Amy Winehouse
La collezione primavera-estate 2009 del “female pop”, il pop cantato da giovani fanciulle dalla forte personalità, ha virato decisamente.
Dopo una prolungata permanenza nell’arcipelago blues, soul e r&b, durata più o meno tutto l’anno scorso - con gli struggimenti di Duffy e di Amy Winehouse, solo occasionalmente mitigati dalle amenità di Lily Allen, Kate Nash e dalla marcata vocalità di Adele - ora l’atmosfera si alleggerisce.
Una nidiata di young ladies chiaramente tirate su a “synth-pop”, tutto ritmo e sintetizzatori, monopolizza le onde radio in Gran Bretagna e America. A parte l’americana Lady Gaga, che con il suo mix house-disco ha catturato l’immaginazione e il desiderio di fuga di milioni di persone, il momento è tutto per ragazze che si chiamano La Roux, Little Boots, LadyHawke, Bat For Lashes, Florence and the Machine.
Il cambio di rotta si vede già nei nomi: tutti soprannomi (“moniker”, in inglese) compositi e di svariata provenienza. Queste ragazze sono dei “progetti” più che degli individui in carne, ossa e corde vocali: un banale nome femminile, anche d’arte, per loro sarebbe riduttivo.
Florence and the Machine
A parte l’eccezione della neozelandese LadyHawke, la comune provenienza dal Regno Unito non è casuale.
Era inglese anche l’electro-pop di Eurythmics, Depeche Mode, Human League, Duran Duran, e di molti altri protagonisti della cosiddetta seconda British Invasion (la prima, ovviamente, era quella di Beatles e Stones): l’ondata di musica che negli anni Ottanta, attraverso l’allora neonata Mtv, conquistò l’America grazie a una colorata offensiva di orecchiabilità, superficialità ed estetica futuribile.
La Roux
La copertina dell'album
d'esordio di La Roux Certo, gran parte della pop culture è una continua rivisitazione di cose precedenti: eppure, mai come ascoltando La Roux si rimane colpiti dall’ossequio per la lezione formale e tecnologica di quegli anni.
Tale è il piglio androgino e teatrale della rossa vocalist londinese sui ritmi elettronici composti dal suo socio, il defilato Ben Langmaid, da dare l’impressione che la ragazza, vero nome Elly Jackson (La Roux sarebbe una versione spuria di “la rossa” in francese), nata a Herne Hill, sotto Brixton, sia cresciuta a pane e anni Ottanta.
Anche il look è una continua citazione: un intrigante misto di Annie Lennox e Tilda Swinton (femminilità tutt’altro che prorompente dunque), una capigliatura che cita il cantante dei Flock of Seagulls (vecchia band new wave inglese) e un senso del vestire molto, molto sviluppato: si disegna lei stessa abiti che già fanno pensare a una nuova Gaultier.
L’album d’esordio, che porta il suo nome, sta spopolando grazie ai ritmi robotici di sintetizzatori rigorosamente d’epoca su cui la Rossa innesta trame vocali dagli accenti drammatici, immancabilmente incentrate su storie di amore non corrisposto, proprio come ci si aspetterebbe da una ventenne perennemente imbronciata.
In realtà, la ragazza è venuta su ascoltando i dischi di Nick Drake e Carole King che la mamma, attrice televisiva di piccola notorietà, ascoltava da giovane: tutt’altra roba dall’electro-pop, dunque.
Qualunque ne sia la fonte, questa formula risulta ovviamente efficace, sia per il pubblico nato dopo il 1985 che per i loro genitori: La Roux sembra inarrestabile, consapevole di occupare una parte della ribalta dove si invecchia dopo un quarto d’ora e forse equipaggiata per scongiurare un destino già scritto.
Little Boots
L'Album "Hands"
Little Boots, “piccoli calzari”, traduzione del nomen latino Caligula: al secolo Victoria Christina Hesketh, 25 anni, dal nord dell’Inghilterra, è colei a cui il 2009 sarebbe dovuto appartenere di rigore.
Sebbene vincitrice dell’edizione di quest’anno del Sound of Music, concorso della Bbc in cui i maggiori critici musicali del Paese votano la migliore “next big thing”, il suo non è stato un successo travolgente, piuttosto un lento lievitare, come del resto la sua carriera (era la cantante del gruppo dance
pop Dead Disco).
Il suo album, “Hands”, uscito all’inizio di giugno, pur saldamente ancorato in acque electro-pop, sembra
meno ossessionato dalle preoccupazioni filologiche della collega: il suono è più aperto a influenze degli anni Novanta e Duemila.
Ma la differenza con La Roux, il cui suono è immune da qualsiasi accenno extra-anglosassone, sta nell’attenzione per alcuni fenomeni discotecari “continentali”, francesi e italiani in particolare.
La copertina del cd single
"Paris is burning" Decisamente più rockofila è invece LadyHawke (dall’omonimo film del 1985 con Matthew Broderick, Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer). Di vero nome fa Pip Brown, è neozelandese, ha trent’anni - un’età avanzata per una debuttante - e ha fatto parlare di sé grazie all’omonimo album solista uscito alla fine dello scorso anno e che vanta due singoli popolari, “Paris is burning” e “Back of the van”.
I rimandi anni Ottanta sono evidenti in certe atmosfere alla Stevie Nicks e soprattutto nel suono dei sintetizzatori. Il look è da groupie: la ragazza indossa preferibilmente indumenti maschili, riallacciandosi in questo a una tradizione consolidata da Chrissie Hynde dei Pretenders.
Che non è l’unica chanteuse matura da associarle: anche Kylie Minogue e Courtney Love sono fra le sue estimatrici, la prima per le comuni radici australi, la seconda, viene da pensare, per l’immagine ribelle.
Bat For Lashes
Infine, orgogliosamente fuori dal ring del pop, fiere delle proprie radici indie-rock, meritano menzione Bat For Lashes (Natasha Khan, 30 anni padre pachistano, madre inglese, di Brighton) e Florence and the Machine (Florence Welch, di Camberwell, South London: la “macchina” è il gruppo che la accompagna).
Natasha Khan dei Bat For Lashes
Entrambe fanno spellare le mani alla critica rock: la prima per il suo secondo album, il lodatissimo
“Two Suns”, collage di testi e rimandi sonori a Kate Bush e Björk. La seconda è sulla bocca di tutti grazie all’appena uscito album di debutto, “Lungs”, dove spicca il carattere di un’interprete ben al di là dei suoi 22 anni.