante speciali sostanze chimiche, prodotte dai neuroni stessi, chiamate neurotrasmettitori o mediatori – sono circa 40, tra cui la noradrenalina, la dopamina, l’acetilcolina – e in questo modo il cervello codifica, classifica, archivia ed elabora informazioni. Perciò, spiegano oggi i neurofisiologi, a ogni memorizzazione corisponde una modificazione chimica delle cellule celebrali.



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Una lumaca Aplysia
di fronte ad un rompicapo...

Come spiega Eric Kandel, della Scuola di medicina e chirurgia della Columbia University di New York, che con la sua équipe sta studiando i processi dell’apprendimento, della memoria e del ricordo per capire meglio come funzionano i neuroni del nostro cervello, in un organismo semplice come l’Aplysia, una lumaca marina: “Se una quantità sufficiente di sostanza chimica raggiunge il neurone successivo, questo a sua volta emette un impulso”

“Se invece la sostanza chimica che passa tra un neurone e l’altro è troppo poca, il secondo neurone produce un debole segnale o non ne produce affatto.”

Quest’ultimo caso si verifica nei momenti di assuefazione, di ripetitività, nella mancanza di forti emozioni. Al contrario durante la scarica emotiva passa una maggior quantità di conduttore chimico, provocando così un segnale di spinta, quasi un’ “accensione” di cellule o una piccola serie di “fuochi d’artificio” dentro il cervello. Insomma le forti emozioni “fissano” i ricordi e li “saldano” alle cellule grazie alle trasformazioni biochimiche delle loro proteine (vedi emozioni e ricordo. Che nesso c’è?), mentre il DNA funzionerebbe da “nastro” di registrazione. Tali forze selettive nell’organizzazione della memoria si identificano dunque con le pulsioni e con gli aspetti emotivi-affettivi e motivazionali che regolano la vita degli individui (vedi come funzionano i ricordi e le emozioni?). Del resto questo rende ragione del contributo che la psicanalisi, come metodo di studio delle funzioni mentali, ha portato a questo processo spiegando bene come funzionano i neuroni del nostro cervello.



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Ictus, possibile riabilitare neuroni sofferenti



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L’ictus è una delle patologie maggiormente pericolose per l’uomo.

È possibile riabilitare i neuroni sofferenti? La mancanza di ossigeno al cervello crea delle ischemie, delle vere e proprie “ferite” che provocano la morte dei neuroni: dopo un attacco di questo tipo la prima cosa che si fa è quella di tentare, attraverso farmaci e riabilitazione, di riportare la persona ad uno stato di autosufficienza accettabile.



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Le nostre cellule cerebrali, se non sufficientemente ossigenate, muoiono. Uno degli obiettivi della ricerca medica è quello di riuscire a trovare una cura che sia in grado di limitare i danni di una patologia spesso davvero devastante per l’uomo.
Il dott. Thomas Carmichael ed i ricercatori dell’Università della California sono stati in grado di segnare un importante passo in avanti verso tale traguardo, come reso noto dalla rivista Nature. E sebbene lo studio sia stato condotto su un modello animale in laboratorio e manchino ancora tutta una serie di protocolli prima di pensare di trasferire gli studi a livello umano, la scoperta ha avuto del sensazionale.
Il team è riuscito infatti a provare che la scarsa reattività dei neuroni dopo un ictus, è collegata all’accumulo del GABA, una sostanza che inibisce la trasmissione dell’impulso nervoso e che viene rilasciata dalle cellule in seguito ad una ischemia cerebrale. Ovviamente la ricerca si è basata sul recupero dei neuroni sofferenti, posti nei pressi delle zone colpite dall’ictus: è ancora impossibile recuperare una cellula cerebrale morta.



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Lo spiega il dott. Thomas Carmichael:
"Da tempo molti studiosi hanno concentrato la loro attenzione sulle aree adiacenti a quelle più colpite dall’evento.
Per i neuroni morti, infatti, non c’è più niente da fare, ma è importante recuperare quelli che, pur essendo sofferenti, sono ancora vivi. Tocca a loro supplire alle funzioni oramai irrimediabilmente perse nella zona dell’ictus, modificandosi e stabilendo nuove connessioni nervose.
Una possibilità data dal cervello in nome della sua plasticità davvero estrema in caso di emergenza.
L’eccesso di GABA nei neuroni circostanti impedisce l’organizzazione di questa reazione di emergenza.
Per questo abbiamo provato a somministrare agli animali un farmaco già noto e utilizzato per inibire specificamente la funzione del GABA.
Ed i risultati non sono mancati: i topi trattati con il farmaco recuperavano le funzioni motorie in modo più veloce e completo rispetto a coloro non trattati. Il trattamento deve però avvenire nei giusti tempi.
L’effetto positivo sul recupero motorio si osservava quando il farmaco veniva somministrato pochi giorni dopo l’ictus."



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La memoria migliora se i neuroni sono nuovi




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La nascita di nuovi neuroni (neurogenesi) non cessa totalmente dopo lo sviluppo, ma continua per tutta la vita in alcune zone del sistema nervoso adulto. Ricerche recenti hanno mostrato che la neurogenesi è indispensabile per la formazione della memoria e interessa in particolare l’ippocampo, una parte del cervello che si trova nel lobo temporale e che è sede di funzioni cognitive di vitale importanza. Gli studi, tuttavia, non sono riusciti ancora a chiarire in che modo i neuroni ‘neonati’ vadano ad integrarsi nei circuiti già esistenti, contribuendo di fatto alla formazione di nuovi ricordi e al buon mantenimento dei vecchi.
Il team di ricercatori del CNR-LUMSA-EBRI presso il Centro Europeo di Ricerca sul Cervello, struttura nata con il fondamentale contributo della Fondazione Santa Lucia, ha fatto un ulteriore ed importante passo verso la comprensione delle condizioni necessarie affinché i neuroni neonati si attivino nel favorire e migliorare alcuni tipi di apprendimento e memoria.



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I neuroscienziati, coordinati da Felice Tirone dell’Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare (INMM) del CNR, in collaborazione con il prof. Vincenzo Cestari dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e dell’Università LUMSA e del dr. Alberto Bacci dell’European Brain Research Institute, hanno dimostrato con il loro studio che un fattore di fondamentale importanza per la neurogenesi è rappresentato dalla velocità con cui i progenitori (le cellule staminali che daranno luogo ai neuroni) si differenziano nell’ippocampo. Da questa velocità dipenderà infatti il buon esito di tutto il processo.

Come spiega Tirone: “I nuovi neuroni devono maturare secondo una corretta sequenza temporale affinché divengano funzionali per l’acquisizione di nuove memorie e per il recupero di memorie già esistenti” .

Alla base dello studio vi è un approccio sperimentale differente da quelli precedenti in letteratura.

I ricercatori hanno infatti sviluppato sui topi un nuovo paradigma sperimentale che accelera la differenziazione dei neuroni neonati senza alterarne il numero, ottenuto mediante l’espressione selettiva nei progenitori neurali dell’ippocampo di PC3/Tis21, un gene specifico nell’accelerare il differenziamento di questi e di altri tipi di progenitori neurali.



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“Forzando i nuovi neuroni a bruciare le tappe della loro differenziazione per un periodo predefinito, abbiamo potuto osservare che un piccolo numero di neuroni di 2-3 settimane di età è critico per l’apprendimento”, prosegue il ricercatore dell’INMM-CNR. “Infatti i topi così trattati non solo falliscono nell’apprendere nuove informazioni spaziali, ma sono anche incapaci di utilizzare quelle precedentemente acquisite”.

Tirone continua: “PC3/Tis21, di cui già abbiamo osservato in passato una azione contro i tumori cerebrali dovuta proprio alla sua capacità di fare differenziare i progenitori neurali, potrebbe in effetti avere anche altre potenziali ricadute applicative della ricerca, in quanto è attivato dal Nerve Growth Factor, molecola la cui deprivazione sembra essere una importante componente nella malattia di Alzheimer. In effetti l’ippocampo è una delle prime strutture cerebrali che risulta danneggiata nell’Alzheimer, morbo caratterizzato in maniera precipua da disorientamento spaziale e deficit di memoria. Si potrebbero quindi guadagnare informazioni utili anche alla comprensione dei meccanismi alla base di questa malattia”.

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Felice Tirone

È quindi una questione aperta e di rilievo nelle neuroscienze comprendere i meccanismi di controllo ed i fattori che influenzano la neurogenesi adulta, nel campo della memoria come indicano ora queste ricerche, ma anche della depressione, la quale, come alcuni ricercatori hanno recentemente proposto, potrebbe instaurarsi a causa di una neurogenesi adulta difettiva.

 
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