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Alessandra Casella & Alessandra Scifoni - È solo un inizio, Racconto della settimana 19-26/07/2008

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Andbeat
view post Posted on 19/7/2008, 08:41     +1   -1




Alessandra Casella & Alessandra Scifoni

È solo un inizio

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Racconto della settimana 19-26/07/2008




Un racconto scritto a 4 mani, la cui parte iniziale è opera di Alessandra Scifoni, mentre quella finale è di Alessandra Casella..




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Il foglio bianco che la donna teneva in mano conteneva le parole che avrebbero potuto cambiare la sua vita:
"Vieni a vivere con me. Non ti chiedo di rinunciare al tuo sogno, ma solo di inseguirne uno nuovo insieme a me."



Queste poche parole, scritte in matita e con la calligrafia apparentemente frettolosa dell'uomo che aveva sempre creduto di amare, le regalarono un fremito.



Ma questo durò poco, come qualsiasi altra sensazione estatica provata nella sua dubbiosa esistenza.



Si trovava ora, per l'ennesima volta, pietrificata di fronte a una scelta, falsa vittima innocente delle sue passate disavventure, della sua ragione, sempre vigile nel ricordarle ciò che si chiama illusione e ciò che si chiama sconfitta.

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"Ma dov'è finita la guerriera che ero da ragazza?", pensò.



E si ricordò di tutte quelle volte in cui, dopo una forte delusione che l'aveva lasciata senza forze e con una sensazione di pesante vuoto che la immobilizzava, era riuscita a "sfruttare le energie di ciò che ci circonda, cogliere i segni che la natura, tutto l'universo ci manda, approfittare delle opportunità che la vita riserva a tutti".



Si convinceva di questo e tutto andava per il meglio.
Tutto andava bene quando riprendeva coscienza di se stessa, rivedeva delinearsi lentamente la sua strada, che la portava puntualmente in luoghi sconosciuti e ricchi di sorprese.



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Questa volta sembrava più difficile scegliere (ma ogni volta anche in passato lo sembrava!): l'uomo che le aveva detto che non l'avrebbe mai lasciata, che avrebbe fatto di tutto per renderla felice, che cucinava la minestra di verdure più gustosa e sostanziosa che avesse mai mangiato…l'avrebbe perso per sempre se avesse preso quell'aereo che, di lì a un giorno, poteva condurla a un passo dall'inizio del suo sogno e della sua nuova vita, solo sua.



L'indomani si preparò per la partenza, poi prese una decisione: sarebbe andata da lui e "se non fosse riuscita a dirgli addio, si sarebbe sciolta tra le sue braccia, sussurrandogli di amarlo e che per nessuna ragione lo avrebbe abbandonato".

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Ma lui non era in casa.
Non solo: la sua vicina le disse che era partito non si sa dove.

E lei si sentì ancor più confusa: forse era arrivata troppo tardi? E se avesse aspettato il suo ritorno? Avrebbe aspettato tutta la vita?



Aveva paura: sentiva i suoi contorni sempre più sfumati, come se Il disegnatore, dimenticandosi l'utilità e le caratteristiche del suo personaggio, avesse cominciato a cancellarla.



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Così vide i suoi piedi attraversare le sale semi-deserte dell'aeroporto, poi il corridoio dell'aereo, e infine le stesse sale semi-deserte di un nuovo aeroporto, di un luogo estraneo che forse mai le sarebbe appartenuto.



Ebbe un altro sussulto quando, in mezzo a quel deserto, vide un uomo di spalle salire su un taxi, un uomo che sembrava "il suo".



"Forse era solo un miraggio", pensò.

E in quel momento la lettera, che aveva portato con sé, fece un rumore strano, quasi impercettibile.



Arrivò quasi senza accorgersene nella piazza di quella città che non le apparteneva, alla ricerca di qualcosa che le facesse capire quale fosse la cosa realmente giusta da fare, che l'aiutasse a scegliere.



Si sedette su una panchina, mentre pensava di sentirsi sola e sbagliata. Pensò questo e mille altre cose, pensò finché il sole, che al suo arrivo era il sole cocente del pomeriggio, cominciò a calare e la sua luce ad affievolirsi...



(Alessandra Scifoni)





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Quando si alzò dalla panchina era già tardi.
Forse troppo.
Le sue cosce erano solcate dal ferro delle traverse: una striscia rossa, una bianca, una rossa, come una divisa da carcerato, o la schiena di una fedifraga araba dopo la fustigazione.
Se non altro i segni sulla pelle erano evidenti. In qualche modo si sentì consolata, giustificata. “Si vede”, pensò. “Almeno si vede”.



Lasciò vagare lo sguardo sulla piazza che non le apparteneva, ma a cui lei era appartenuta per ore, un elemento del paesaggio urbano come un altro.


E ancora non riusciva a decidere. “Un segno, voglio un segno”.



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La voce le era uscita suo malgrado, un falsetto incongruo, sgraziato.
Una donna che le passava accanto scartò di un passo, e derapò via da lei con l’andatura nervosa di un quadrupede spaventato.



“Sono io che dovrei aver paura”, pensò lei – e d’un tratto si rese conto che no, non era paura quella che sentiva. Somigliava più a una rabbia vuota, o a un rimpianto vago.



La lettera fece un rumore strano, gigante. Si portò una mano alla tasca posteriore della gonna: era lì, metà dentro e metà fuori, come lei.



Nero su bianco, anzi, grigio su bianco. Poi vide i suoi piedi che camminavano nell’indefinitezza che precede il tramonto, verso le vie piccole che partivano dalla piazza come pensieri nascosti, servette rapide a testa bassa che raccoglievano le ansie nelle pieghe delle gonne, post scriptum aggiunti in fretta prima di chiudere la busta ai ripensamenti.



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“Un segno, solo un segno”. Ma i mattoni erano mattoni, le pietre pietre, la gente niente. Lei niente.


Si fermò a un angolo, appoggiando una mano sul muro ancora caldo. E d’improvviso da una delle case uscì violento un odore denso di minestra, pesante di verdure e coltelli, che le arrivò addosso come un assalto.




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Rialzò la testa di scatto, e rimase a ingurgitare l’aria con un ansito animale, mentre una gioia irrequieta, sottile e devastante la invadeva e la spaccava e la ricomponeva.



Le sue dita si strinsero sul muro come se volessero strapparne un pezzo, e lei subito seppe che sotto ci sarebbe stata argilla, e polvere, e casa, e vita.

Sentì le linee del suo corpo che si ridefinivano, mentre lei diventava immensa, e la lettera schizzava via e si perdeva in alto, lontano, lasciando una scia luminosa e già finita.



Quasi con tenerezza carezzò la carta che le spuntava dalla tasca, bianca e grigia e definitiva.

“Va bene, andiamo”, si disse. E avanzò di un passo.



(Alessandra Casella)






 
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