LA STORIA
La corte della strage.
L'esterno dell'appartamento.
Dopo la strage gli assassini
danno fuoco all'appartamento.
Subito dopo hanno aggredito
gli inquilini della mansarda.
Sono quasi le 20.30 quando i Vigili del fuoco salgono le scale del condominio di una corte a Erba credendo solo di dover spegnere un incendio.
Al primo piano c'è però il corpo di Mario Frigerio, sgozzato ma vivo.
Dalla mansarda, sua moglie Valeria grida «aiuto», ma le fiamme impediscono di salire.
Morirà poco dopo. Vicino all'uomo c'è il cadavere di Raffaella Castagna: qualcuno ha massacrato lei, suo figlio Youssef, sua madre Paola, e ha dato fuoco all'appartamento.
Frigerio, sopravvissuto, racconta di essere sceso con la moglie spaventato dal fumo sprigionatosi: e i killer hanno colpito pure loro.
Il procuratore di Como annuncia nella notte: «Il sospettato è il marito di Raffaella, Azouz».
Ma Azouz è in Tunisia.
Una bufera si il movente è abnorme: liti condominiali.
Ma il caso è lampante.
Forse.
Il corridoio di casa Castagna.
Sulla scena del crimine non c'è traccia dei Romano.
LA RITRATTAZIONE
Passano nove mesi e i due ritrattano: hanno confessato per paura di non rivedersi più, cosi come era stato detto a Olindo quando si ostinava a negare.
Sembra pazzesco.
Ma poi arriva la perizia del Ris sulla scena del crimine: nessuna traccia loro sul luogo della strage, nessuna traccia delle vittime in casa loro.
Di più.
Si scopre che Frigerio, appena sveglio, non aveva riconosciuto Olindo, ma un gigante olivastro, diventato il vicino di casa bianco solo quando il maresciallo di Erba Luciano Gallorini gliene fece il nome.
E vien fuori che in carcere Rosa diceva al marito: «Ma cosa c'è da confessare? Non siamo stati noi».
Dai verbali risulta infine che i carabinieri saliti sul luogo della strage sono entrati la notte stessa nell'auto di Olindo per perquisirla.
Che sia arrivato, cosi, accidentalmente, il sangue sulla Seat?
LA CONDANNA
Al processo Frigerio giura: Gallorini gli fece sì il nome di Olindo, ma lui lo aveva sempre saputo.
I Carabinieri smentiscono i propri verbali: sull'auto dei Romano non è salito nessuno dei quattro firmatari dell'atto, ma un quinto, che sull'atto non c'è ma che la sera della strage non era in servizio.
E la Corte fa sentire un audio, sfuggito ai periti: quando Frigerio si risvegliò, e mentre descriveva un uomo olivastro, sussurrò: «È stato Olindo».
Strano, ma la difesa viene smontata.
Anche se il carcere dì Vigevano fa sapere che Azouz ha grossi dubbi: chiamato dal giudice, inspiegabilmente nega.
E dice solo che un uomo è andato da sua madre in Tunisia a riferire che l'assassino è un altro. Chi, non si sa. È l'ergastolo.
COLPO DI SCENA
In appello emerge che l'audio fatto sentire a Como era stato amplificato con un software che poteva aver cambiato "involontariamente" la parola "uscendo" in "Olindo".
Nelle intercettazioni "non utili" si sentono i Romano affranti per le vittime.
E le confessioni, rilasciate davanti alle foto, risultano piene di "verità mescolate a bugie": i giudici pensano però che confessarono il falso solo per poter poi ritrattare.
E respingono l'acquisizione di una intercettazione devastante: Frigerio confidava al suo avvocato di non ricordare il volto di chi lo colpì, anche se aveva già riconosciuto Olindo davanti a Gallorini.
Ma per la Corte questi referto è giunto "fuori termine".
È di nuovo ergastolo.
E quando, alla vigilia della Cassazione, Azouz spiazza tutti gridando: «Non credo che siano loro i colpevoli», e spaccando così l'opinione pubblica, è ormai tardi: la Suprema Corte chiude il caso.
La Rosi e Olli.
La coppia criminale,
evidentemente,
ha ispirato lo spiritoso "correttore"
del messaggio condominiale...
I vicini del piano di sotto. Il gigante e la bambina, li chiamavano. Perché quando camminavano fianco a fianco, lui grande e grosso come un orso, lei piccola e paffutella che per stargli accanto doveva saltellargli dietro, sembravano un fumetto. Una bambina cattiva, la Rosi. Con tutti quei brutti pensieri dentro. La mania della casa linda e pulita. L'ossessione per gli extracomunitari. L'antipatia feroce per quel ragazzo tunisino, Azouz Marzouk, «un poco di buono».
E poi l'angoscia per il figlio mai nato. L'invidia per i bimbi delle altre, per esempio per il piccolo Youssef, che faceva rumore, e lei aveva sempre il mal di testa. Youssef colpevole. Non di strillare ma di esistere, di essere nato, di giocare felice in cortile. Ora di bambini che piangono non ce ne sono più. Nel carcere in cui sono rinchiusi, Olindo Romano e Rosangela Bazzi possono dormire in pace, la loro pace (ma il popolo dei detenuti minaccia vendetta).
Davanti ai magistrati stanno ricostruendo la scena del crimine, come si dice. E se questo fosse un film sarebbe un horror. Armati di coltello, taglierino e spranga, ecco Olli e la Rosi che salgono al piano di sopra. Raffaella Castagna ha appena vuotato la spazzatura in cortile e ha lasciato la porta aperta.
Loro entrano e va in onda il massacro. Olindo che ammazza Raffaella e sua madre Paola. Rosi che sgozza il piccolo Youssef e infierisce sulle altre due donne. Poi il fuoco, per eliminare le tracce. E infine l'imprevisto. Richiamati dal fumo, accorrono due vicini di casa, Valeria Cherubini e il marito Mario Frigerio. Abbattuti anche loro. E Mario, sgozzato proprio come nei video di Al Qaeda, sopravviverà per miracolo.
Poi i coniugi sterminatori si cambiano d'abito, buttano armi e vesti insanguinate in un cassonetto. E via di corsa a Como, da McDonald's, per costruirsi un alibi e cancellare il mal di testa. Credevano di farla franca, il gigante e la bambina cattiva. Ma i sospetti cadono subito su di loro. In troppi raccontano di quelle liti condominiali sempre più feroci. E poi c'è il sopravvissuto, Mario Frigerio, che dice di aver riconosciuto Olindo.
E infine, grazie al Ris di Parma, arrivano le prove. Una macchiolina di sangue, trovata nella Seat Arosa dei Romano, rivela il Dna di Valeria Cherubini. Un'altra fa risalire a Mario Frigerio. E Olli e Rosi confessano. Ora dicono di non aver premeditato la strage. Volevano solo dare una lezione a quella «poco di buono» della Raffa. Ma confessano che ben due volte, nei cinque giorni precedenti il massacro, si erano avvicinati al portone di casa Castagna, armati di guanti, coltelli e spranga.
Dicono di aver preparato la missione punitiva leggendo Diabolik.
Il loro avvocato, Pietro Troiano, punta alla perizia psichiatrica. E alla separazione delle colpe. Perché se l'omone grande e grosso era Olindo, l'anima nera della coppia era lei, la Rosi. La bambina cattiva. L'isterica. Apparentemente docile, dicono i vicini, in realtà una vipera. Gli occhi dolci, i passettini veloci, la casina da Mulino Bianco, dove tutto era candido e perfetto. Ma lontana dal nido, Rosi Bazzi diventava un'altra. Fastidiosa e pettegola. Lui, Olindo Romano, era il suo contrario. Grosso da far paura, ma in fondo un buono, succubo della moglie. La Cattiva e il Bonaccione. In comune, una vita da poveracci. Olindo era arrivato dalla Valtellina con due fratelli, una sorella, la madre Pierella e il padre pugliese. Oggi abitano tutti a Proserpio, paesotto a 7 chilometri da Erba. Qui Olindo ha vissuto fino a 20 anni, poi se n'è andato via, dopo un litigio per una questione di eredità.
Anche Rosi Bazzi era in pessimi rapporti con la famiglia d'origine.
Con i suoi genitori, Lisa e Leonardo, non parla da sei anni.
Anche qui, una questione di soldi.
Come ha affermato mamma Lisa: «La casa l'avevamo comprata noi, ma la voleva lei. Rosangela è piena di veleno. E ha sposato un balordo. È stata sempre tremenda, mia figlia. Ma come si fa a uccidere un bambino di due anni?».
Olindo rivendica un'eredità. Rosi la casa. La rivalsa sociale è una fissa nella mente dei coniugi Romano. Lui fa il netturbino, Lei la colf. Pochi soldi, tanta fatica, la sveglia all'alba. Il divano bianco comprato sette mesi fa e pagato a rate.
E poi c'era quell'altra, l'inquilina del piano di sopra, Raffaella Castagna, figlia di Carlo, ricco mobiliere brianzolo.
Raffaella che avrebbe potuto vivere nella villona di famiglia, e lavorare nell'aziendona di famiglia e invece no, faceva la naif, si occupava di malati mentali e anziani disabili, tossici e ragazzi Down, e viveva lì, nella palazzina di via Diaz, e forse li guardava in modo strano, lei così estroversa, così diversa da loro due, chiusi nel loro piccolo mondo antico, diffidenti, maniacali, loro con l'appartamento più piccolo, il Tv al plasma ma senza satellite, «perché costava troppo».
Subito dopo il matrimonio i Romano si erano stabiliti a Canzo. E anche lì i rapporti condominiali erano stati pessimi. Proteste, lamentele, litigi. La verità è che in ogni casa della sua vita, Rosi ha sempre avuto problemi. Troppi rumori, troppo disordine. Prima è scappata da sua madre, poi da Canzo, dove ha vissuto fino al 2000. Quando con Olindo si trasferisce al piano terra della palazzina di via Diaz e conosce Raffaella è subito rissa.
Poi arriva Azouz, il «poco di buono», e la situazione peggiora. Quando nasce Youssef per Rosi è l'inizio di un incubo. Perché nella famiglia del tutto in ordine, tutto a posto, mancava appunto un figlio. Lo volevano, ma dopo una gravidanza extrauterina e un aborto spontaneo addio speranze. E Youssef che faceva rumore, che strillava, che rideva, era un motivo in più per detestare i vicini del piano di sopra. Due mondi lontani. Da una parte Raffaella e il tunisino, disordine e confusione. Dall'altra i Romano, la monotonia di una vita sempre..
OLINDO E ROSA
Mentre il padre di Raffaella, Carlo Castagna, stupisce tutti dicendo di perdonare gli assassini, le indagini filano subito su Olindo Romano, spazzino, e su sua moglie analfabeta Rosa Bazzi, vicini di casa, che con Raffaella avrebbero dovuto affrontarsi in una causa civile due giorni più tardi.
Li arrestano l'8 gennaio: Frigerio, dicono, ha riconosciuto subito l'aggressore in Olindo. E c'è una macchia di sangue della Cherubini sulla sua Seat. Due giorni dopo la coppia confessa: hanno ucciso, sono andati a casa a cambiarsi e sono fuggiti a Como per crearsi un alibi. Lo ribadiscono in un video allo psichiatra della difesa Massimo Picozzi, nel tentativo di convincerlo che sono due pazzi. Uguale.
Lui che si alza all'alba, lui innamorato del suo camper parcheggiato davanti a casa, pulitissimo e quasi mai usato. Lui che va a letto presto e qualche volta ci dorme, nel camper, per non sentire i rumori del piano di sopra. Fra le due famiglie è guerra totale. In via Diaz tutti sapevano di Rosi che odiava Rafia, di Rosi che chiamava Youssef «figlio di puttana».
Era una questione dì principio. Per Rosi la casa era tutto. Quei 75 metri quadri al piano terra erano il suo regno, il suo fortino.
Dentro, la vita doveva trascorrere sempre uguale, senza sorprese. La Rosi, brianzola doc, formichina operosa, non riusciva proprio a sopportare il diverso da sé. E quella coppia con uno stile di vita così differente dal suo le dava sui nervi.
Come racconta Giada Cantoni: « Rosi si lamentava quando qualcuno metteva i panni alle finestre, "la polvere poi mi entra in casa. Come fate a non capirlo?». E invece quelli non capivano.
Racconta Simone Minonzio, testimone di nozze di Raffaella: «Per eliminare ogni rumore Raffaella aveva fatto fare dal padre un pavimento di cotto, ma non bastava. Allora l'aveva ricoperto di tappeti, agli ospiti chiedeva di togliere le scarpe, di non muovere le sedie. Era pazzesco. Quella citofonava, saliva e la insultava con una rabbia furibonda. Odiava lei e il bambino».
Odiava tutti, la Rosi. Ogni giorno, all’albo, tutti la vedevano uscire col maritane, lui che andava al lavoro, lei che andava a fare la spesa.
E poi tornava a casa. A riordinare. La lavanderia garage era il suo regno. Lì lavava, puliva, stirava. Lì si sentiva realizzata.
Peccato per quei vicini. Per i litigi continui. Che spesso degeneravano. Come nella notte di San Silvestro del 2004, quando Olindo e sua moglie avevano buttato a terra Raffaella e le avevano procurato lesioni personali. Ma lei era tosta, li aveva denunciati.
E proprio il 13 dicembre, due giorni dopo il massacro, doveva esserci un'udienza davanti al giudice di pace. I Romano avrebbero perso la causa, avrebbero dovuto pagare un risarcimento di 3500 euro. Poca roba, ma c'è chi vede proprio in questa scadenza il motivo scatenante del massacro. Rosi e Olindo, soprattutto lei, la Rosi, non potevano sopportare che Raffaella avesse la meglio, che un giudice gliela desse vinta. Che la obbligassero a risarcire «quella lì».
Un'umiliazione. Un'ingiustizia. La legge che dava ragione ai diversi. Roba da far venire il mal di testa, quasi peggio del pianto di un bambino. Non restava che la missione punitiva. La strage. Per difendere la loro vita, il loro nulla. Per difendere quella casa che era il loro amatissimo carcere personale. E ora che in carcere ci sono finiti davvero, forse scopriranno che non c'è poi tanta differenza fra ieri e oggi. Dal carcere privato a quello pubblico non cambia poi molto. Forse c'è più disordine. Forse le mura non saranno linde e pulite. Ma finalmente non ci saranno bambini che strillano e disturbano. Perché la Giustizia pronunci la sua ultima e definitiva parola sulla strage di Erba, mancano pochi giorni. Rosa e Olindo Romano, giudicati colpevoli nel processo di primo grado a Como e in quello d'Appello a Milano, si giocano l'ultima carta per evitare l'ergastolo il 3 maggio, a Roma, davanti alla corte di Cassazione.
Si dichiarano innocenti. Ma su di loro pesano le confessioni (poi ritrattate) e soprattutto la testimonianza di Mario Frigerio, superstite e super-teste della strage. Mentre la moglie Valeria Cherubini viene massacrata, lui, colpito da una coltellata alla gola si salva per miracolo.
Nei primi giorni in ospedale, non fornisce elementi utili alle indagini. Ribadisce di aver visto in faccia il suo aggressore, alto e di carnagione olivastra, ma di non averlo riconosciuto.
Finché il 26 dicembre, a due settimane dai fatti, avviene la svolta. Quella mattina, le microspie nascoste nella sua stanza d'ospedale registrano le parole di Manuel Gabrielli, avvocato di Frigerio: «Il suo cervello piano piano ricorderà» dice il legale.
Ma l'evento che Gabrielli ipotizza, è già avvenuto. Pochi minuti prima, Frigerio, incontrando i magistrati, ha dichiarato che ad aggredirlo è stato Olindo Romano. E lo ha detto sicuro, nonostante i pm lo invitassero a dimenticarsi di ciò «che le han detto i carabinieri» e a non sentirsi «condizionato».
I PM gli chiedono anche: «Noi non la spaventiamo, no, come i carabinieri?».
In quei momenti però l'avvocato forse non c'è. E non sa nulla, perché, rientrando nella stanza pronuncia quella frase: «Mancano i suoi ricordi, il suo cervello piano piano ricorderà».
E poi: «Ma pian piano si stan schiarendo i suoi ricordi oppure?...».
E al filo di voce del teste, il legale risponde che il dottore, magari, «può aiutare... di sviluppare i ricordi».
Va rilevata anche l'esistenza di intercettazioni in cui Frigerio, dopo aver detto al maresciallo di Erba Luciano Gallorini che l'aggressore poteva essere Olindo, il 22 diceva al suo avvocato di non ricordare nemmeno il volto dell'assassino. E ai figli, la vigilia di Natale, di non aver «un c... da dire» ai pm.
Le intercettazioni, clamorosamente divergenti dalle dichiarazioni in aula e dai verbali di Frigerio e del figlio Andrea, furono respinte in appello in quanto giunte «fuori termine».
Ma ora queste scoperte fanno emergere un elemento oggettivo: quando il testimone è con i carabinieri o con i pm dice di ricordare, quando è con il suo avvocato no. Perché?
CONVERSAZIONI FANTASMA
Rosa Bazzi durante il processo
Il pomeriggio dello stesso giorno, Andrea spiega al padre che verrà nuovamente valutato dallo psichiatra, lo stesso che ha detto ai pm che è «cosa normalissima» che la mente possa falsare i ricordi.
Infatti, alle 11.30 del 27 dicembre il dottor Claudio Cetti, responsabile del Centro di Salute Mentale, va ad annunciare un test per il giorno successivo. Già che c'è, pone questioni banali, sottrazioni, tipo «100 meno 7», e Frigerio sbaglia o fa fatica.
Lo psichiatra osserva: «Non riesce a concentrarsi». Gli chiede da quanto tempo è ricoverato: «21 novembre?... Ma no...» perché è dall'11 dicembre che Frigerio è lì.
Il 28 tutti attendono il test. Finalmente le intercettazioni riveleranno se Frigerio ricorda Olindo (come detto a Gallorini e ai pm), o non ricorda nulla (come detto a Gabrielli).
E quindi sapremo se Olindo sia colpevole o no. Ma in attesa che arrivi lo psichiatra, succede qualcosa di strano: dalle 11.49 del 28 dicembre fino alle 9.55 del 3 gennaio 2007 le intercettazioni si interrompono.
Non sappiamo nulla di cosa accadde in quei giorni, mentre l'indagine andava sui Romano.
E non sapremo mai cosa disse Frigerio al dottor Cetti proprio quel 28 dicembre, perché l'unica relazione del medico in atti è firmata 8 gennaio 2007, stesso giorno degli arresti di Olindo e Rosa: «La memoria è ben conservata e, come confermano anche i figli, i suoi racconti sono coerenti e perfettamente in sintonia sul piano di realtà».
Ma la domanda resto: perché ai pm e ai carabinieri Frigerio diceva di ricordarsi e al suo legale no?
Cosa accadde nella sua mente tra la vigilia di Natale, in cui non aveva «un c... da dire», e Santo Stefano, quando disse subito «l'Olindo», prima di tornare ancora al buio col suo legale? Chissà.
Rimane però da chiarire l'ultimo particolare.
Il 26 dicembre, Andrea, parlando con gli zii, fa un riferimento ai militari che presidiano la stanza del padre: «Ieri mattina arrivo qui, non ci sono fuori i carabinieri... eh, dov'è che sono? Erano dentro a parlare con lui!».
I carabinieri forse erano entrati per fare gli auguri. Ma il problema e che dalle 6.20 fino a quando Andrea arriva alle 7.03 e li trova dentro, sui brogliacci c'è scritto: «Nessuna conversazione».
E la domanda allora è: cosa ci facevano all'alba i carabinieri di guardia, muti, nella stanza di Frigerio?
Ma se Andrea sostiene che i carabinieri erano a parlare col padre e il padre conferma che entrarono a salutarlo, perché sul brogliaccio venne scritto «nessuna conversazione»?
Perché non c'è alcun audio del colloquio tra i carabinieri e Frigerio, nel giorno che precede il riconoscimento di Olindo?
É FINITA COSÌ
La casa di Olindo e Rosa fu messa all'asta già prima della pronuncia della Cassazione, per poter risarcire l'unico superstite della strage, Mario Frigerio, che oggi non vive più a Erba.L'appartamento dove vivevano Raffaella, Youssef ed Azouz, in forza di un testamento che la famiglia di lei conservava, è andato invece al nipote della donna, figlio di Beppe Castagna.
Pare che possa diventare una sede della Caritas.
Azouz è tornato a vivere in Tunisia con la nuova maglie, Michelalovo, conosciuta in un bar di Lecco e da cui ha avuto una figlia. Tra i protagonisti processuali della vicenda, Nunzia Gatto, il pg di Milano che in appello aveva chiesto e raggiunto la conferma dell'ergastolo dei Romano, ottenne il 10 maggio 2011 il posto dà procuratore aggiunto di Milano, vincendo in volata, raccontano le cronache, la corsa con il sostituto procuratore Alfredo Robledo.
Tra le motivazioni, scrisse l'Ansa: «c'è un esplicito richiamo al processo a Olindo e Rosa, con la sottolineatura che Gatto è stata il primo magistrato in un dibattimento di secondo grado a utilizzare per la sua requisitoria supporti audio e video».
E poi, naturalmente, ci sono i Romano, che continuano a proclamarsi innocenti.
Prima ancora che arrivasse la sentenza della Suprema Corte, uno dei legali che li difese gratuitamente, Fabio Schembri, annunciò che stava già raccogliendo le nuove prove necessarie per chiedere la revisione: prove a cui aggiungere le intercettazioni respinte dal processo e diversi altri elementi, fra cui 70 testimonianze, escluse dal dibattimento.
«Andremo avanti per anni, se necessario. Ma le prove le troveremo di sicuro» ha tuonato Rosa è detenuta nel carcere di Bollate, Olindo a Opera. Si vedono tre volte al mese, due ore per incontro. Olindo è oggi sotto processo per aver aggredito un agente di polizia penitenziaria a Piacenza.
Ma in aula ha negato dì averlo fatto. Anzi. Ha raccontato l'episodio con estrema calma. Un episodio surreale: dice che aveva appeso con lo scotch un sacchetto di plastica al soffitto delta cella, perché il soffitto perdeva acqua, che gli finiva sul letto.
L'agente è entrato per un controllo, ha visto il sacchetto lassù e ha spiccato improvvisamente un salto per staccarlo e capire che diavolo avesse combinato. Ed è stato qui che, terrorizzato, Olindo ha messo le mani avanti, per paura che gli franasse addosso e gli facesse male.
Ma ha finito per spingerlo. Poi, si è accesa una discussione e sono volati insulti. «Tutto qui».
Il giudice, non riuscendo a comprendere come quell'omone grosso dalla voce ridìcola e dalla erre moscia presentato come un diabolico assassino potesse avere un comportamento tanto strambo e impaurito, ha finalmente disposto per lui una perizia psichiatrica, negata nei tre gradi di giudizio sulla strage di Erba.
Forse, quando arriveranno le conclusioni, potremo finalmente sapere qualcosa sulla personalità dello spazzino, uno che credeva che in galera avrebbe goduto di una «cella matrimoniale» perché con Rosa si era «regolarmente sposato» in chiesa.
abbatte sui magistrati. Bisogna cercare il colpevole.