In riva all’Arno un gruppo di giovani artisti all’inizio del Quattrocento pone le basi per rinnovare le arti figurative, dando forma visibile nella fisicità e nella solidità volumetrica delle loro opere alle aspirazioni intellettuali degli umanisti.
Masaccio, Il pagamento del tributo, 1424-1425, Firenze, Santa Maria del Carmine, cappella Brancacci.
l paesaggio è scabro e spoglio, l’azione si concentra sui personaggi.
Rudi, massicci, essenziali nella loro massa geometrica,
gli apostoli si dispongono a cerchio intorno a Cristo,
componendo quello che è stato definito un “Colosseo di uomini”.
Paesaggio, figure e architettura sono sottoposti
allo stesso essenziale processo di semplificazione geometrica,
che esalta i volumi rinunciando a dispersivi effetti decorativi.
Questo episodio appartiene al primo ciclo pittorico
che abbandona decisamente ogni retaggio gotico.
La drammatica solennità statuaria è evidente
nella tensione compositiva del grandioso gruppo di personaggi,
con gesti eloquenti ed espressioni ferme.
E le opere d’arte, di ogni epoca, hanno nella loro concreta evidenza una forza dimostrativa superiore a qualunque testo scritto. L’idea guida, già nella coscienza dei contemporanei, è la volontà di far rinascere il mondo antico e di uguagliarne la grandezza: la fioritura artistica è strettamente legata all’impegno civico e all’ideale politico della città. Il classicismo dell’arte fiorentina non è rievocazione nostalgica o allusione simbolica, ma un’istanza morale, l’aspirazione a un rinnovamento: il mondo antico come modello non da imitare, ma da attuare nella realtà storica del presente.
Sandro Botticelli, La Primavera, 1478-1482, Firenze, Uffizi.
Gli alberi formano un fitto e scuro schermo alle spalle dei personaggi,
collocati in fila quasi sullo stesso piano:
il pittore utilizza consapevolmente una presentazione “a parete”
simile a quella degli arazzi, senza preoccupazioni prospettiche di profondità e spazialità.
In questa allegoria mitologica la linea fluida di Filippo Lippi
e il contorno dinamico e scattante di Pollaiolo
si sciolgono in un segno sottile, delicatamente modulato
che accentua i valori ritmici e annulla ogni valore fisico delle figure.
Le tre Grazie sono annodate in un incantevole intreccio di mani,
gesti, sguardi, trasparenze, in squisita cadenza musicale e rispondenza ritmica.
Al centro Venere non ha peso fisico, sembra levitare sospesa sul prato fiorito
Il paesaggio non ha profondità e lo spazio si appiattisce
in un arabesco decorativo, evocazione sognante e malinconica.
La volontà di astrazione, per cui le figure non sono più che apparenze simboliche,
traduce in immagini la teoria neoplatonica dello spirito
che deve liberarsi della materia fisica:
la bellezza è la via per raggiungere l’ascesi e l'Amore,
di cui Venere è simbolo, è il principio che regola l’armonia dell'universo.
Stimolato dal confronto con capolavori fiamminghi arrivati a Firenze,
Botticelli dipinge il prato fiorito con attenzione minuziosa al dettaglio botanico.
Il segno distintivo è l’aderenza profonda e consapevole all’esperienza diretta della realtà, conoscere la realtà significa avere la possibilità di agire per cambiarla: la volontà di rinnovamento è la premessa, non la conseguenza della riscoperta della cultura classica. Brunelleschi, Donatello e Masaccio negli stessi anni cambiano in modo radicale il corso della storia dell’arte.
Filippo Brunelleschi, sacrestia vecchia, 1422-1428, Firenze, San Lorenzo.
Donatello, Cantoria, 1433-1439, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo.
L’artista crea uno spazio praticabile, una galleria definita in primo piano
da coppie di colonnine aggettanti e da un fondo mosaicato,
in cui si svolge senza soluzione di continuità una sfrenata danza bacchica.
Donatello dispiega un’esuberante varietà di motivi ornamentali,
con continui effetti chiaroscurali e policromi.
Il senso di dinamismo sprigionato dalle figure e dalla decorazione è trascinante.
Non si era ancora mai vista in un arredo sacro una interpretazione così pagana,
e non tanto per il soggetto, quanto per lo spirito che la pervade:
una vitalità prorompente, una gioia fisica,
un piacere sensuale nel trattare la materia, il colore, la luce,
vibranti nella continuità dell’esperienza classica antica.
Con una scelta assolutamente geniale,
Donatello non divide la transenna della cantoria in riquadri,
ma scolpisce un fregio continuo con putti
che danzano, cantano, ridono e si rincorrono.
Si abbandonano gli ori e le decorazioni arabescate dell’ultimo gotico per sperimentare la prospettiva in composizioni sobrie, essenziali, di intenso impatto comunicativo. Si realizza il passaggio dal polittico alla pala d’altare, in cui tutti i personaggi fisici e concreti interagiscono fra loro in un’unica scena: alla visione divagante e dispersiva del gotico internazionale si contrappone una visione rigorosamente unitaria, in uno spazio armoniosamente definito da rapporti proporzionali commisurati a quelli del corpo umano, e in cui ogni oggetto ha la sua logica ragion d’essere.