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I Nuovi Menestrelli

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view post Posted on 14/9/2011, 15:47     +1   -1
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I Nuovi Menestrelli


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Fleet Foxes (Robin Pecknold & Skylar Skjelset)

L’arpa di Joanna.
Le ballate di Devendra.
Il country dei Fleet Foxes.
La nuova tendenza conquista
stadi e hit parade




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Crosby, Stills, Nash & Young

Una volta c’erano Crosby, Stills, Nash & Young a condurci lungo le assolate strade della California con il loro folk-rock ricco di sognanti melodie e armonie vocali.

Quarant’anni dopo quel sogno rivive attraverso un manipolo di trentenni non più attratti da chitarre elettriche e sature di distorsione, ma da strumenti acustici e brani malinconici.

È la “new folk generation”, la nuova tendenza della scena indipendente americana e inglese.

Il nome più gettonato del momento è quello dei Fleet Foxes, un sestetto di musicisti di Seattle all’apparenza totalmente “un-cool”: barbe lunghe, camicie di flanella, jeans sdruciti.

La band guidata dal cantante e autore Robin Pecknold sarà a novembre in Italia (il 17 a Roma, il 19 a Bologna e il 20 a Milano) per presentare “Helplessness Blues”, il secondo album dopo quello del 2008 che portava il loro nome e che li ha portati a un immediato successo.



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“Helplessness Blues” è un album delicato, ricco di melodie impregnate di suoni antichi che rimandano alla tradizione degli Appalachi (“Battery Kinzie”) o al sound bucolico della West Coast di fine anni Sessanta.

Pecknold racconta: «Musicalmente parlando, il disco è orientato un po’ di più verso il country. Abbiamo utilizzato parecchi nuovi strumenti: la chitarra a dodici corde, il dulcimer il flauto, il Moog, lo zither il clarinetto, il vibrafono, le coppe tibetane...».
Strumenti atipici che accrescono la magia di un album volutamente fuori dal tempo.
Pur provenendo dalla stessa città dei Nirvana e registrando negli stessi studi, i Fleet Foxes non potrebbero essere più diversi.



Fleet Foxes - Helplessness Blues



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I Nirvana

Mentre la band di Kurt Cobain mostrava un approccio punk, violento e iconoclasta, la formazione di Pecknold viaggia su binari sonori completamente diversi: «La nostra musica è influenzata e ispirata dal pop e dal folk-rock a cavallo tra la metà degli anni Sessanta e i primi Settanta, da artisti come Peter Paul & Mary, Bob Dylan, i Byrds, Neil Young, Crosby Stills & Nash, ma anche Ennio Morricone».

Anche in “Helplessness Blues” la band prosegue nella ricerca di favole sonore fatte di strumenti acustici, armonizzazioni vocali, rimandi alla West Coast e al folk britannico più arcaico. E testi intimisti nei quali i ventenni, e non solo, si rispecchiano: il tema ricorrente del disco è l’eterno conflitto interiore tra chi siamo e chi vorremmo essere.



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Devendra Banhart

Se i Fleet Foxes sono le star del momento, il più famoso dei “new folk” è Devendra Banhart.

Trent’anni, barba incolta, capelli lunghi, un’aria a metà tra il menestrello e il mistico indiano, Devendrá esordisce con “Oh Me Oh My...”, poi nel 2004 pubblica due album in contemporanea, “Rejoicing In The Hands” e “Niño Rojo”. E la stampa grida al miracolo. :e vai!:
Soprattutto il primo è un piccolo capolavoro di ballate acustiche quasi impalpabili su cui si staglia la sua voce vibrante e carezzevole.
Gli arrangiamenti sono semplici ed eleganti: qua un tocco di violino e violoncello, là una pennellata di pianoforte e percussioni.

Da allora è un crescendo e i concerti di Devendrá Banhart sono sempre esauriti. Nei dischi successivi la musica si apre ad arrangiamenti più ricchi e a ispirazioni diverse.

Ma è sempre il folk, tra Dono van e Cat Stevens, a emergere dai suoi lavori, incluso l’ultimo, “ What Will We Be”.



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Gli album di Devendra Banhart: “Oh Me Oh My...” - “Rejoicing In The Hands” - “Niño Rojo”



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L'arpista folk: Joanna Newsom

Joanna Newsom da Nevada City, California, è forse il personaggio più particolare dei nuovi menestrelli.

Suonatrice d’arpa dalla voce angelica, la cantautrice ha lasciato il segno con “Ys”, il secondo album, del 2006.

In quegli anni ad aprire i suoi concerti c’era proprio Pecknold, futuro frontman dei Fleet Foxes.

Lontana dalle sirene commerciali, Newson ha sempre orientato la sua ricerca artistica all’incontro tra contemporaneità e tradizione.

Una musica agrodolce, colta, in cui riesce a fondere la magia della tradizione irlandese e degli Appalachi con il fascino etereo del pop di Bjork.



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Concetti riproposti, con le dovute variazioni, anche in “Have One On Me” uscito lo scorso anno: un disco, addirittura triplo, che spazia tra lunghe ballate folk e country arricchite dagli arrangiamenti d’archi e da una voce tra le più peculiari del panorama musicale contemporaneo. Una scelta stilistica vincente, visti i responsi di critica e soprattutto di pubblico, giovane e giovanissimo, che affolla suoi concerti.

Se il folk è la musica della tradizione, Sufjan Stevens sembra essere l’anello di congiunzione tra la generazione degli anni Zero e quella dei favolosi Sixties.

Almeno per quanto riguarda i testi tutti incentrati sulla famiglia, sulla fede cristiana di cui non fa mistero e su frammenti di vita quotidiana. La musica però non è quella del folksinger tradizionale, del Dylan prima della svolta elettrica.

Piuttosto è un mix riuscito di ballate sostenute da una voce vellutata, con raffinati elementi pop.

Nato e cresciuto a Detroit, con la faccia pulita del ragazzo della porta accanto, Stevens ha portato la folk music a contaminarsi con altri generi, fino all’elettronica, che fa capolino a più riprese nel suo ultimo album “The Age of Adz”.



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Sufjan Stevens ed il suo ultimo album “The Age of Adz”




Il suo progetto più folle e ambizioso rimane quello di raccontare, ognuno con un disco, i 50 Stati che compongono l’unione: finora sono usciti “Greetings from Michigan: The Great Lake State” e “Come on Feel the Illinoise”.



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Da una sponda all’altra dell’Oceano, il vento della rivoluzione “neo folk” sembra aver colpito anche l’Inghilterra. Sono due le formazioni che, più delle altre, hanno scalato le classifiche con una musica volutamente rétro: Mumford & Sons.



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Mumford and Sons - Little Lion Man (Nicademass & Hysteria remix)



Difficile immaginare dei ventenni londinesi che invece di inseguire le mode cangianti della città più trendy d’Europa imbracciano gli strumenti per guardare al passato. Invece così facendo Marcus Mumford, Country Winston, Ben Lovett e Ted Dwane hanno costruito il ponte ideale che conduce dalla West Coast di fine anni Sessanta alla contemporaneità. E hanno conquistato le classifiche e un disco di platino con il loro album di debutto, “Sigh No More”.




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Noah & The Whale



Dai sobborghi di Londra arrivano anche i Noah & The Whale. Anche per loro il successo è giunto subito, nel 2008, al debutto con il singolo “5 Years Time” e poi con l’album “Peaceful, The World Lays Me Down”. Mescolando la tradizione folk con un approccio marcatamente pop, il gruppo di Charlie Fink e soci ha fatto breccia in un pubblico alla ricerca di sempre nuove atmosfere. E anche il loro ultimo disco, “Last Night On Earth”, appena uscito è volato nella Top Ten. Perché la “new folk generation”, dopo aver fatto innamorare i critici, conquista anche le classifiche.




Noah and the Whale - Life Is Life (Yuksek Remix)



Articolo Originale di
Roberto Calabrò

 
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