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Anna la puttana - Nicolai Lilin

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view post Posted on 13/1/2010, 17:51     +1   -1
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Super Ñasual Dating - Authentic Maidens

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Anna la puttana


Nella foto, l'artista nippo-russa Anna Tsuchiya,
che, ovviamente, non ha nulla a che vedere con la protagonista del racconto...
Il sottoscritto ne ha associato solo il nome e la fattezze... ;)



Nicolai Lilin

Un racconto trovato su Facebook.
Lui è un reduce dalla Cecenia
Lei è una prostituta.
Nasce un amore senza futuro.
In un paese senz'anima...





L'Autore del racconto:
Nicolai Lilin


Tornato da militare, la mia nuova vita nella società pacifica si era trasformata in un autentico inferno.

Avevo grandi difficoltà a integrarmi con il resto della Russia, provavo un odio enorme verso i russi e mi sentivo tanta rabbia dentro.

Nei primi tempi, subito dopo essere tornato dalla Cecenia, a casa mia mi sentivo come un extraterrestre.

Dopo due anni di vita in mezzo al fango, tra caldo e freddo, cibo confezionato, battaglie, morti, feriti e altri spettacoli del trionfo della follia umana, in mezzo a tutto questo che scorreva a una velocità spaziale, lì dove anche i sentimenti più profondi cambiavano il loro senso così velocemente che le persone non si accorgevano di diventare cattive o buone, forti o deboli, come in una giostra -, dopo due anni un bel giorno mi sono trovato di colpo nel mio appartamento, e mi sentivo come in una bolla di oblio.

Il senso di sporco che mi portavo addosso dalla guerra per me era diventato come una forma di sicurezza.

La pelle del corpo che si appiccica, le mani sempre unte dai residui di polvere da sparo e dall’olio in cui sono immerse le cariche nuove, il nero sotto le unghie, le labbra sempre secche e crepate dal vento, con qualche grumo di sangue secco sopra…







Le ginocchia e i gomiti sempre spaccati, graffiati, con ferite che non guariscono mai, perché non c’è abbastanza tempo.

I piedi che diventano duri, come un unico grande callo, sporchi come il cingolato di un carro armato. Sentire il mio corpo sporco mi dava sicurezza, la conferma che ero ancora vivo.

In guerra si diceva che finché soffri, vuol dire che sei vivo, quando cominci a sentire di star bene, allora vuol dire che sei morto.
Casa mia mi accoglieva in maniera molto particolare.

Da una parte ero contento di essere tornato e di poter finalmente vivere una vita normale e serena, dall’altra mi mancava tutto ciò che dava forma alla mia esistenza in guerra.

Mi ricordavo come lì, in mezzo al freddo, girando ogni giorno sotto la morte, io sognavo una vasca da bagno con l’acqua calda, con il sapone che sapeva di qualcosa di tenero, che faceva sentire un leggero pizzico sulla pelle.

Adesso che ero davanti a quella vasca, guardavo come stregato il rubinetto da dove usciva l’acqua calda e mi sentivo in trappola, in un posto non sicuro.
Tutto mi sembrava molto pulito, troppo pulito, anche l’acqua che usciva dal rubinetto era troppo pulita e calda.



A volte la guardavo scorrere per ore, sentivo con la faccia il vapore caldo che si alzava dal lavandino, e restavo lì, bloccato, come se non potessi credere che tutto questo era vero, reale.

Di notte non riuscivo a dormire, soffrivo d’insonnia, ho provato ad ubriacarmi ma non mi ha aiutato. Poi ho scoperto per caso che mi dava fastidio il silenzio.

Non riuscivo a dormire nel silenzio, così alzavo il volume del televisore e la notte passava.

Mi spostavo per casa evitando le finestre, mi davano fastidio, quelle, mi mettevano a disagio, mi facevano sentire indifeso. Le ho coperte con un panno nero, per non far passare neanche un raggio di sole, così mi sentivo veramente bene.

Mi spostavo per l’appartamento con il Kalašnikov, dalla Cecenia avevo mandato a casa parecchie armi e mi sono accorto, il primo giorno della mia vita pacifica, che se non tenevo tra le mani una pistola o un fucile mi sentivo come un invalido, come se mi mancasse una parte del corpo.

Così passavo il mio tempo a girare per casa, nel buio, con un fucile d’assalto tra le mani, in uniforme, perché non riuscivo a scambiarla con i vestiti borghesi, era diventata la mia seconda pelle.

Se qualcuno mi avesse visto così in quei giorni, senz’altro mi prendeva per matto. Forse lo ero.



Con il passare del tempo ho cominciato a migliorare, mi sono abituato a lavarmi ogni sera e a tenere i miei vestiti puliti, ho tolto i tendoni, ma continuavo a passare vicino alle finestre inchinato o veloce, come se mi aspettavo una pallottola da fuori.

Il cibo caldo mi dava un gran piacere e passavo parecchio tempo in cucina a cucinare vari piatti, di cui ero diventato nostalgico in guerra.

Ho cominciato a uscire spesso, andavo a cercare lavoro, anche se questo non mi portava nessun risultato, già in sé era un’attività, un modo per muoversi, fare qualcosa e confrontarsi con il mondo.

Siccome dopo la prima settimana di ricerche ho capito che non mi prendeva nessuno, perché ero un reduce di guerra, ho smesso di dedicare tanto tempo alla ricerca di un lavoro, giravo solamente per la città senza nessuno scopo preciso, guardavo la gente e spesso tornavo a casa arrabbiato, perché non riuscivo a perdonare a tutte le persone che vedevo intorno il fatto che ignoravano quell’inferno dove eravamo finiti noi.

Presto ho conosciuto altri veterani, qualcuno mutilato altri sani, ma tutti portavamo dentro una grande rabbia, un enorme carico negativo contro la società russa.

Per lo più tra veterani ci si ubriacava, poi da ubriachi si faceva casino e la cosa finiva lì, pochi riuscivano ad andare oltre.

Una sera, dopo il funerale di tre ragazzi che conoscevo, un mio amico, che come me non riusciva a stare in piedi per l’alcool, mi ha detto piano all’orecchio che se ero d'accordo, dopo la cena nel ricordo dei morti, lui mi portava in un posto dove ci si poteva rilassare.

Non so per quale motivo ma io ho pensato che si trattava della sauna, e siccome era il mio modo preferito per rilassarmi e lasciar perdere il resto del mondo, ho accettato.

La cena era un delirio, persone ubriache che parlavano di vivi, di morti e di altre cose, senza che io capissi i loro discorsi.

Qualcuno si arrabbiava e gli altri cercavano di tranquillizzarlo, e poi scambiandosi le parti anche loro si arrabbiavano, finché non venivano tranquillizzati da qualcuno.
Sembravamo un teatro di marionette gestito da qualcuno di molto crudele, qualcuno colpito dalla pazzia.

Non vedevo l’ora di andarmene, nell’ultima ora non ho più bevuto e l’effetto dell’alcool mi era passato.

Quando ho cominciato a vedere tutto quello che succedeva intorno a me da sobrio, mi sono sentito all’interno di un quadro di Bosch, e appena il mio amico mi ha fatto segno di seguirlo, sono scappato come se stavo fuggendo da un esercito di demoni.

Siamo saliti sulla macchina del mio amico e abbiamo attraversato la città grigia e inospitale, che sembrava vuota anche quando era piena di gente.

Fissando quell’enorme nulla attraverso il finestrino, io mi sono addormentato due volte, svegliandomi di colpo, con il cuore che saltava fuori, perché sognavo qualcosa di strano, qualcosa che mi faceva venire la sensazione che stavo cadendo, precipitando eternamente, attirato da uno spazio vuoto e buio.

Quando siamo arrivati, ho capito che non si trattava di una sauna, ma di una specie di casa privata dove le prostitute ricevevano i clienti. Mi è crollato il mondo, ero dispiaciuto. In quei giorni non volevo avere nessun tipo di rapporto con altri umani, tanto meno sessuale.

Il mio amico invece era abbastanza entusiasta e cercava di trasmettermi il suo entusiasmo con vari segnali e frase maliziose, tipo occhiolini e descrizioni di tutte le qualità delle ragazze della casa.

Per un momento ho pensato di andarmene, però non avevo voglia di attraversare di nuovo tutta la città, soprattutto a piedi o con i mezzi pubblici, così ho preferito fare finta di essere d'accordo con il mio amico e siamo entrati dentro.
Era una vecchia casa comunale abbandonata, tenuta molto bene, ordinata, sembrava uno di quegli alberghi a gestione famigliare. Siamo saliti al primo piano su una scricchiolante scala di legno. Nel corridoio c’era una luce gialla molto fioca, il mio amico mi ha indicato una porta:
"La ragazza ti piacerà, è una tipa strana, come te...".



Cosa intendesse lui quando diceva questa cosa io non gliel’ho mai chiesto, però è così che mi sono sentito dopo che sono entrato da quella porta, strano.
Ho bussato e ho sentito dei passi, la porta si è aperta, ma la ragazza si è subito nascosta in bagno.
Ho chiesto il permesso di entrare.
“Sto finendo di sviluppare le foto, ti raggiungo fra un secondo...” mi ha risposto una magnifica voce che aveva una melodia naturale, che conteneva dentro di sé un ritmo quasi poetico.

L’idea di trovare una prostituta con la passione della fotografia mi ha fatto riprendere un po’ d'interesse per la vita.

Mi sono messo a parlare con lei, con la ragazza assente, attraverso la porta del bagno.

Le chiedevo cose di nessun conto, tipo quelle leggere sciocchezze che si tirano fuori quando non si ha voglia di parlare, di fare un discorso impegnativo. Lei mi rispondeva in maniera strana, come se avvolgeva tutto il mio essere con le parole, che potevano anche non avere senso, bastava che lei continuava a parlare, a produrre suoni con l’eleganza e la melodia di un’arpa, facendomi accorgere delle cose inutili che stavo sputando fuori...



Lo faceva con un’umiltà e dolcezza che non avevo mai sentito prima nella mia vita.

Guardavo la porta chiusa del bagno e immaginavo che solo un essere supremo e meraviglioso, della cui presenza non era degna la terra, poteva avere una voce così angelica…

Dopo una mezz’ora di questo discorso mi era passata tutta la tristezza, la stanchezza della giornata era sparita e mi sentivo acceso come un fiammifero dalla voglia di trovarmi davanti a quella magia..

Ad un certo punto, mentre lei diceva qualcosa, mi sono accorto che stavo avvicinandomi piano e quasi contro la mia volontà alla porta del bagno, all’incontro con quella bellissima voce. Ho aperto la porta e ho visto una ragazza di una bellezza molto ferma e calma, assoluta.

Era seduta sul bordo della vasca, illuminata da una lampada rossa che faceva ombre strane in quello spazio stretto, così che la ragazza mi è sembrata un dipinto... Sono rimasto a fissarla, e lei mi ha detto con un tono tranquillo: "Entra e chiudi bene la porta, altrimenti le foto vengono male".

Sono entrato e mi sono messo in un angolo, senza dire niente. Lei faceva il suo lavoro, come se io non ci fossi, e io la guardavo ipnotizzato, avevo paura di respirare, come se il segno della mia presenza poteva rovinare quel bellissimo momento.

Nel buio spaccato dalla luce rossa, vedevo con quale grazia e tenerezza lei trattava i fogli. Li metteva in diverse vaschette e poi li toglieva da lì e li appendeva su un filo; tutti i suoi movimenti erano calmi e decisi allo stesso tempo, guardarla mi faceva un effetto tranquillizzante, io sentivo come la sua energia passava tra le mie cellule, sembrava una magia, ma mi sentivo pure pizzicare la punta delle dita quando la vedevo prendere un foglio nuovo e manipolarlo...

Era piena di grazia e ogni suo movimento, anche il più banale, mi sembrava l’espressione della forza della bellezza concentrata in lei da tutto il mondo.




La figura mitologica della Taiga: Amba

Quella sera non avevo voglia di fare sesso con questa persona, volevo solo starle vicino, osservarla mentre parlava, raccontandomi della sua vita...

Mi ricordava i racconti della donna lontra di mio nonno. In un fiume in mezzo al bosco – diceva mio nonno – vivevano le lontre, che certe notti si trasformavano in donne, perché erano stanche di portare la pellicce, e se le guardavi mentre si toglievano la pellicce potevi innamorartene. In questo caso non dovevi fare niente, altrimenti loro morivano dalla vergogna. Potevi solamente guardarle, finché loro non si rimettevano la pelliccia. Se rubavi la pelliccia di una donna lontra lei moriva, e Amba, spirito della Taiga, il bosco siberiano, veniva sotto l’aspetto di una tigre per punirti.

Quando ero piccolo, non riuscivo a immaginare lo stato d'animo di una persona innamorata della donna lontra. Come ci si sente, sapendo fin dall’inizio che il tuo amore non ha speranze, e non perché non sei accettato, ma per la forza della natura, perché le cose sono messe in un modo e nessuno può cambiarle...

Così mi sentivo con questa ragazza, ero attirato da lei e sentivo la sua vicinanza, ma allo stesso tempo qualche ragione che sfiorava la mia mente diceva che non potevo amarla. Una ragione che mi portava un enorme peso di tristezza, così che mi veniva difficile respirare.

Cercando di non far vedere i miei sentimenti, la ascoltavo parlare di sé. Lo faceva senza quello spirito che hanno le persone che volentieri raccontano di sé ogni piccola stupidaggine, presentandola come un principio esistenziale.

Parlava come se fosse da sola, come io parlo con me stesso nei momenti di tristezza e solitudine...



Si chiamava Anna, veniva da un piccolo paese vicino ai monti Urali. Era cresciuta tra i boschi e la sua anima conteneva ancora quella parte ingenua e pulita che ha la gente che una volta è finita davanti a qualcosa di estremamente grande e grazioso e ha capito che appartiene a quello che altri considerano una sciocchezza, fa parte di quel mondo. Lei aveva una carica naturale di energia positiva, che riusciva a trasmettere pure a me...

Ero come ossessionato dalla sua voce, mi piaceva molto stare con lei.

Abbiamo parlato tutta la notte di cose diverse, io le ho raccontato della Siberia e di mio nonno che abitava nel bosco, e degli animali che avevo visto lì, della gente che avevo incontrato e delle emozioni che avevo vissuto, lei mi ha raccontato della sua famiglia, del fiume che passava vicino alla loro casa, dei colombi che allevava insieme a suo padre, dei fiori che crescevano nei campi sotto le montagne...

Mi sembrava di conoscerla da un’eternità, ma come se non mi fossi mai ricordato di lei, e più la guardavo più questa sensazione mi cresceva dentro.
All’alba lei mi si è avvicinata e mi ha toccato la faccia, io l’ho abbracciata e ho sentito il suo odore, mi ha fatto impazzire, non sembrava un odore umano, era come qualcosa d’inspiegabile, qualcosa che può portare solo il vento che ti passa vicino e ti sfiora per un momento.



Di mattina abbiamo fatto l’amore e mi sentivo liberato, come purificato...
Non volevo andare via, siamo stati nel letto a guardarci, abbracciati stretti, fino a sera.
Quando ci liberavamo dagli abbracci sembrava che stava andando via una parte di noi, veramente era una sensazione così bella che davanti a quella tutto il resto del mondo perdeva significato.

Quella sera dovevo andarmene, avevo un appuntamento importante.
Prima di uscire ho lasciato sul suo comò cinquanta dollari, tutto quello che avevo dietro, ma lei si è alzata dal letto, ha preso i soldi e me li ha rimessi in mano.
Io ho cercato d’insistere, ho detto che non la stavo pagando, che quello era un aiuto o qualcosa di genere, ma lei ha sorriso e ha detto:"Piuttosto un giorno portami da qualche parte, usciamo insieme..."
Io mi sono sentito felice, la mia vita come se ha preso un altro respiro…
Andavo ogni sera da lei, come a casa, uscivamo insieme, giravamo la città, parlavamo, ci sentivamo legati in qualche maniera, la chiamavo spesso per sapere come stava, mi accorgevo che senza volerlo mi preoccupavo di lei.



Quando mi capitava di passare la notte da qualche parte, per affari o con gli amici, lei a volte mi chiamava dicendo che aveva fatto un brutto sogno o qualcosa del genere e sentiva che doveva essermi successo qualcosa. Allora io andavo da lei il prima possibile, e lei, quando mi vedeva, si metteva a piangere e a sorridere contemporaneamente, e io capivo che lei pensava troppo a me, e per farla sentire felice bastava solamente farsi vedere, rassicurarla che stavo bene...

Tra noi esisteva un rapporto strano, non era solamente la passione o qualcos’altro, esisteva un senso di fiducia, qualcosa che si può sentire solo verso se stessi, un sentimento profondo, quasi naturale, che non si sviluppa dal nulla, con il quale si nasce...



Lei si addormentava mettendo la testa sul mio petto, e mi stringeva la mano mentre dormiva. Io le accarezzavo i capelli e lei mi massaggiava la schiena e la testa, come piaceva a me... Accidenti, a volte sembravamo una vera coppia, eravamo una coppia.



Non pensavamo al futuro, forse come se non potesse esistere un futuro per noi due, ma vivevamo di un giorno, cercando di stare sereni. Quando io avevo soldi e i miei affari giravano bene, la portavo per una - due settimane in un paesino dove il padre di un mio amico aveva un bel pezzo di bosco. Lì c'erano le tipiche case russe fatte di legno, in mezzo ai boschi. Stavamo in una di quelle case da soli, senza vedere né sentire nessuno. In quei bei momenti eravamo a nostro agio, come se vivevamo così da sempre. Andavamo nel bosco insieme, facevamo lunghe passeggiate fino al fiume, dove ci tuffavamo; stavamo insieme nell’acqua, nudi come ci ha fatto la madre, galleggiando per delle ore, e ci sentivamo felici...



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Di sera stavamo davanti alla stufa, addormentandoci appoggiati uno sull’altra, accompagnati del rumore del legno che si spaccava nel fuoco.

Lei si trasformava, dopo un giorno che stavamo lì sembrava un’altra persona, la sua faccia era più luminosa, gli occhi diventavano profondi e brillavano come la luna piena nel cielo vuoto.

Il suo respiro era costante, tranquillo, di notte la osservavo a lungo mentre dormiva, e notavo che aveva sempre un mezzo sorriso sulla faccia, cosa che in città vedevo raramente, lì di solito aveva una espressione di stanchezza, e nel sonno non stava tranquilla, si girava, si appiccicava a me e si svegliava spesso.

Un giorno mi è capitato di finire in un guaio, dopo di che stavo malissimo, avevo delle ferite e un forte trauma cranico.

Non mi ricordavo niente di come mi avevano portato in ospedale e di che cosa facevano i medici con il mio corpicino, ma quando ho aperto gli occhi la prima cosa che ho visto è stata la faccia di Anna.

In quel momento mi è passata tutta la stanchezza e il dolore, mi sentivo così bene e felice che non pensavo più al mio disastroso stato fisico.

Mi è stata vicino per una settimana, senza allontanarsi un secondo, mi aiutava in tutto e non permetteva alle infermiere di avvicinarsi a me per più di una iniezione.



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Mi ha letto tutto il libro Il cielo non ha preferenze di Remarque, e mentre leggeva questo libro, mente sentivo la sua voce, volevo saltare dalla gioia.

Con la sua presenza ha trasformato una settimana di ospedale in una settimana di paradiso…

Il nostro rapporto è durato quasi un anno, finché un giorno non sono stato arrestato per detenzione di armi da fuoco.

Lei mi ha mandato una lettera dove mi diceva che non aveva dato a nessuno dei poliziotti i miei soldi e le mie cose che tenevo nel suo appartamento.

Mi chiedeva cosa doveva farne. Io stavo male in quel periodo, in carcere i poliziotti mi picchiavano quasi ogni giorno, cercando inutilmente di farmi confessare anche delitti che non avevo commesso. Quando le cose stanno così, cambia tutto dentro la persona...



Le ho risposto che se lei ci teneva al nostro amore e a tutto quel che di bello c’era stato tra noi, doveva andarsene subito via dal paese.

Doveva usare i miei soldi per procurarsi dei documenti e andarsene in Finlandia, rifarsi una vita lì.

Le auguravo una buona vita... :sob:

Lei mi ha mandato una lettera cortissima, che aveva un’aria di sofferenza, dove tra l’altro c’era scritto "...Rimpiango la vita che non abbiamo mai avuto..."

Lei se n’è andata in Finlandia, io sono rimasto in carcere, aspettando la fine del mio caso.

A un tratto, senza che io me ne accorgessi, i poliziotti hanno perso interesse per me e dopo qualche mese sono uscito fuori, libero come prima.



Senza aspettare altri regali dalla madre Patria, me ne sono subito andato via.

Prima pensavo tanto ad Anna, poi sempre di meno, poi soltanto qualche volta ricordavo qualcosa di lei: mi perdevo nella vita, nelle cose quotidiane, nelle nuove relazioni, e lei rimaneva sempre più lontana e mi sembrava di non ricordare più quei particolari che prima mi facevano sentire felice insieme a lei.

Qualche tempo fa ho ricevuto una lettera dalla Finlandia, dove ho trovato la foto scattata da Anna in cui eravamo insieme, io e lei, nella sua stanza, così come eravamo una volta...

Mi ha scritto che sta bene, si è sposata con una brava persona, vive in una piccola cittadina sul mare. Ha un figlio che ha chiamato col mio nome...

Mi ha detto che vuole venire a trovarmi, ma mi sa che eviterò quest’incontro, altrimenti saremo di nuovo persi nella vita che non potremo mai avere... :unsure:










Edited by filokalos - 19/11/2010, 16:54
 
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