Stupido come un test
Gli spiriti mordenti e irridenti
come Hans Magnus Enzensberger
hanno a volte la capacità
di farci sentire dei perfetti idioti
ovvero individui con quoziente d'intelligenza
ridotto ai minimi livelli.
Stavolta però a essere messo in discussione,
anzi a essere sgretolato, distrutto,
annientato dal grande scrittore tedesco
è proprio lui, l'IQ, il concetto stesso di
quoziente d'intelligenza
e della lista infinita di test annessi
che dovrebbero servire a misurarlo.
E che invece non testano altro che
mentalità e pregiudizi di chi l'ha inventati.
In breve, i risultati dati dai test dell'IQ
non sono che artefatti statistici,
hanno ben poco di scientifico e comunque
non hanno nulla a che fare con la nostra intelligenza.
Parola di Enzensberger.
Nella sua ultima fatica, ossia il breve saggio dal titolo
"Nel dedalo dell'intelligenza",
lo scrittore, che ha da poco aggiunto
alla sua collezione di riconoscimenti
il premio Merck Serono
per i rapporti tra scienza e letteratura,
si diverte a denunciare la scarsa attendibilità
di uno dei miti dei nostri tempi,
di quella che chiama
«una strana ossessione dovuta in gran parte
alla nostra paura di essere stupidi».
Un mito che ha creato tra l'altro un ben fiorente mercato,
visto che ogni anno, solo negli Stati Uniti,
adulti e bambini si sottopongono
passivamente e di buon grado
ad oltre 500 milioni di test attitudinali.
Ma è mai possibile misurare qualcosa di così insondabile
e indefinibile come l'intelligenza umana,
si chiede l'autore del libello che,
dopo aver giocato con il termine intelligenza
elencandone accezioni,sinonimi e contrari
e dopo aver illustrato i vari tipi d'intelligenza (che arrivano a 120),
fa una breve e rigorosa cronistoria
della misurazione dell'intelligenza e dei suoi inventori.
Lo stesso pioniere di questa "ossessione",
un certo Alfred Binet che nel 1889 ebbe
la brillante idea di confezionare test
per controllare la capacità intellettiva dei bambini,
nutriva seri dubbi sulla validità della sua invenzione.
Poi ci fu H. H. Goddard che
nel primo decennio del secolo scorso
classificò gli individui in normali,
deficienti e dementi e stabilì che
tutti gli immigrati, tranne quelli provenienti dal Nord Europa,
presentavano un bassissimo livello d'intelligenza.
"Deficienti" erano per lui russi, italiani e ebrei.
Né fu da meno, ci racconta Enzensberger
con una buona dose di sarcasmo mista a rabbia,
lo psicologo Hans Jurgen Eysenck,
creatore nel 1962 di un test d'intelligenza
usato ancora oggi milioni di volte
e autore di un libro sul rapporto tra razza,
intelligenza ed educazione in cui pretende
di dimostrare che il quoziente d'intelligenza
dei neri d'America è nettamente inferiore a quello dei bianchi.
Tesi, questa, confermata nel 1994
da due grintosi studiosi americani,
R. J. Herrnstein e C. Murray,
in "The Bell Curve", un tomo di 800 pagine su
"intelligenza e struttura di classe nella vita americana"
che ha suscitato grande scalpore
ed è diventato un bestseller.
Ma anche senza conoscere la vera storia
della misurazione dell'intelligenza,
basta andare su Google a cercare il termine IQ
per verificare la stupidità di questo metodo
cosiddetto scientifico:
vi si troveranno persino test
che promettono di aumentare
le capacità manageriali del povero sprovveduto
che vi si sottopone.
Insomma, chi ha sinora creduto ciecamente
nel valore assoluto dell'IQ,
chi si è vantato di appartenere
al cosiddetto " Club dei superdotati"
(ossia di individui con quoziente superiore a 100)
o chi semplicemente si è sottoposto
ai test attitudinali imposti da ditte e istituzioni,
riderà amaro leggendo questo illuminante libretto
di uno dei grandi maìtres-à-penser del mondo di oggi.
"Nel dedalo dell'intelligenza" illustrato da algidi disegni
raffiguranti varie forme di materia cerebrale,
si conclude con una ineffabile battuta degna di Karl Kraus:
«Non siamo abbastanza intelligenti per capire cos'è l'intelligenza».