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Il profumo delle foglie di limone

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view post Posted on 26/12/2010, 17:31     +1   -1
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Il profumo delle foglie di limone

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Autore: Clara Sanchez

Editore: Garzanti

Collana: Narratori moderni

Traduttore: Budetta E.

Pagine: 364, rilegato

Prezzo: € 19,60

ISBN: 9788811686620

Data di uscita: 13 gennaio 2011

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Clara Sanchez


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I più saranno forse d’accordo nel considerare questa scrittrice una sconosciuta. Pochi scrittori possono, tuttavia, vantarsi di suscitare nella totalità dei loro colleghi un elogio unanime e, soprattutto, sincero.
Clara Sánchez, prologhista di Yukio Mishima, opinionista di diversi giornali e programmi televisivi e narratrice in diverse antologie è una scrittrice molto nota in Spagna e nell’America Latina.
Le prime nazioni europee ad accorgersi del suo elevato valore letterario sono state quelle di lingua tedesca, la Germania, l’Austria e la Svizzera. Le sue opere sono ora tradotte in francese, tedesco, russo, portoghese, greco, e, recentemente, anche in italiano.
È raro riuscire a raccontare tanto, partendo da dettagli così piccoli come quelli che ispirano Clara Sánchez: una carezza, un ricordo, uno sguardo.
La grande notorietà, però, si è fatta attendere: solo il Premio Alfaguara è riuscito a consacrarla a quello che, dopo diversi romanzi, sembrava essere il suo destino: diventare un’autrice di culto.
Clara Sánchez attualmente risiede a Madrid, dove ha inizialmente frequentato il corso di Filologia Spagnola, diventando prima assistente e poi titolare della stessa cattedra.

Fino ad oggi ha pubblicato otto romanzi:
Piedras preciosas (Pietre preziose, 1989),
No es distinta la noche (La notte indistinta, 1990),
El palacio varado (Il palazzo arenato, 1993),
Desde el mirador (Dalla veranda, 1996),
El misterio de todos los días (Il mistero di tutti i giorni , 1999),
Últimas noticias del Paraíso (Ultime notizie del Paradiso, 2000),
Presentimientos (Presentimenti, 2008).
Lo que esconde tu nombre (Il profumo delle foglie di limone 2010).




IL SOPRAVVISSUTO
Juliàn



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Sapevo cosa stava pensando mia figlia mentre mi guardava preparare la valigia con i suoi occhi scuri penetranti e un po' impauriti.
Erano come quelli di sua madre, mentre le labbra sottili le aveva prese da me, anche se con il passare degli anni, facendosi più rotonda, aveva finito per somigliare sempre di più a lei.
Quando la paragonavo alle foto di Raquel a cinquant'anni, mi rendevo conto che erano proprio due gocce d'acqua.
Mia figlia pensava che fossi un vecchio pazzo e senza speranza, ossessionato da un passato che ormai non importava più a nessuno ma del quale non riuscivo a dimenticare neppure un giorno, un dettaglio, una faccia o un nome, anche se si trattava di un nome tedesco lungo e difficile, mentre spesso dovevo sforzarmi per ricordare il titolo di un film visto da poco.
A dire il vero, nelle mie condizioni non mi sarebbe mai saltata in mente una simile follia se non mi fosse arrivata una lettera del mio amico Salvador Castro, detto Salva, che non avevo più visto da quando avevamo smesso di lavorare per il Centro, messo in piedi per dare la caccia agli ufficiali nazisti sparsi per il mondo.
Quando presi in mano la busta nella mia casa di Buenos Aires e lessi il nome del mittente, per poco non ci rimasi secco. Poi la sorpresa lasciò spazio a un'emozione immensa.
Salvador era uno dei miei, l'unica persona rimasta al mondo a sapere chi fossi veramente, da dove venissi e di cosa fossi capace per non morire e per il contrario.

Ci eravamo conosciuti da giovanissimi in quel corridoio stretto
fra la vita e la morte che i credenti chiamano inferno e i non credenti come me anche.
Aveva un nome, si chiamava Mauthausen, e non riuscivo a credere che l'inferno potesse essere diverso o peggio di così.
Nella lettera Salva mi diceva che da qualche anno si era trasferito in una residenza per anziani ad Alicante in Spagna.
Un posto bello, soleggiato, immerso fra i giardini di aranci e di limoni a pochi chilometri dal mare.
Salva sapeva cosa avevo visto e sopportato, e io sapevo cosa aveva visto lui. Quando eravamo al campo Salva aveva ventitré anni e io diciotto, fisicamente ero più forte di lui.
Quando ci liberarono pesava trentotto chili.
Era smilzo, pallido, malinconico e molto intelligente.

A volte dovevo dargli un boccone di quello che là dentro chiamavano cibo, bucce di patate bollite o un tozzo di pane ammuffito; e non per compassione, ma perché avevo bisogno di lui per andare avanti.
Ricordo che un giorno gli dissi di non capire perché lottassimo per vivere, sapendo che saremmo morti comunque.
Lui mi rispose che saremmo morti tutti prima o poi, anche quelli che se ne stavano nelle loro case, seduti in poltrona con un bicchiere di vino e un sigaro in mano. Per Salva il bicchiere di vino e il sigaro rappresentavano la bella vita a cui tutti gli esseri umani dovrebbero aspirare.
E la felicità consisteva nell'incontrare una ragazza che lo facesse volare. Credeva anche che tutti gli esseri umani avessero il diritto di volare una volta nella vita.

Ci sentivamo maledetti.
A sei mesi dalla liberazione, con un aspetto pietoso che cercavamo di nascondere dietro a un vestito e a un cappello, Salva aveva già scoperto che esistevano varie organizzazioni il cui scopo era localizzare i nazisti e dar loro la caccia.
Lo avremmo fatto anche noi.
Quando ci liberarono, ci arruolammo nel Centro Memoria e Azione.
L'idea fu sua.
Quando uscimmo da lì, io volevo solo essere normale, confondermi tra le persone normali.
Lui però mi disse che era impossibile e che eravamo condannati a sopravvivere.
E aveva ragione: non sono mai più riuscito a farmi la doccia con la porta chiusa o a tollerare l'odore di urina, neppure della mia.
Quando i cancelli si aprirono, io corsi fuori stordito e in lacrime, mentre Salva uscì con una missione, anche se non si reggeva in piedi.
Riuscì a localizzare e a trascinare davanti ai giudici novantadue alti ufficiali nazisti; in alcuni casi invece non potemmo fare altro che sequestrarli, sottoporli a un processo sommario e giustiziarli.
Io non fui abile come Salva, mi capitò tutto il contrario.
Non portai mai a termine una missione: alla fine li catturava sempre qualcun altro o riuscivano a scappare.
Sembrava che il destino si prendesse gioco di me.
Insieme alla lettera Salva mi mandava il ritaglio di un giornale pubblicato dalla comunità norvegese della Costa Bianca, su cui compariva la foto dei coniugi Christensen. Fredrik doveva avere ottantacinque anni e Karin qualcuno di meno.
Fu facile riconoscerli perché non avevano ritenuto necessario cambiare nome.
A detta di Salva l'articolo non rivelava niente di loro, parlava semplicemente della festa di compleanno che quell'anziano dall'aria rispettabile aveva organizzato a casa sua invitandovi vari connazionali. Riconobbi quegli occhi da aquila puntati sulla preda.
Era il genere di sguardo che ti resta impresso per tutta la vita.





UNA RAGAZZA SOSPESA TRA UN AMORE FINITO E UN NUOVO INIZIO
Sandra



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Mia sorella mi aveva lasciato la sua casa al mare perché potessi riflettere con tranquillità su cosa dovevo fare, se sposarmi o meno con il padre di mio figlio.
Ero incinta di cinque mesi e ogni giorno ero sempre più confusa sull'opportunità di formare una famiglia, ma era anche vero che da completa incosciente avevo lasciato il lavoro, in un periodo in cui sarebbe stato difficile trovarne un altro, e che occuparmi da sola del bambino non sarebbe stata certo una passeggiata.
Per il momento era ancora nella mia pancia, ma poi... Che avrei fatto?
Avrei finito per sposarmi per convenienza?
Amavo Santi, ma non quanto sapevo di poter amare.
Santi era a un passo, solo a un passo dal grande amore.
Ma poteva anche essere che il grande amore esistesse solo nella mia testa, come il cielo, l'inferno, il paradiso, la terra promessa, Atlantide e tutte quelle cose che non vediamo e fin dall'inizio sappiamo che non vedremo mai.

Non avevo voglia di prendere decisioni definitive.
Mi andava bene soppesare con calma e senza angosce le varie possibilità, in quel momento irraggiungibili come le nuvole, mentre nel frigorifero c'era ancora roba da mangiare, mio figlio non era ancora uscito da là dentro e non mi chiedeva ancora niente.
Era una situazione tutto sommato accettabile, che purtroppo sarebbe durata poco perché mia sorella aveva già trovato un inquilino per il mese di novembre.

Era la fine di settembre e si poteva ancora fare il bagno e prendere il sole.
Per andare in spiaggia dovevo prendere un motorino, una Vespa 50 che mia sorella, mio cognato e i miei nipoti mi avevano raccomandato di non parcheggiare mai senza catena.
Dopo aver fatto colazione e innaffiato le piante (uno dei compiti che mia sorella mi aveva imposto) , infilavo in una borsa di plastica di una vecchia rivista pescata da una cesta di vimini, una bottiglia d'acqua, il cappellino e un telo e andavo a sdraiarmi in spiaggia.
Sotto il sole i problemi non esistevano.
I turisti erano praticamente spariti.
Incrociavo quasi sempre le stesse persone sul tragitto che di solito percorrevo a passo leggero quando ero stufa di stare stesa: una signora con due cagnolini, alcuni pescatori seduti accanto alle loro canne tese, un uomo di colore che indossava una djellaba e che evidentemente non aveva un posto migliore in cui andare, gente che faceva jogging sulla spiaggia e una coppia di pensionati stranieri sotto un ombrellone a fiori con i quali già mi scambiavo qualche sorriso cordiale.
Fu proprio grazie a loro che quella mattina non persi conoscenza e non caddi lunga distesa sulla sabbia, ma mi misi solo in ginocchio e vomitai.

Faceva troppo caldo, era uno di quei giorni in cui il termometro sale di colpo come se si fosse rotto.
Il cappellino con la visiera non faceva molta ombra e avevo dimenticato di portare l'acqua.
Avevano ragione a dirmi che ero un disastro.
Me lo dicevano tutti quelli che avevano abbastanza confidenza per farlo. Mentre mi stendevo sul telo mi venne la nausea e tutto iniziò a girarmi intorno, ma barcollando riuscii ad arrivare al bagnasciuga per rinfrescarmi.
Fu allora che non potei più a trattenermi e vomitai.
Avevo mangiato troppo: da quando ero rimasta incinta la paura di svenire mi spingeva a ingozzarmi a più non posso.
In quel momento la coppia di pensionati stranieri si avvicinò correndo, per quanto possano correre degli anziani sulla sabbia bollente.
Ci misero un'eternità ad arrivare, mentre io cercavo un appiglio affondando le dita nella sabbia bagnata che si disfaceva sotto le mie mani.
Stavo pensando: "Dio mio, non farmi morire", quando due mani grandi e ossute mi afferrarono.
Poi sentii una frescura d'acqua nella bocca.
Una mano mi bagnava la fronte e mi accarezzava i capelli.
Sentivo delle parole, strane e lontane, ma non capivo niente.
Mi fecero sedere sulla sabbia e vidi che era la coppia straniera.
L'uomo portò un ombrellone, quello con i fiori grandi sotto il quale si proteggevano sempre dal sole e con cui delimitavano il loro territorio. Evidentemente era più facile portare lì l'ombrellone che fare il contrario.
«Ti senti bene?» furono le sue prime parole in spagnolo.
Feci cenno di sì.
«Possiamo portarti in ospedale.»
«No grazie, non ho digerito la colazione.»
La donna aveva gli occhi piccoli e azzurri e li appuntò sulla mia pancia che, prominente e rotonda com'era, spuntava dal costume da bagno.
Non aspettai che me lo chiedesse.
«Sono incinta. A volte il cibo mi fa venire la nausea.»
«Adesso riposati», mi disse lei facendomi aria con un ventaglietto pubblicitario sul quale lessi, un po' appannate, le parole Nordic Club.
«Vuoi bere un altro po'?»
Bevvi un altro po' d'acqua mentre loro mi osservavano senza sbattere gli occhi, come se mi stessero sorreggendo con lo sguardo.





NUOVI AMICI
Sandra



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Il giorno dopo non mi arrischiai ad andare in spiaggia. Ebbi tutta la giornata per prepararmi un pranzo salutare, leggere e stare tranquilla.
L'albero di limone e quello di arancio davano al piccolo giardino un'aria di paradiso, e io ero Eva.

Il paradiso e io.

Stavo proprio finendo di innaffiare le piante al tramonto, dopo un pisolino, quando sentii il rumore di una macchina che parcheggiava accanto al cancello d'ingresso.

Sentii le portiere che si chiudevano e dei passi lenti e poi li vidi.

Erano loro, i due anziani che mi avevano dato una mano in spiaggia. Sembravano contenti di vedermi, e anch'io lo ero: avevo passato troppo tempo da sola a rimuginare.
Chiusi l'acqua e mi avvicinai a loro.

«Che sorpresa!» esclamai.

«Siamo contenti di vedere che ti sei ripresa», disse lui.

Parlavano molto bene lo spagnolo, ma avevano un accento straniero.
Non era inglese, né francese.
E non era neppure tedesco.

«Sì, mi sono riposata, non quasi ho messo il naso fuori di casa.»
Li invitai a entrare e a sedersi sotto il portico.
«Non vogliamo disturbare.»



Servii loro del tè in una bella teiera di rame che mia sorella teneva dentro una credenza in stile antico.
Non offrii anche il caffè perché non avevo trovato una caffettiera.
Lo bevvero a piccoli sorsi, mentre io raccontavo che non ero sicura di essere innamorata del padre di mio figlio e non volevo iniziare quella nuova tappa della mia vita facendo una stupidaggine.
Mi ascoltavano con grande comprensione e a me non importava che sapessero tutto di me, o perlomeno quello che mi stava più a cuore.
Non mi importava perché erano estranei: era come se stessi parlando all'aria.
«Dubbi di gioventù», disse lui prendendo la mano di sua moglie.
Si capiva che l'aveva amata moltissimo e che ora non poteva stare senza di lei. Lei era una sfinge.



Non era un uomo sorridente, però era così educato che sembrava stesse sorridendo.
Era molto magro: gli si vedevano gli zigomi, il cranio e tutte le altre ossa.
Indossava dei pantaloni estivi grigi e una camicia bianca a mezze maniche: era proprio un bell'uomo.
«Se vuoi domani possiamo venire a prenderti. Ti porteremo in spiaggia e poi ti riaccompagneremo», disse lui.
«Per noi sarà un piacere», aggiunse lei sorridendo davvero con i suoi piccoli occhi azzurri, che forse un tempo erano stati belli ma adesso non lo erano di certo.
Si guardarono parlandosi con gli occhi, poi si lasciarono la mano per prendere le tazze.
«Verremo alle nove, né troppo presto né troppo tardi», disse lui e si alzarono.
La donna mi mise la mano sul braccio e me lo afferrò come se tentasse di non farmi scappare.

«Non devi portare niente, penserò a tutto io. Abbiamo una borsa frigorifero.»

«Fredrik e Karin», disse lui tendendomi la mano.

Io gliela strinsi e poi diedi un bacio a Karin con un'espressione allegra e amara allo stesso tempo.
Fino a quel momento non avevo saputo i loro nomi e non me ne ero neppure resa conto, forse perché fino a quel momento non mi era importato niente di loro ed erano stati dei perfetti estranei, come dei passanti in strada.

«Sandra», feci io.

Non avevo mai conosciuto i miei nonni, erano morti quando ero piccola.

Ora la vita mi ricompensava con quei due nonni, dei quali non mi sarebbe dispiaciuto essere la nipote preferita o meglio l'unica, la depositaria di tutto il loro affetto e... di tutti i loro averi, quei beni favolosi per i quali non si deve lottare e che non bisogna neppure desiderare, perché li si ottiene per diritto di nascita.

Forse ciò che non mi avevano dato i legami di sangue me lo stava dando il destino.



FALSE APPARENZE
Julián



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Uscii e camminai fino alla macchina, respirando l'aria già piuttosto fresca dei giorni di settembre.

Salii fino a Tosalet, incrociando macchine che avevano più fretta di me, sicuramente dirette verso qualche posto di lavoro.

Dopo neanche un'ora di attesa il muso verde oliva di un fuoristrada sbucò dal piccolo fortino di Villa Sol, una specie di carro armato alla cui guida si trovava Fredrik Christensen.

Accanto a lui c'era quella che doveva essere Karin.


Mi immisi sulla strada principale dietro di loro.

Dopo circa cinque chilometri girammo a destra.

Dopo qualche chilometro, una ragazza uscì da una villetta e salì in macchina.

Proseguirono verso la spiaggia, mentre io continuavo a tallonarli.

Scesero dall'auto.


Era lui, ancora altissimo, magro, con le spalle larghe, le gambe e le braccia lunghe.

Aprì il bagagliaio e tirò fuori un ombrellone, una borsa frigorifero e due sedie a sdraio.

Lei, invece, non l'avrei riconosciuta.

Il suo corpo sembrava completamente alterato: camminava senza agilità, era ingrassata e deforme.

Indossava un ampio prendisole rosa aperto sui lati, lui dei pantaloni corti, una camicia abbondante e dei sandali.


La ragazza portava una maglietta sopra il costume da bagno, un cappellino, l'asciugamano in spalla.

Era giovane, doveva avere al massimo trent'anni; non era né mora né bionda, piuttosto castana, nonostante una tinta rossa le coprisse parte dei capelli.

Aveva un tatuaggio nero e rosso sulla caviglia che sembrava una farfalla e un altro sulla schiena, dei caratteri cinesi o giapponesi, in nero.

Una vittima perfetta per i Christensen.


Potevano averla conosciuta in spiaggia e aver messo gli occhi su di lei per succhiarle un po' di sangue fresco, per succhiarle l'energia, per contagiarsi con la sua freschezza.

La gente in fondo cambia poco, e per Fredrik ogni suo simile era un essere di cui poteva approfittare per rubargli qualcosa.

Non si cambia in due giorni, e nemmeno in quarant'anni: io nel profondo non ero cambiato.

Cosa poteva sapere quella ragazzina di tutto questo?

Come avrebbe potuto intravedere il male in due anziani che si prendevano cura di lei?

Sembravano molto premurosi e gentili con quella ragazza che non era della loro stessa razza ariana.


Vederli fare del bene metteva paura.

Agivano come se non fossero mai stati davvero coscienti di aver fatto del male.

In genere, nella vita normale, il bene e il male si confondono spesso, ma a Mauthausen il male era il male.

In tutta la mia vita non sono mai incappato nel bene assoluto, ma posso dire di aver visto da dentro il male con la M maiuscola e la sua forza demolitrice, e in quello non c'era niente di buono.


Chiunque avesse visto Fredrik in quel momento avrebbe pensato: quest'uomo è stato giovane, ha dovuto lottare, ha lavorato, è andato in pensione e finalmente si gode il meritato riposo.


E non avrebbe mai immaginato che si sbagliava e che avrebbe continuato a sbagliarsi ogni volta che avrebbe incontrato un uomo senz'anima.




IL VELENO DEL DUBBIO
Sandra



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Io e Julián ci mettemmo in cammino senza sospettare che a partire da quel momento Villa Sol non sarebbe stata mai più la stessa, come se all'improvviso si fosse alzato il sipario di un teatro e finalmente ci fosse una storia.


Non lo capii subito, all'inizio non volevo capire, mi spaventai.
Julián era serio.


Aveva la fronte aggrottata e lo sguardo triste. Tirò fuori un ritaglio di giornale dalla tasca, forse l'annuncio di un'altra casa in vendita.
«E sua moglie? Non la vedo mai», dissi avvertendo una sgradevole tensione nell'aria.
«Mia moglie è morta, non è mai stata qui.»

In quel momento pensai che non appena fossimo scesi dall'auto me lo sarei tolto di torno con un calcio nelle palle.
Una sola spinta, pensai, avrebbero potuto buttarlo a terra, e ci avrebbe messo così tanto a rialzarsi che nel frattempo avrei potuto correre per chilometri.


«Mi spiace di averti mentito,» disse, «ma è stato meglio così.»


«Non ti capisco», dissi sentendo i suoi occhi su di me e dandogli del tu, come lui faceva con me.
Non spostavo lo sguardo dalla strada.

«Non avrei mai voluto coinvolgerti, te lo giuro, ma quando ti ho conosciuta eri già coinvolta.»
Coinvolta? E in cosa potevo essere coinvolta io, che passavo la vita fra le piante del giardino e gli anziani?

«Credo sia mio dovere dirti in che situazione ti trovi.»
Non mi piaceva affatto che qualcuno cercasse di manipolarmi o giocasse con me, per cui alzai la voce più del dovuto.
«So già qual è la mia situazione!»
«No, non lo sai», disse lui mentre parcheggiavo.
Con il foglio del giornale in mano mi condusse a una panchina di pietra da cui si vedeva il mare.

«Come si comportano con te Fredrik e Karin?»
«Fred e Karin?»
«La coppia di anziani norvegesi.»
Non avevo la minima idea di dove volesse andare a parare quando gli risposi che si comportavano bene, che erano gentili, che sapevano rispettare i miei spazi, come facevo io con i loro.


La storia dello spazio lo fece vagamente sorridere.
Non mi piacque che ridesse di quel che dicevo, mi fece innervosire.


«Non avrei mai voluto farti vedere questo», disse mostrandomi il foglio di giornale.
Sulla pagina c'era una foto, la foto di una coppia.
In quel momento vidi solo quello perché mi ero fissata sul suo sorriso ironico e non mi importava nient'altro.


«Guardala bene, per favore. Non li riconosci?»
«Non so cosa ci sia di così divertente nel fatto che rispettino i miei spazi.»
«E una frase fatta, non ti si addice.»




Presi il ritaglio e fissai la foto. Erano... erano Fred e Karin.
Mi concentrai per osservarla meglio.

«Sì, sono loro», disse Julián.
«Nazisti, criminali pericolosi. Fredrik Christensen ha eliminato centinaia di ebrei. Capisci quello che sto dicendo?»

Rimasi perplessa.
Non sapevo cosa pensare.
«Ne sei sicuro?»

«Sono venuto qui per lui. Non voglio che se ne vada all'altro mondo senza riconoscere le sue colpe, senza pagare per quello che ha fatto. Forse è l'unico a essere ancora vivo.»

«Perché lo dici a me? Perché non lo dici alla polizia?»

«Quando sono arrivato qui pensavo proprio questo: volevo rendere pubblica la sua storia e rovinargli la vita, ma sarebbe stata solo una piccola vendetta. Adesso penso che potrebbero condurmi ad altre persone. Tu entri ed esci dalla loro casa, non sospettano di te. Se tu non fossi incinta, se non avessi l'età per essere mia nipote e se io non mi sentissi un verme a domandartelo, ti chiederei di dirmi cosa vedi lì.»
«Non ho visto nulla di speciale, e poi... sono miei amici.»


«Tuoi amici? Te l'ho già detto, non voglio che tu corra alcun pericolo, ma questo pensiero toglitelo dalla testa: loro non sono amici di nessuno, sono vampiri che si nutrono del sangue altrui. E il tuo sangue li attira, è la loro linfa. Stai attenta.»


Julián sapeva molto bene dove parlare senza che nessuno ci vedesse.
Sembravamo la tipica coppia formata da un vecchio e una giovane che se ne sta mezza nascosta fra gli alberi.


Avevo già il numero dell'hotel Costa Azul, in cui alloggiava, nel caso avessi voluto mettermi in contatto con lui, ma mi disse che non sarei dovuta andarci di persona per nessun motivo, perché era sotto sorveglianza ed era pericoloso.
La cosa più sensata sarebbe stata sparire dalla vita dei Christensen e dalla sua e tornare alla mia vita di sempre.


Mi pregò di non cadere nella tentazione di raccontare qualcosa ai miei amici nazisti, di trattenermi dal farlo, altrimenti sarebbero stati guai.
«Tieni», disse dandomi la pagina di giornale, «guardali con attenzione.»
La piegai e me la misi in tasca.


Cosa sapevo io di Julián?
Niente di niente.
Era apparso un giorno a casa mia e adesso mi diceva quelle cose così strane.


Avrei potuto credergli perché i nazisti erano esistiti e tutti sapevano dell'esistenza dei neonazisti, gente fissata con la svastica e cose del genere, ma Fred e Karin?
Li conoscevo, Karin mi metteva un cuscino dietro la schiena quando mi sedevo sulla mia poltrona preferita, che era alta e aveva orecchie e poggiapiedi.
Mi sistemavano la poltrona accanto al camino anche se era spento, però quando lo accendevano era molto piacevole.
Fred non parlava molto, quando c'era si limitava a uscire per comprare pasticcini e a servirci il tè: era Karin che si faceva carico del gruppo.
Karin mi stava insegnando a lavorare a maglia e a volte Fred riceveva qualche visita e restava un bel po' a parlare con i suoi ospiti.
Cosa c'era di strano in tutto questo?


Julián mi aveva instillato il veleno del dubbio.
Aveva appena finito di raccontarmi cose terribili sul conto dei miei amici.
Mi aveva detto che l'infermiera Karin era una criminale senza scrupoli, che aveva contribuito a uccidere centinaia di persone per mettersi in luce accanto a suo marito, decorato dal Fùhrer in persona.


«Hai idea di quanto devi uccidere per meritarti una croce d'oro?»


Mi aveva obbligato a dubitare di Fred e di Karin e a dubitare di lui.
Non era più il vecchio bonario con il cappello bianco che parlava sempre di sua moglie: ora non sapevo più chi fosse.

Poteva darsi che sua moglie fosse esistita davvero ma anche no.

Poteva darsi che non volesse affittare la casa.

Non mi piaceva che si fosse preso gioco di me.


Almeno i norvegesi non avevano mentito, forse non mi avevano detto la verità, di certo non mi avevano raccontato la loro vita - il che, trattandosi di ultraottantenni, non era affatto normale -, ma in quel momento le informazioni che avevo sul loro conto erano esclusivamente frutto di ciò che avevo visto e sentito e delle mie conclusioni.


Decisi di non discutere con lui.
La cosa più sensata sarebbe stata non chiedere e non sapere altro.

Accompagnare in paese quello strano personaggio e, una volta arrivata lì, tornare da Karin.

Ma se fosse stata la verità?




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©2010, Garzanti Libri s.p.a., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol

© Clara Sanchez, 2010 © Ediciones Destino, S.A., 2010

Titolo originale dell'opera: Lo que esconde tu nombre

Traduzione dallo spagnolo di Enrica Budetta



Edited by filokalos - 26/1/2011, 17:04
 
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Lirin_Rose
view post Posted on 19/3/2011, 11:59     +1   -1




L'ho appena finito di leggere e sono totalmente sconvolta! Ho vissuto delle esperienze che mi hanno portata a capire appieno la protagonista, senza stupirmi più di tanto, ma conoscere la fine nella sua totalità, leggendo anche la parte del protagonista maschile.. è qualcosa a cui non ero preparata e che spero anche non esserlo mai! Pensavo di essere cambiata, prima di finirlo... perchè so con certezza che tempo fa avrei trepidato passo dopo passo con la protagonista, mentre adesso so che sarei andata via sulla fiducia, al primo sguardo strano della coppia.

Ora che l'ho finito, invece, so di non essere cambiata... ed in un certo senso, è una piacevole scoperta. Ho sempre odiato i finali aperti ed infatti era strano che non mi avesse dato fastidio, questa volta. Questo libro non salverà nessuno che non abbia mai capito cosa vuol dire scoprire il male in persone innocue, perchè le persone innocenti sono come bambini che non capiscono che il fuoco, pur essendo incorporeo, fa male. Ora che ho letto il finale chiuso, di lui, posso dire che questo libro è stato scritto per coloro che hanno già visto la storia.

SPOILER (click to view)
E' dura capire che la verità è oscena, che il male si nasconde dietro sentimenti positivi che tappano la nostra solitudine... ma cosa c'è di più osceno, che capire che c'è ancora altro dietro a questo e che esiste anche il bene dietro il male e che le favole però non esistono... e quel bene ha i minuti contati?

Chi può restare impassibile, mentre appare ovvio che Sandra vivrà senza saperlo, la stessa sconfitta di Julian e che ha limitato i suoi orizzonti, perchè adesso ha troppa paura del mondo là fuori? Lei non cercherà mai più il grande amore... e non è nemmeno colpa di Julian, perchè ormai si è totalmente disinteressato al mondo esterno e non ha pensato che una donna incinta di qualsiasi generazione, dopo un'avventura così, avrebbe cercato tranquillità e si sarebbe limitata ad aspettare. Sono persi, persi entrambi e nessuno dei due l'ha capito.


Non so che dire.. ho letto questo libro solo perchè volevo comprare un vestito simile e me lo sono visto nel divano di casa. Volevo tranquillità. Immagino che sia uno scherzo dell'autrice, perchè mi sono ritrovata davanti tutto ciò che volevo dimenticare. E direi che chi non capisce la copertina e non fa 2+2, anzi 1+1, alla fine del libro, non capirà mai di che capolavoro si tratta.

Per fortuna però è una storia... e noi che leggiamo siamo ancora in tempo per mettere via il rancore e vivere nuove avventure. Non riesco ad immaginare nessun'immagine migliore di quella in copertina, che unisce sia chi vuole vedere cosa c'è oltre il mare, sia chi cerca il tepore delle onde sulla spiaggia... ad ogni modo la storia parla solo di chi sta lì fermo... cosa c'è di meglio che una foto?
 
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view post Posted on 19/3/2011, 15:03     +1   -1
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Un ringraziamento sincero a questa viandante del Web che si è spinta fin qui nel Forum delle Muse per portarci un sua testimonianza raccontandoci le emozioni che solo i libri (e solo certi autori) sanno regalare. ^_^

L'augurio è che Lirin Rose torni presto per narrarci qualche altra sua esperienza con la stessa passione di oggi...

 
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Lirin_Rose
view post Posted on 19/3/2011, 21:31     +1   -1




Si si :)! Io sono una viandante nata, ma in genere ritorno sempre XD!
 
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view post Posted on 24/5/2016, 10:50     +1   -1




e' talemnte bello che l ho letto ben due volte in poco tempo!!perche??perche' e scritto alla terzani e fallaci e noel barber ed heminguay!!!li legge come bevendo un sorso di acqua frewsca con la sete!!e siccome lo leggevo avidamenTE!!ecco la necessita di riloeggerlo con piu' metodo e riflessione ed anche sottolineando intense espressioni !altro che meritevole il premio prestigioso spagnolo nadal!!!ogni protagonista riesce a coinvolegere in maniera totale!!e' bello partire da baires per la costa blanca di alicante!!ma altrettanto stupefacente rivivere queste incredibili esperienzee la dimostrazione efferata del bene e del male e i troppi che sfuggendo non hanno pagato!ma beneficiato!per merito delle colpe dei sucessori!!!irrecuperabili!!e poi rileggere delle efferatezze che anche prima e dopo di allora l'uomo riesce a fare sull'uomo??per fanatismo e occulto potere indegno e kriminalita' sviluppata???che anche oggi in afrika tutta e in asia minore e sud america ed estremo oriente in nome dell'impotente potere si continua a perseguire e sviluppare??senza fine e con continuita' in una guerra esagerata in espoanso!!abbasso l'uomo di questo genere di inumatita!!!causata da svezzamenti kriminali e cattivi e delinquenti!!grazie all autrice che con eleganza e stile ci fa rivivere e riflettere e ripensare a quanto siam cattivi in tutti i sensi!!!

trovo un vero peccato che solo 2.013 visite e solo 4 risposte???ad un TEMA ED AD UN LIBRO CHE MERITEREBBE MAGGIORI CONSENSI OLTRE AL GRANDE PREMIO NADAL PRESO A PIENO MERITO!! LIBRO SCRITTO STRAORDINARIOAMNENTE BENE E STIRIA MAI SUPERATA ED ATTUALE ANCHE CON LA ESTINZIONE DEGLI IONDEGNI,MA CHE HANNO DEGLI EREDI CHE CONTINUANO IM PERTERRITI ED INDEBITAMENTE LA KRIMINALITA PERPETRATA IN TUTTO IL MONDO!!!L,A STORIA ELA GEOGRAFIA E LA FILOSOFIA E' STATA VANA E PARE INUTILE A EVITARE IL NON ACCETTABILE RIPETIBILE E RIPETITIVITA' ANCHE OGGI GIORNO IN AFRIKA E MEDIO ORIENTE E D E STREMO ORIENTE E AMERICA DEL SUD!!HOMUS ERECTUS=DIABOLIKUS AND KRIMINAL

:arp: :azz: :sob: :phone:
 
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view post Posted on 4/6/2016, 22:05     +1   -1
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Caspita, dopo mesi di abbandono questo forum si rianima...
E dire che stavo pensando seriamente di chiuderlo...
Ben vengano i viandanti del Web e lunga vita alla Muse... ^_^
 
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5 replies since 26/12/2010, 17:31   2992 views
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