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I Baci Mai dati

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view post Posted on 6/10/2010, 12:34     +1   -1
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Super Ñasual Dating - Authentic Maidens

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I Baci Mai dati

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Librino, periferia di Catania.
Una ragazzina ha una visione di Maria.
Roberta Torre con il suo ultimo film
narra un’altra Sicilia. Senza boss...





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Immaginate la scena.
Gli abitanti di un quartiere di Catania, che curiosano nel set dell'ultimo film di Roberta Torre, chiedono: «E un film che parla di mafia?» Si sentono rispondere: «No».
Incalzando la regista: «E non c’è neanche una sparatoria?» Con lei che continua a rispondere serafica: «Neanche una».
«E allora signorina perché siete venuta fino qua a fare il film?». :hmm:

Come dirà in un'intervista Roberta Torre, gli abitanti di Librino, ex quartiere modello alla periferia di Catania, si erano persino offesi, quasi fosse stato tolto qualcosa all’identità culturale siciliana.

Le chiedevano: «Ma l’ha visto “Gomorra”?» E poi: «Quello sì che era un bel film!».
E giù a citare a memoria scene e battute.
«Questo invece di che parla? Un miracolo? Una storia di madonne? E che c’entra Librino?».

In effetti, bisogna ammetterlo, la domanda è pertinente.

Che c’entra con una storia di santeria felicemente visionaria un quartiere nato bene negli anni Settanta e finito male già negli Ottanta (80 mila abitanti contro i 60 del progetto, assordante rumore dall’aeroporto troppo vicino e una massa di casette abusive a ridosso dell’edilizia programmata)?

Roberta Torre, regista allegra di natura, morbida, bella esclamerebbe: «Come che c’entra? È uno dei protagonisti del film!».



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La regista
Roberta Torre

Perché con il suo filmino “I baci mai dati”, 80 minuti («Non riesce mai di farli più lunghi» :shifty: ), basso budget, produzione assolutamente indipendente («La mia Rosetta Film e Nuvola di Amedeo Bacigalupo che è un amico») nell'ultimo Festival del cinema di Venezia ha aperto Controcampo Italiano sezione patriottica e sperimentale.

«Solo lì, in piena estate nella periferia infuocata di Catania, in una grande città, nella città di quelle costruite senza misura d’uomo da perfidi architetti giapponesi, poteva avvenire un miracolo». Anzi più d’uno.

Il primo è produttivo: fare un film con pochi soldi, senza la Rai e andare a Venezia.
Il secondo miracolo è antropologico. Aver convinto i librinoti a partecipare a un film senza la mafia e a sottoporsi ai provini.
Oltre 500 facce sono passate davanti all’obiettivo di Roberta: «Volti d’altri tempi, scavati come nella pietra, con occhi neri neri, profonde rughe. Un mondo di facce. Io amo le facce e il ritratto».

E si vede. Una dopo l’altra, una processione di volti bisognosi di lavoro, salute, piccole gioie e un po’ di aiuto, si alternano in un potente primo piano sullo schermo per chiedere la grazia a una ragazzina adolescente che l’intero paese si convince essere una rinata Bernadette:
«Ha visto la Madonna! No, le è apparsa in sogno... Macché le è apparsa: le appare, le appare ancora!».

Terzo miracolo è la bravissima Donatella Finocchiaro nel ruolo della nervosa mamma della santa e di sua sorella Marianna, una specie di Paris Hilton di borgata concepite con Beppe Fiorello, ovvero lo sciagurato e nullafacente marito.



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Donatella
Finocchiaro

In un contesto tanto dissestato la Finocchiaro quasi non si riconosce: bionda anzi gialla, modello Barale-Ventura, strizzata in abiti due taglie sotto il dovuto e nel primo ruolo comico della sua vita.
«Io che le voglio bene le ho detto: “Donatella basta con la sicula sfigata e depressa, mo’ devi far ridere” ».

E così l’ha scoperta una seconda volta la Torre, dopo che era stata costretta a litigare con Rita Rusic per imporla in “Angela”.
«L’ho trovata in una scatola di cartone spulciando disperata le foto di vecchi provini. Vista e presa: aveva la faccia giusta».

Come anche giusta è la faccia di questa tredicenne catanese imbronciata (Carla Marchese) trovata in uno stabilimento balneare che interpreta la storia di una ragazzina eletta improvvisamente santa.

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Carla Marchese



E qui si scopre che fare la santa al Sud è un lavoro a tempo pieno. Si riceve la mattina e il pomeriggio con una breve pausa pranzo come dal medico Asl.

La mamma sulla porta incassa, lei ascolta i questuanti circondata da ceri dell’Ikea, la regista dipinge un affresco corale di una commedia umana in un Sud un po’ lamentoso, ma non disperato, che vive in un mondo surreale.



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Piera Degli Esposti



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Tra le scene "cult" del fim si segnalano:
- pescatori che sciolgono le reti nella piazza di cemento di una superquadra modello Brasilia;
- il negozio della capo-parrucchiera (cameo di Piera Degli Esposti) tinto con i colori del primo Almodóvar;
- la statua della Madonna piazzata in mezzo a Librino con curve esagerate e manone che sembra più il ritratto di un trans che una pia opera alla Manzù.

Come ammette la stessa regista: «Non è colpa mia. Ho un’anima pop».

Tale nonno (la dinastia della Torre è d'origine liguro-lombarda), tale nipote.
Roberta è da lì che ha preso la felicità dei colori, i geni creativi, l’indole allegra e libertaria.

Tanto che a trent’anni scappa al Sud, s’innamora della Sicilia, comincia a lavorare con Daniele Ciprì, fa un figlio con Franco Maresco, vive per 15 anni nell’incanto dell’Isola delle Femmine a due passi dal mare: «La Sicilia mi ha insegnato tutto. Il bello del caldo, la civiltà del vivere per strada, il senso del tempo tutto diverso da quello del Nord, il succedersi degli eventi che non è vero come pensano i nordici che siano legati da causa ed effetto ma che sono invece improvvisi e senza logica».

Come Librino, tutto. Con gli improbabili grattacieli da new town di fondazione che non c’entrano niente con le facce e i gesti degli abitanti.
Un quartiere pensato per giapponesi disciplinati, abitato da siciliani creativi.

Una cittadina di gente tranquilla, convinta che il suo momento di gloria arriverà solo con un film sulla mafia.

Una comunità che ha visto il miracolo: una Sicilia fuori dai cliché che arriva al Festival di Venezia.

E tanto sono grati alla Madonna, i librinoti, che hanno voluto la statua del film per murarla su un piedistallo accanto alla scuola.
Meglio tenerla, non si sa mai.



I BACI MAI DATI AL FESTIVAL DI VENEZIA

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Per la cronaca il film "I baci mai dati" ha vinto la quinta edizione del premio Brian, il premio della UAAR al film più laico in mostra a Venezia.

Queste le motivazioni della giuria: il film mostra «con sguardo disincantato e notevole umorismo… gli elementi di una vera e propria trappola sociale cui non è facile sottrarsi. La vicenda si conclude con un vero miracolo, che tuttavia sembra aver poco a che fare con metafisici interventi divini, molto con l’affettività terrena e l’umana empatia».

Come spiega Raffaele Carcano, segretario nazionale dell’Uaar, il premio si chiama "Brian" in riferimento al film Brian di Nazareth, la commedia dei Monty Python del 1979 che faceva la parodia dei Vangeli, anche se «a noi piace pensare anche all’anagramma di Brain, cervello».

Il nome Brian, comunque, è stato democraticamente scelto con un sondaggio sul sito internet dell’associazione, aperto a tutti i navigatori della rete.






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Titolo: I baci mai dati
Regia: Roberta Torre
Sceneggiatura: Roberta Torre, Laura Nuccilli
Fotografia: Fabio Zamarion
Interpreti: Donatella Finocchiaro, Pino Micol, Giuseppe Fiorello, Carla Marchese, Martina Galletta, Alessio Vassallo, Tony Palazzo, Valentina Giordanella, Gabriella Saitta, Lucia Sardo
Nazionalità: Italia, 2010
Durata: 1h. 20′



Liberamente tratto
da un articolo di

Alessandra Mammì



Edited by filokalos - 10/4/2011, 12:19
 
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