Il Forum delle Muse

Posts written by Filokalos

view post Posted: 15/5/2013, 06:39     La depressione nel sangue. - Psicologia
La pagina va rifatta ma piace far notare che è stata citata da questo sito :e vai!:
view post Posted: 28/4/2013, 16:03     Ore Griffate - Imago

Ore Griffate

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In principio fu Swatch.
Ora i grandi marchi della moda
mostrano il lato più divertente
dell’industria del tempo




Gli orologi provenienti dal mondo della moda o di quei marchi che più sanno fare tendenza mostrano il lato divertente e meno impegnativo dell’industria del tempo. A livello di design e di funzionalità, innanzitutto.



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Belle Époque
Design modernista, modello
Damiani illuminato da
ceramica bianca e brillanti
(2.785 euro, damiani.com)

Belle Epoque Ceramica: La collezione di gioielli ed orologi Damiani ispirati alla mitica epoca parigina.
L’ultima creazione dell’orologeria Damiani è un omaggio alla Belle Époque, quei primi anni del ventesimo secolo, in cui il cambiamento, lo sfavillio, il buon gusto, l’esclusività e la “joie de vivre” costituivano il filo conduttore di una nuova generazione.
La Belle Époque è da sempre sinonimo di eleganza senza tempo e design pulito e raffinato, un orologio in ceramica high tech e diamanti, da indossare tutti i giorni, che racchiude queste caratteristiche.
Una reinterpretazione in chiave orologiaia del design iconico della collezione di gioielleria Belle Epoque, il cui leitmotiv creativo caratterizza la lunetta interna ispirata alle pellicole cinematografiche.



Interessante si rivela anche l’aspetto del prezzo: quando è contenuto a fronte di forti contenuti stilistici, rende l’orologio ancora più attraente . In questo campo, da una trentina d’anni fa scuola Swatch, che non si smentisce nemmeno con l’ultima collezione primavera-estate, pur trovando sulla sua strada molti validi concorrenti come Hip Hop o Toy Watch.



Hip Hop si presenta in una veste inedita, frutto di un lavoro artigianale e di una ricerca tecnologica sorprendete. La collezione JEANS è realizzata con un esclusivo processo produttivo, battezzato RPL ® (Rubber Pressing Lamination) che, grazie alle nanotecnologie, permette la fusione tra jeans e silicone, senza bisogno di collanti o elementi tossici e dannosi. Risultato: un orologio resistente e idrorepellente, senza rinunciare allo stile.




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Jeans collection. L’ultima creazione del marchio italiano Hip Hop ha struttura in morbido silicone rivestita di vera tela denim (42 euro)




La Bulova Corporation ha annunciato il Bulova Precisionist Chronograph. Questo orologio, pietra miliare nella storia dell'orologeria, è caratterizzato da una precisione al millesimo di secondo nell'arco di dodici ore, ed è puntuale entro dieci secondi l'anno.
Una straordinaria estensione della rinomata tecnologia Bulova Precisionist, il Bulova Precisionist Chronograph aggiunge una misurazione del tempo con una precisione unica al mondo, con una lancetta dei secondi in continuo movimento, e offre un design che riflette la qualità della tecnologia contenuta nell'orologio, rafforzando la tradizione Bulova di design e innovazione nella misurazione del tempo.



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Bulova Precisionist Modello sportivo Bulova, con impermeabilità garantita fino a 100 metri (360 euro)]



Di solito, le griffe portate al polso puntano sui materiali più moderni come l’acciaio, l’alluminio o la ceramica, mentre è sempre l’inossidabile e lucente metallo a scolpire le forme di molti apprezzati orologi sportivi: i cronografi Breil o i modelli subacquei di Philip Watch, ad esempio.

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Il subacqueo Philip Watch Caribbean ha una tenuta
stagna fino a mille metri (980 euro)



Philip Watch Caribbean: La storica collezione della Maison orologiera si ispira al celebre Caribbean 1000, il modello subacqueo dalla fama leggendari.




Quasi a voler esorcizzare la crisi che, anche nel regno del lusso, purtroppo sembra non voler andare via tanto presto, di tanto in tanto ricompare anche l’oro, quello zecchino usato da Dolce & Gabbana o quello placcato di Emporio Armani.




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Emporio Armani CLASSIC (AR1670)



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Classica impostazione per Linea DG7 Elegant,
il primo orologio con movimento automatico e
cassa in oro realizzato da Dolce & Gabbana
(12.500 euro)

CLASSIC (AR1670) è un orologio da donna della collezione 2013 di EMPORIO ARMANI.


Dotato di movimento quarzo analogico, ha una cassa in acciaio, con finiture lucido - rose gold.

Il cinturino in pelle, nude, con finiture coccodrillo, lo rende unico ed esclusivo. ^_^



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Morellato Romeo: Design originale,
cinturino in pelle tecnica tipo militare (129 euro)

Numerazione romana per il quadrante dell’orologio in acciaio placcato oro.


Dolce & Gabbana DG7: Cassa con profilo esterno curvo, quadrante con cifre romane stilizzate, movimento a carica automatica di produzione svizzera visibile attraverso il vetro zaffiro del fondello.

Realizzato in acciaio, acciaio/oro e oro con e senza inserto rubino nel quadrante; cinturino in alligatore con chiusura pieghevole a doppio snodo, oppure con bracciale “Maglia Milano”.


Le versioni in acciaio colorato e in oro colorato sono ottenute attraverso uno speciale trattamento di trasferimento ionico di particelle PVD (Physical Vapour Deposition). :blink:


Morellato ROMEO: garanzia originale Morellato di due anni, collezione Romeo, movimento al quarzo multifunzione, cassa in acciaio da 44mm, bracciale in acciaio, quadrante policromo, datario sull'8, vetro minerale, Wr 50 metri. Per questo prodotto la spedizione è GRATUITA e la consegna avviene in due giorni in Italia.




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Breil Enclosure

• Orologio cronografo con allarme per uomo con cassa
• Bracciale in acciaio satinato.
• Diametro orologio di 43,5 millimetri.
• Lunetta tachimetrica nera in alluminio lucido con serigrafie silver.
• Quadrante antracite opaco.
• Contatori neri con dettagli bianchi.
• Indici e sfere luminose.
• Movimento al quarzo.
• Datario.
• Fondello serrato a vite.
• Water resistant 100 metri.
• Finitura dell'orologio satinata.
• Chiusura diver.
• Prezzi ufficiali da €168 a €225






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Burberry - The Britain
Cassa dal diametro ridotto,
38 millimetri, per il pubblico
femminile (1.595 euro)

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• Cronografo in acciaio inossidabile da 47 mm con cinturino in pelle
• Ore, minuti, piccoli secondi, cronografo, data
• Originale cassa ottagonale arrotondata
• Finitura in acciaio inossidabile con bordo smussato lucido e spazzolatura verticale
• Paletti in acciaio inossidabile spazzolato
• La cassa è impermeabile fino a 10 ATM (100 metri)
• Fondello a vite in acciaio inossidabile curvato
• Lancette grigio piombo spazzolato con Super LumiNova bianco sporco
• Il cristallo zaffiro antiriflesso, antigraffio e antiurto offre protezione dagli agenti atmosferici
• Cinturino in pelle color marrone matt
• Dettaglio bianco cucito a mano
• Fibbia ad ardiglione
• Cassa 47 mm




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Ferragamo F-80 Pilot: Stile militare per Pilot F-80, cronografo al quarzo con cassa in acciaio annerito e cinturino in gomma.

Accattivante nell’aspetto, performante nelle funzioni, l'F-80 è un GMT dedicato ai globetrotters più esigenti.

• Dimensione 44 mm
• Movimento Quarzo GMT 24h ISA 8176 / 2050
• Cassa Fibra di carbonio
• Quadrante Nero con texture orizzontale
• Indici e lancette gialli
• Indicatore del secondo fuso orario con logo doppio Gancino
• Data alle ore 6
• Imperm. 50 metri
• Bracciale Caucciù verde kaki
• Fibbia deployant
• Vetro Cristallo zaffiro antigraffio e antiriflesso
• Costo: 1.540 euro.

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Ralph Lauren Sporting
Look militare da Ralph Lauren. Orologio di tendenza, con un marcato stile militare e la grande cura dei dettagli: la cassa è in acciaio annerito e il cinturino è in tela verde oliva, mentre il quadrante è di chiara e immediata leggibilità, con cifre luminescenti su fondo nero.

Il movimento automatico è dotato di certificato ufficiale di cronometria.

• Acciaio inossidabile, finitura a canna di fucile
• Movimento Manifattura RL750 realizzato da Jaeger-LeCoultre
• Meccanico a carica automatica
• Ore, minuti, secondi, cronografo, data, scala tachimetrica
• Diametro: 44,80 mm
• Impermeabilità: 5 bar (~50 m)
• Cinturino in tela effetto consumato verde oliva, fibbia ad ardiglione
• Fondello con vetro zaffiro nero fumé
• Lancetta del cronografo centrale arancio brillante smaltato.
• Costo: 2.950 euro,




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Octea Abyssal - silver
Alluminio e ceramica per l’orologio Svarowski con movimento automatico

• Un orologio sportivo impermeabile fino a 200 m.
• Datario e lunetta girevole in ceramica nera sfaccettata.
• Cassa 44 mm in acciaio opaco e lucido e alluminio argentato opaco;
• Quadrante bianco argentato opaco;
• Indici bianchi applicati in LumiNova®;
• Lancetta secondi blu notte;
• Cinturino in alluminio argentato;
• Movimento automatico svizzero.
• Misura approssimativa: 44 mm / 21 cm
• Costo: 1.195 euro



Swatch Acciaio Skin
Spigliato, fa parte della collezione Swatch primavera/estate 2013


• Materiale del cinturino : Acciaio inox (regolabile)
• Materiale cassa: Plastica / Inox
• Impermeabilità all'acqua: 3 Bar
• Diametro cassa: Ø: 34,00 mm
• Lunghezza cassa: 3,90 mm
• Altezza Cassa: 38,00 mm
• Costo: 90 euro




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Tudor Heritage Black Bay



Tudor Heritage Black Bay
Sembra un orologio d’altri tempi, invece è la novità che Tudor ha in serbo per gli appassionati del genere.

Modello subacqueo professionale, con impermeabilità testata fino a 200 metri di profondità, dalla ghiera girevole graduata con i tempi d’immersione e indicazioni luminescenti.

Due le versioni: una con cinturino in pelle (2.470 euro), l’altra con bracciale d’acciaio (2.720 euro), entrambe dotate di cinturino addizionale in tessuto.

Cassa in acciaio, movimento meccanico a carica automatica.





Edited by filokalos - 7/5/2013, 16:06
view post Posted: 23/4/2013, 10:17     - Delitti Italiani

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QUANDO: L'11 dicembre 2006, poco dopo le 20.
DOVE: la corte di via Diaz, a Erba
VITTIME: Raffaella Castagna, 30 anni,
.................suo figlio Youssef Marzouk, 2 anni e 3 mesi,
.................Paola Galli (mamma di Raffaella), 65, e
.................Valeria Cherubini, 55, che abitava nella mansarda del palazzo.
.................Ferito gravemente, sopravvive il marito della Cherubini, Mario Frigerio, 65.
COLPEVOLI: Olindo Romano, 44 anni,
.................e sua moglie Rosa Angela Bazzi 43.

Condannati all'ergastolo in primo grado dalla Corte d'Assise di Como il 26 novembre 2008,
la sentenza viene confermata in appello a Milano il 20 aprile 2010 e in Cassazione il 3 maggio 2011.
Dopo aver confessato, prima dell'inizio del processo hanno ritrattato.
Da allora si proclamano innocenti.




LA STORIA



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La corte della strage.
L'esterno dell'appartamento.
Dopo la strage gli assassini
danno fuoco all'appartamento.
Subito dopo hanno aggredito
gli inquilini della mansarda.

Sono quasi le 20.30 quando i Vigili del fuoco salgono le scale del condominio di una corte a Erba credendo solo di dover spegnere un incendio.

Al primo piano c'è però il corpo di Mario Frigerio, sgozzato ma vivo.

Dalla mansarda, sua moglie Valeria grida «aiuto», ma le fiamme impediscono di salire.

Morirà poco dopo. Vicino all'uomo c'è il cadavere di Raffaella Castagna: qualcuno ha massacrato lei, suo figlio Youssef, sua madre Paola, e ha dato fuoco all'appartamento.

Frigerio, sopravvissuto, racconta di essere sceso con la moglie spaventato dal fumo sprigionatosi: e i killer hanno colpito pure loro.

Il procuratore di Como annuncia nella notte: «Il sospettato è il marito di Raffaella, Azouz».

Ma Azouz è in Tunisia.

Una bufera si il movente è abnorme: liti condominiali.

Ma il caso è lampante.

Forse. :o no?:



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Il corridoio di casa Castagna.
Sulla scena del crimine non c'è traccia dei Romano.

LA RITRATTAZIONE

Passano nove mesi e i due ritrattano: hanno confessato per paura di non rivedersi più, cosi come era stato detto a Olindo quando si ostinava a negare.
Sembra pazzesco.
Ma poi arriva la perizia del Ris sulla scena del crimine: nessuna traccia loro sul luogo della strage, nessuna traccia delle vittime in casa loro.
Di più.
Si scopre che Frigerio, appena sveglio, non aveva riconosciuto Olindo, ma un gigante olivastro, diventato il vicino di casa bianco solo quando il maresciallo di Erba Luciano Gallorini gliene fece il nome.
E vien fuori che in carcere Rosa diceva al marito: «Ma cosa c'è da confessare? Non siamo stati noi».
Dai verbali risulta infine che i carabinieri saliti sul luogo della strage sono entrati la notte stessa nell'auto di Olindo per perquisirla.
Che sia arrivato, cosi, accidentalmente, il sangue sulla Seat?



LA CONDANNA

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Al processo Frigerio giura: Gallorini gli fece sì il nome di Olindo, ma lui lo aveva sempre saputo.

I Carabinieri smentiscono i propri verbali: sull'auto dei Romano non è salito nessuno dei quattro firmatari dell'atto, ma un quinto, che sull'atto non c'è ma che la sera della strage non era in servizio.

E la Corte fa sentire un audio, sfuggito ai periti: quando Frigerio si risvegliò, e mentre descriveva un uomo olivastro, sussurrò: «È stato Olindo».

Strano, ma la difesa viene smontata. :blink:

Anche se il carcere dì Vigevano fa sapere che Azouz ha grossi dubbi: chiamato dal giudice, inspiegabilmente nega.

E dice solo che un uomo è andato da sua madre in Tunisia a riferire che l'assassino è un altro. Chi, non si sa. È l'ergastolo.




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COLPO DI SCENA

In appello emerge che l'audio fatto sentire a Como era stato amplificato con un software che poteva aver cambiato "involontariamente" la parola "uscendo" in "Olindo".
Nelle intercettazioni "non utili" si sentono i Romano affranti per le vittime.
E le confessioni, rilasciate davanti alle foto, risultano piene di "verità mescolate a bugie": i giudici pensano però che confessarono il falso solo per poter poi ritrattare.
E respingono l'acquisizione di una intercettazione devastante: Frigerio confidava al suo avvocato di non ricordare il volto di chi lo colpì, anche se aveva già riconosciuto Olindo davanti a Gallorini.
Ma per la Corte questi referto è giunto "fuori termine".
È di nuovo ergastolo.
E quando, alla vigilia della Cassazione, Azouz spiazza tutti gridando: «Non credo che siano loro i colpevoli», e spaccando così l'opinione pubblica, è ormai tardi: la Suprema Corte chiude il caso.



La Rosi e Olli.


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La coppia criminale,
evidentemente,
ha ispirato lo spiritoso "correttore"
del messaggio condominiale... :huh:

I vicini del piano di sotto. Il gigante e la bambina, li chiamavano. Perché quando camminavano fianco a fianco, lui grande e grosso come un orso, lei piccola e paffutella che per stargli accanto doveva saltellargli dietro, sembravano un fumetto. Una bambina cattiva, la Rosi. Con tutti quei brutti pensieri dentro. La mania della casa linda e pulita. L'ossessione per gli extracomunitari. L'antipatia feroce per quel ragazzo tunisino, Azouz Marzouk, «un poco di buono».
E poi l'angoscia per il figlio mai nato. L'invidia per i bimbi delle altre, per esempio per il piccolo Youssef, che faceva rumore, e lei aveva sempre il mal di testa. Youssef colpevole. Non di strillare ma di esistere, di essere nato, di giocare felice in cortile. Ora di bambini che piangono non ce ne sono più. Nel carcere in cui sono rinchiusi, Olindo Romano e Rosangela Bazzi possono dormire in pace, la loro pace (ma il popolo dei detenuti minaccia vendetta).
Davanti ai magistrati stanno ricostruendo la scena del crimine, come si dice. E se questo fosse un film sarebbe un horror. Armati di coltello, taglierino e spranga, ecco Olli e la Rosi che salgono al piano di sopra. Raffaella Castagna ha appena vuotato la spazzatura in cortile e ha lasciato la porta aperta.


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Loro entrano e va in onda il massacro. Olindo che ammazza Raffaella e sua madre Paola. Rosi che sgozza il piccolo Youssef e infierisce sulle altre due donne. Poi il fuoco, per eliminare le tracce. E infine l'imprevisto. Richiamati dal fumo, accorrono due vicini di casa, Valeria Cherubini e il marito Mario Frigerio. Abbattuti anche loro. E Mario, sgozzato proprio come nei video di Al Qaeda, sopravviverà per miracolo.
Poi i coniugi sterminatori si cambiano d'abito, buttano armi e vesti insanguinate in un cassonetto. E via di corsa a Como, da McDonald's, per costruirsi un alibi e cancellare il mal di testa. Credevano di farla franca, il gigante e la bambina cattiva. Ma i sospetti cadono subito su di loro. In troppi raccontano di quelle liti condominiali sempre più feroci. E poi c'è il sopravvissuto, Mario Frigerio, che dice di aver riconosciuto Olindo.
E infine, grazie al Ris di Parma, arrivano le prove. Una macchiolina di sangue, trovata nella Seat Arosa dei Romano, rivela il Dna di Valeria Cherubini. Un'altra fa risalire a Mario Frigerio. E Olli e Rosi confessano. Ora dicono di non aver premeditato la strage. Volevano solo dare una lezione a quella «poco di buono» della Raffa. Ma confessano che ben due volte, nei cinque giorni precedenti il massacro, si erano avvicinati al portone di casa Castagna, armati di guanti, coltelli e spranga.
Dicono di aver preparato la missione punitiva leggendo Diabolik. :woot:
Il loro avvocato, Pietro Troiano, punta alla perizia psichiatrica. E alla separazione delle colpe. Perché se l'omone grande e grosso era Olindo, l'anima nera della coppia era lei, la Rosi. La bambina cattiva. L'isterica. Apparentemente docile, dicono i vicini, in realtà una vipera. Gli occhi dolci, i passettini veloci, la casina da Mulino Bianco, dove tutto era candido e perfetto. Ma lontana dal nido, Rosi Bazzi diventava un'altra. Fastidiosa e pettegola. Lui, Olindo Romano, era il suo contrario. Grosso da far paura, ma in fondo un buono, succubo della moglie. La Cattiva e il Bonaccione. In comune, una vita da poveracci. Olindo era arrivato dalla Valtellina con due fratelli, una sorella, la madre Pierella e il padre pugliese. Oggi abitano tutti a Proserpio, paesotto a 7 chilometri da Erba. Qui Olindo ha vissuto fino a 20 anni, poi se n'è andato via, dopo un litigio per una questione di eredità.


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Anche Rosi Bazzi era in pessimi rapporti con la famiglia d'origine.
Con i suoi genitori, Lisa e Leonardo, non parla da sei anni.
Anche qui, una questione di soldi.
Come ha affermato mamma Lisa: «La casa l'avevamo comprata noi, ma la voleva lei. Rosangela è piena di veleno. E ha sposato un balordo. È stata sempre tremenda, mia figlia. Ma come si fa a uccidere un bambino di due anni?». :paula:
Olindo rivendica un'eredità. Rosi la casa. La rivalsa sociale è una fissa nella mente dei coniugi Romano. Lui fa il netturbino, Lei la colf. Pochi soldi, tanta fatica, la sveglia all'alba. Il divano bianco comprato sette mesi fa e pagato a rate.
E poi c'era quell'altra, l'inquilina del piano di sopra, Raffaella Castagna, figlia di Carlo, ricco mobiliere brianzolo.
Raffaella che avrebbe potuto vivere nella villona di famiglia, e lavorare nell'aziendona di famiglia e invece no, faceva la naif, si occupava di malati mentali e anziani disabili, tossici e ragazzi Down, e viveva lì, nella palazzina di via Diaz, e forse li guardava in modo strano, lei così estroversa, così diversa da loro due, chiusi nel loro piccolo mondo antico, diffidenti, maniacali, loro con l'appartamento più piccolo, il Tv al plasma ma senza satellite, «perché costava troppo».
Subito dopo il matrimonio i Romano si erano stabiliti a Canzo. E anche lì i rapporti condominiali erano stati pessimi. Proteste, lamentele, litigi. La verità è che in ogni casa della sua vita, Rosi ha sempre avuto problemi. Troppi rumori, troppo disordine. Prima è scappata da sua madre, poi da Canzo, dove ha vissuto fino al 2000. Quando con Olindo si trasferisce al piano terra della palazzina di via Diaz e conosce Raffaella è subito rissa.
Poi arriva Azouz, il «poco di buono», e la situazione peggiora. Quando nasce Youssef per Rosi è l'inizio di un incubo. Perché nella famiglia del tutto in ordine, tutto a posto, mancava appunto un figlio. Lo volevano, ma dopo una gravidanza extrauterina e un aborto spontaneo addio speranze. E Youssef che faceva rumore, che strillava, che rideva, era un motivo in più per detestare i vicini del piano di sopra. Due mondi lontani. Da una parte Raffaella e il tunisino, disordine e confusione. Dall'altra i Romano, la monotonia di una vita sempre..




OLINDO E ROSA


Mentre il padre di Raffaella, Carlo Castagna, stupisce tutti dicendo di perdonare gli assassini, le indagini filano subito su Olindo Romano, spazzino, e su sua moglie analfabeta Rosa Bazzi, vicini di casa, che con Raffaella avrebbero dovuto affrontarsi in una causa civile due giorni più tardi.

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Olindo e Rosa in tre momenti
della loro storia processuale

Li arrestano l'8 gennaio: Frigerio, dicono, ha riconosciuto subito l'aggressore in Olindo. E c'è una macchia di sangue della Cherubini sulla sua Seat. Due giorni dopo la coppia confessa: hanno ucciso, sono andati a casa a cambiarsi e sono fuggiti a Como per crearsi un alibi. Lo ribadiscono in un video allo psichiatra della difesa Massimo Picozzi, nel tentativo di convincerlo che sono due pazzi. Uguale.
Lui che si alza all'alba, lui innamorato del suo camper parcheggiato davanti a casa, pulitissimo e quasi mai usato. Lui che va a letto presto e qualche volta ci dorme, nel camper, per non sentire i rumori del piano di sopra. Fra le due famiglie è guerra totale. In via Diaz tutti sapevano di Rosi che odiava Rafia, di Rosi che chiamava Youssef «figlio di puttana».
Era una questione dì principio. Per Rosi la casa era tutto. Quei 75 metri quadri al piano terra erano il suo regno, il suo fortino.
Dentro, la vita doveva trascorrere sempre uguale, senza sorprese. La Rosi, brianzola doc, formichina operosa, non riusciva proprio a sopportare il diverso da sé. E quella coppia con uno stile di vita così differente dal suo le dava sui nervi.
Come racconta Giada Cantoni: « Rosi si lamentava quando qualcuno metteva i panni alle finestre, "la polvere poi mi entra in casa. Come fate a non capirlo?». E invece quelli non capivano.
Racconta Simone Minonzio, testimone di nozze di Raffaella: «Per eliminare ogni rumore Raffaella aveva fatto fare dal padre un pavimento di cotto, ma non bastava. Allora l'aveva ricoperto di tappeti, agli ospiti chiedeva di togliere le scarpe, di non muovere le sedie. Era pazzesco. Quella citofonava, saliva e la insultava con una rabbia furibonda. Odiava lei e il bambino».
Odiava tutti, la Rosi. Ogni giorno, all’albo, tutti la vedevano uscire col maritane, lui che andava al lavoro, lei che andava a fare la spesa.
E poi tornava a casa. A riordinare. La lavanderia garage era il suo regno. Lì lavava, puliva, stirava. Lì si sentiva realizzata.
Peccato per quei vicini. Per i litigi continui. Che spesso degeneravano. Come nella notte di San Silvestro del 2004, quando Olindo e sua moglie avevano buttato a terra Raffaella e le avevano procurato lesioni personali. Ma lei era tosta, li aveva denunciati.
E proprio il 13 dicembre, due giorni dopo il massacro, doveva esserci un'udienza davanti al giudice di pace. I Romano avrebbero perso la causa, avrebbero dovuto pagare un risarcimento di 3500 euro. Poca roba, ma c'è chi vede proprio in questa scadenza il motivo scatenante del massacro. Rosi e Olindo, soprattutto lei, la Rosi, non potevano sopportare che Raffaella avesse la meglio, che un giudice gliela desse vinta. Che la obbligassero a risarcire «quella lì».
Un'umiliazione. Un'ingiustizia. La legge che dava ragione ai diversi. Roba da far venire il mal di testa, quasi peggio del pianto di un bambino. Non restava che la missione punitiva. La strage. Per difendere la loro vita, il loro nulla. Per difendere quella casa che era il loro amatissimo carcere personale. E ora che in carcere ci sono finiti davvero, forse scopriranno che non c'è poi tanta differenza fra ieri e oggi. Dal carcere privato a quello pubblico non cambia poi molto. Forse c'è più disordine. Forse le mura non saranno linde e pulite. Ma finalmente non ci saranno bambini che strillano e disturbano. Perché la Giustizia pronunci la sua ultima e definitiva parola sulla strage di Erba, mancano pochi giorni. Rosa e Olindo Romano, giudicati colpevoli nel processo di primo grado a Como e in quello d'Appello a Milano, si giocano l'ultima carta per evitare l'ergastolo il 3 maggio, a Roma, davanti alla corte di Cassazione.
Si dichiarano innocenti. Ma su di loro pesano le confessioni (poi ritrattate) e soprattutto la testimonianza di Mario Frigerio, superstite e super-teste della strage. Mentre la moglie Valeria Cherubini viene massacrata, lui, colpito da una coltellata alla gola si salva per miracolo.
Nei primi giorni in ospedale, non fornisce elementi utili alle indagini. Ribadisce di aver visto in faccia il suo aggressore, alto e di carnagione olivastra, ma di non averlo riconosciuto.
Finché il 26 dicembre, a due settimane dai fatti, avviene la svolta. Quella mattina, le microspie nascoste nella sua stanza d'ospedale registrano le parole di Manuel Gabrielli, avvocato di Frigerio: «Il suo cervello piano piano ricorderà» dice il legale.
Ma l'evento che Gabrielli ipotizza, è già avvenuto. Pochi minuti prima, Frigerio, incontrando i magistrati, ha dichiarato che ad aggredirlo è stato Olindo Romano. E lo ha detto sicuro, nonostante i pm lo invitassero a dimenticarsi di ciò «che le han detto i carabinieri» e a non sentirsi «condizionato».
I PM gli chiedono anche: «Noi non la spaventiamo, no, come i carabinieri?».
In quei momenti però l'avvocato forse non c'è. E non sa nulla, perché, rientrando nella stanza pronuncia quella frase: «Mancano i suoi ricordi, il suo cervello piano piano ricorderà».
E poi: «Ma pian piano si stan schiarendo i suoi ricordi oppure?...».
E al filo di voce del teste, il legale risponde che il dottore, magari, «può aiutare... di sviluppare i ricordi».
Va rilevata anche l'esistenza di intercettazioni in cui Frigerio, dopo aver detto al maresciallo di Erba Luciano Gallorini che l'aggressore poteva essere Olindo, il 22 diceva al suo avvocato di non ricordare nemmeno il volto dell'assassino. E ai figli, la vigilia di Natale, di non aver «un c... da dire» ai pm.
Le intercettazioni, clamorosamente divergenti dalle dichiarazioni in aula e dai verbali di Frigerio e del figlio Andrea, furono respinte in appello in quanto giunte «fuori termine».
Ma ora queste scoperte fanno emergere un elemento oggettivo: quando il testimone è con i carabinieri o con i pm dice di ricordare, quando è con il suo avvocato no. Perché?



CONVERSAZIONI FANTASMA


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Rosa Bazzi durante il processo

Il pomeriggio dello stesso giorno, Andrea spiega al padre che verrà nuovamente valutato dallo psichiatra, lo stesso che ha detto ai pm che è «cosa normalissima» che la mente possa falsare i ricordi.
Infatti, alle 11.30 del 27 dicembre il dottor Claudio Cetti, responsabile del Centro di Salute Mentale, va ad annunciare un test per il giorno successivo. Già che c'è, pone questioni banali, sottrazioni, tipo «100 meno 7», e Frigerio sbaglia o fa fatica.
Lo psichiatra osserva: «Non riesce a concentrarsi». Gli chiede da quanto tempo è ricoverato: «21 novembre?... Ma no...» perché è dall'11 dicembre che Frigerio è lì.
Il 28 tutti attendono il test. Finalmente le intercettazioni riveleranno se Frigerio ricorda Olindo (come detto a Gallorini e ai pm), o non ricorda nulla (come detto a Gabrielli).
E quindi sapremo se Olindo sia colpevole o no. Ma in attesa che arrivi lo psichiatra, succede qualcosa di strano: dalle 11.49 del 28 dicembre fino alle 9.55 del 3 gennaio 2007 le intercettazioni si interrompono.
Non sappiamo nulla di cosa accadde in quei giorni, mentre l'indagine andava sui Romano.
E non sapremo mai cosa disse Frigerio al dottor Cetti proprio quel 28 dicembre, perché l'unica relazione del medico in atti è firmata 8 gennaio 2007, stesso giorno degli arresti di Olindo e Rosa: «La memoria è ben conservata e, come confermano anche i figli, i suoi racconti sono coerenti e perfettamente in sintonia sul piano di realtà».
Ma la domanda resto: perché ai pm e ai carabinieri Frigerio diceva di ricordarsi e al suo legale no?
Cosa accadde nella sua mente tra la vigilia di Natale, in cui non aveva «un c... da dire», e Santo Stefano, quando disse subito «l'Olindo», prima di tornare ancora al buio col suo legale? Chissà. :hmm:

Rimane però da chiarire l'ultimo particolare.
Il 26 dicembre, Andrea, parlando con gli zii, fa un riferimento ai militari che presidiano la stanza del padre: «Ieri mattina arrivo qui, non ci sono fuori i carabinieri... eh, dov'è che sono? Erano dentro a parlare con lui!».
I carabinieri forse erano entrati per fare gli auguri. Ma il problema e che dalle 6.20 fino a quando Andrea arriva alle 7.03 e li trova dentro, sui brogliacci c'è scritto: «Nessuna conversazione».
E la domanda allora è: cosa ci facevano all'alba i carabinieri di guardia, muti, nella stanza di Frigerio?
Ma se Andrea sostiene che i carabinieri erano a parlare col padre e il padre conferma che entrarono a salutarlo, perché sul brogliaccio venne scritto «nessuna conversazione»?
Perché non c'è alcun audio del colloquio tra i carabinieri e Frigerio, nel giorno che precede il riconoscimento di Olindo?




É FINITA COSÌ


La casa di Olindo e Rosa fu messa all'asta già prima della pronuncia della Cassazione, per poter risarcire l'unico superstite della strage, Mario Frigerio, che oggi non vive più a Erba.L'appartamento dove vivevano Raffaella, Youssef ed Azouz, in forza di un testamento che la famiglia di lei conservava, è andato invece al nipote della donna, figlio di Beppe Castagna.
Pare che possa diventare una sede della Caritas.


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Azouz è tornato a vivere in Tunisia con la nuova maglie, Michelalovo, conosciuta in un bar di Lecco e da cui ha avuto una figlia. Tra i protagonisti processuali della vicenda, Nunzia Gatto, il pg di Milano che in appello aveva chiesto e raggiunto la conferma dell'ergastolo dei Romano, ottenne il 10 maggio 2011 il posto dà procuratore aggiunto di Milano, vincendo in volata, raccontano le cronache, la corsa con il sostituto procuratore Alfredo Robledo.
Tra le motivazioni, scrisse l'Ansa: «c'è un esplicito richiamo al processo a Olindo e Rosa, con la sottolineatura che Gatto è stata il primo magistrato in un dibattimento di secondo grado a utilizzare per la sua requisitoria supporti audio e video».
E poi, naturalmente, ci sono i Romano, che continuano a proclamarsi innocenti.
Prima ancora che arrivasse la sentenza della Suprema Corte, uno dei legali che li difese gratuitamente, Fabio Schembri, annunciò che stava già raccogliendo le nuove prove necessarie per chiedere la revisione: prove a cui aggiungere le intercettazioni respinte dal processo e diversi altri elementi, fra cui 70 testimonianze, escluse dal dibattimento.
«Andremo avanti per anni, se necessario. Ma le prove le troveremo di sicuro» ha tuonato Rosa è detenuta nel carcere di Bollate, Olindo a Opera. Si vedono tre volte al mese, due ore per incontro. Olindo è oggi sotto processo per aver aggredito un agente di polizia penitenziaria a Piacenza.
Ma in aula ha negato dì averlo fatto. Anzi. Ha raccontato l'episodio con estrema calma. Un episodio surreale: dice che aveva appeso con lo scotch un sacchetto di plastica al soffitto delta cella, perché il soffitto perdeva acqua, che gli finiva sul letto.
L'agente è entrato per un controllo, ha visto il sacchetto lassù e ha spiccato improvvisamente un salto per staccarlo e capire che diavolo avesse combinato. Ed è stato qui che, terrorizzato, Olindo ha messo le mani avanti, per paura che gli franasse addosso e gli facesse male.
Ma ha finito per spingerlo. Poi, si è accesa una discussione e sono volati insulti. «Tutto qui».
Il giudice, non riuscendo a comprendere come quell'omone grosso dalla voce ridìcola e dalla erre moscia presentato come un diabolico assassino potesse avere un comportamento tanto strambo e impaurito, ha finalmente disposto per lui una perizia psichiatrica, negata nei tre gradi di giudizio sulla strage di Erba.
Forse, quando arriveranno le conclusioni, potremo finalmente sapere qualcosa sulla personalità dello spazzino, uno che credeva che in galera avrebbe goduto di una «cella matrimoniale» perché con Rosa si era «regolarmente sposato» in chiesa. :shifty:
abbatte sui magistrati. Bisogna cercare il colpevole.





Una serie di video sulla vicenda





Edited by filokalos - 21/5/2013, 11:32
view post Posted: 22/4/2013, 12:18     Manet. Ritorno a Venezia - Pittura & Scultura


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Olympia, 1863 - Olio su tela, 130 x 190 cm

La Fondazione Musei Civici di Venezia,
in collaborazione speciale del Musée D’Orsay di Parigi,
ospiterà, dal 24 aprile al 18 agosto 2013,
nelle monumentali sale di Palazzo Ducale,
un’esposizione di un’ottantina circa tra dipinti,
disegni e incisioni del grande pittore impressionista francese




Manet. Ritorno a Venezia è il titolo della mostra che la Fondazione Musei Civici di Venezia ospita dal 24 aprile al 18 agosto 2013 nelle monumentali sale di Palazzo Ducale: un’esposizione di un’ottantina circa tra dipinti, disegni e incisioni, progettata con la collaborazione speciale del Musée D’Orsay di Parigi, l’istituzione che conserva il maggior numero di capolavori di questo straordinario pittore.L’itinerario dell’esposizione, che percorre, attraverso grandi capolavori come Le fifre (1866), La lecture (1865-73), Le balcon (1869), Portrait de Mallarmé (1876 ca.), tutta la sua vita artistica, si apre con una serie di libere interpretazioni di antichi dipinti, affreschi e sculture che Manet vide durante i suoi due primi viaggi in Italia, nel 1853 e nel 1857. Immediata risplende l’influenza veneziana, inseparabile dall’audacia con la quale il pittore sonda le istanze contemporanee e si defila dalle convenzioni accademiche.



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Le Christ aux anges, s.d.
Acquarello, china, guazzo, grafite, penna (disegno), 32,5 x 27 cm



Le sue silenti Nature morte, dietro alla fedeltà alle formule olandesi, riservano molte sorprese che non solo rimandano alla tradizione nordica, ma sembrano anche ispirarsi a un vigore cromatico e costruttivo tutto italiano.
Se Le Déjeuner sur l’herbe e l’Olympia (1863) sono chiaramente variazioni da Tiziano e due splendide testimonianze della relazione di Manet con l’arte italiana, ancora molti sono gli esempi della profonda conoscenza dell’eredità di Venezia, Firenze e Roma, da parte del grande pittore, che la mostra saprà svelare.
La mostra nasce dalla necessità di un approfondimento critico sui modelli culturali che ispirarono il giovane Manet negli anni del suo precoce avvio alla pittura.
Questi modelli, fino ad oggi quasi esclusivamente riferiti all’influenza della pittura spagnola sulla sua arte, furono diversamente assai vicini alla pittura italiana del Rinascimento, come dimostrerà l’esposizione veneziana nella quale il pubblico potrà ammirare, accanto ai suoi capolavori, alcune eccezionali opere ispirate ai grandi tableaux della pittura veneziana cinquecentesca, da Tiziano a Tintoretto a Lotto in particolare.



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Portrait de Stéphane Mallarmé, 1876
Olio su tela, 27,5×36 cm



Come è ben noto, gli studi su Manet, il grande precursore dell’Impressionismo, si sono per lungo tempo concentrati sull’idea di una sua diretta discendenza dall’opera pittorica di Velázquez e di Goya, vedendo proprio nell’ispanismo non solo l’unica fonte della sua modernità, ma anche la ragione e lo stimolo per il suo rifuggire dai “ritorni” alla tradizione accademica. Un approccio per così dire progressista, che non tiene però conto della passione di Manet per l’arte italiana della Rinascenza, che fu una fascinazione e un legame davvero intenso, di cui darà piena dimostrazione l’esposizione veneziana, che metterà finalmente in luce il suo rapporto stringente con l’Italia e la città lagunare.



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Le Balcon, s.d. Olio su tela, 170 x124,5 cm



Se Le Déjeuner sur l’herbe e l’Olympia (1863) sono chiaramente variazioni da Tiziano e due splendide testimonianze della relazione di Manet con l’arte italiana, ancora molti sono gli esempi della profonda conoscenza dell’eredità di Venezia, Firenze e Roma, da parte del grande pittore, che la mostra saprà svelare. L’itinerario dell’esposizione, che percorre, attraverso grandi capolavori come Le fifre (1866), La lecture (1865-73), Le balcon (1869), Portrait de Mallarmé (1876 ca.), tutta la sua vita artistica, si apre con una serie di libere interpretazioni di antichi dipinti, affreschi e sculture che Manet vide durante i suoi due primi viaggi in Italia, nel 1853 e nel 1857. I



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L’évasion de Rochefort, 1880-1881 - Olio su tela, 80 x 73 cm



L’influenza veneziana risplende immediata, inseparabile dall’audacia con la quale il pittore sonda le istanze contemporanee e si defila dalle convenzioni accademiche. L’Italia del resto non è assente neppure nei dipinti di Manet più legati alla Spagna: la sua pittura religiosa si nutre tanto di Tiziano e Andrea del Sarto quanto di El Greco e Velázquez.
Le sue silenti nature morte, dietro alla fedeltà alle formule olandesi, riservano molte sorprese che non solo rimandano alla tradizione nordica, ma sembrano anche ispirarsi a un vigore cromatico e costruttivo tutto italiano.
Quando il pittore si avvicina definitivamente alla “moderna” Parigi, la sua pittura non tralascia la memoria italiana, ma ne resta intrisa di ricordi.
Le tele di Lotto e di Carpaccio, pensiamo alle Due dame veneziane affiancate in mostra a Le Balcon, racconteranno di questi legami ai visitatori.



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La peche, 1861-63 - Olio su tela, trasferito dall’originale tela, 76.8 x 123.2 cm



Il 1874, anno della I° Esposizione dei Pittori Impressionisti, è anche quello del suo terzo viaggio in Italia, dove ritrova anche la città amata da Turner e Byron, che immortala in due piccole tele, raffiguranti il Canal Grande.
È quasi un incrociarsi con l’atmosfera già modernissima dell’ultimo Guardi. In questi due piccoli ma magistrali dipinti, che fungeranno da modello per molta pittura veneziana allo scorcio del XIX secolo, l’aria è così trasparente da far cantare le tonalità dei blu e dei bianchi della sua tavolozza come non mai.
E anche nel suo celebre Bal masqué à l’Opéra (ora a Washington), rifiutato quell’anno dai giurati del Salon parigino, risuonano le musiche degli amori mascherati e del gioco ambiguo dell’identità, che sicuramente ha conosciuto attraverso l’opera del veneziano Pietro Longhi.
Il terzo momento italiano della sua carriera parla delle ultime esperienze di un artista, che la morte stronca a soli 51 anni (1883).
L’ultimo Manet, diviso tra l’esaltazione dei parigini à la page e la svolta repubblicana del 1879, fa gioire la pittura e infiammerà il Salon.



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Déjeuner sur l’herbe, 1863-68 - Olio su tela, 89,5 x 116,5 cm



Curata da Stéphane Guégan, con la direzione scientifica di Guy Cogeval e Gabriella Belli, la mostra si propone come un autentico evento: mai la pittura di Manet è stata presentata in maniera così significativa in Italia, e mai è stato affrontato sul piano critico un aspetto così peculiare della sua arte.
Il progetto è reso possibile grazie non solo ai prestiti eccezionali del Musée d’Orsay ma anche di tante altre istituzioni internazionali, come il Metropolitan Museum di New York, la Bibliothèque Nationale de France, il Courtauld Institute di Londra, The Museum of Fine Arts di Boston, The National Gallery di Washington, l’Art Institute di Chicago, il Musée des Beaux-arts di Digione, il Musée di Grenoble, il Musée des Beaux-arts di Budapest, lo Städel Museum di Francoforte, che hanno aderito all’evento insieme a numerosi collezionisti privati.



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Combat de taureaux, circa 1865-66 - Olio su tela, 90×100 cm

BIOGRAFIA



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Le fifre, 1866
Olio su tela, 160 x 97 cm



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Lola de Valence, danseuse espagnole, 1862
Olio su tela, 123 x 92 cm



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Le buveur d'absinthe 1858-59
olio su tela 180,5×105,6 cm


1832: Édouard Manet nasce il 23 gennaio a Parigi.
Suo padre, Auguste, è un alto funzionario del ministero di Giustizia; sua madre, figlioccia del re di Svezia Bernadotte, è figlia di diplomatici.
Édouard avrà due fratelli minori, Eugène (1833) e Gustave (1835).

1844-1848: dopo gli studi presso l’Institut Poiloup, a Vaugirard, Édouard entra al Collège Rollin (Parigi, attuale liceo Jacques-Decour), dove conosce Antonin Proust (1832-1905). Lo zio materno, Édouard Fournier, gli fa scoprire il Louvre.
Prende lezioni di disegno e comincia ad ampliare la sua conoscenza dei grandi maestri del passato.

1848-1849: Édouard preferisce entrare in marina anziché iscriversi alla facoltà di giurisprudenza seguendo l’impostazione familiare, ma è respinto all’esame di ammissione alla Scuola navale.
Quindi, si imbarca sulla nave scuola Havre et Guadeloupe, che fa rotta verso Rio de Janeiro (giungendo a destinazione il 4 febbraio 1849). Durante la traversata esegue disegni e caricature dei compagni.
Al ritorno è nuovamente respinto alla Scuola navale. I genitori lo autorizzano a intraprendere la carriera artistica.

1850: Manet e Proust entrano nell’atelier di Thomas Couture (1815-1879), in rue Laval, dove Édouard resterà per sei anni. Suzanne Leenhoff (1830-1906), eccellente pianista e insegnante dei fratelli di Édouard, diventa la sua amante nel corso dell’anno.

1852: il 29 gennaio Suzanne dà alla luce Léon-Édouard Koëlla, detto Leenhoff (1852-1927).
In luglio, Édouard si reca nei Paesi Bassi, paese natale di Suzanne, per stare con lei e col figlio. Il 19 visita il Rijksmuseum (il suo nome con la qualifica di “artista” figura sul libro dei visitatori).

1853: a settembre Manet si reca in Italia dove soggiorna a Venezia, a Firenze e forse a Roma. Esegue copie dai grandi maestri. Rientra a Parigi dopo aver visitato la Germania e l’Austria (Cassel, Dresda, Monaco, Praga e Vienna).

1855: Gustave Courbet allestisce il “Pavillon du réalisme” a margine dell’Esposizione Universale. Nel corso dell’anno, Manet e Proust fanno visita a Eugène Delacroix.

1856: lasciato Couture in febbraio, Manet prende un atelier in Rue Lavoisier con il pittore Albert de Balleroy (1828-1872), futuro specialista di scene di caccia aristocratiche.

1857: il padre di Manet, colpito dai sintomi della sifilide terziaria, sprofonda progressivamente nell’afasia più totale. Manet fa la conoscenza di Henri Fantin-Latour (1836-1904) al Louvre. A novembre ritorna in Italia, dove soggiorna a lungo a Firenze con lo scultore Eugène Brunet.

1859: Manet fa la conoscenza di Baudelaire, che lavora già alla redazione degli articoli in cui avrebbe esaltato, attraverso Constantin Guys, “il pittore della vita moderna”.

1861: Manet apre un atelier in Rue Guyot, dove resterà fino al 1870. Espone al Salon “Il cantante spagnolo“, che gli vale una menzione d’onore. Comincia a esporre alla Galerie Martinet, nell’ambito della Société Nationale des Beaux-Arts di cui è membro insieme a Gautier, Fantin-Latour e Alphonse Legros. A settembre, in qualità di allievo di Couture, espone la “Ninfa sorpresa“ all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo.

1862: Manet espone alcune incisioni presso Alfred Cadart. Fa parte dei membri fondatori della Société des aquafortistes, volta al rinnovamento dell’acquaforte. Primi testi di Baudelaire in cui menziona l’amico Manet. Morte del padre.

1863: a marzo, Manet espone quattordici dipinti alla Galerie Martinet e suscita immediatamente l’interesse della stampa. I tre dipinti inviati al Salon sono respinti dalla giuria. A maggio apre il Salon des refusés, dove “Le Déjeuner sur l’herbe” suscita, salvo rare eccezioni, l’indignazione della critica. Il 28 ottobre sposa Suzanne Leenhoff nei Paesi Bassi.

1864: al Salon Manet presenta “Cristo morto con gli angeli” ed “Episodio di una corsa di tori“. Manet si trasferisce al 34 di Boulevard des Batignolles. In estate soggiorna per la prima volta a Boulogne-sur-Mer.

1865: “Olympia” e il “Cristo deriso dai soldati” sono esposti al Salon e fanno scandalo.
Durante l’estate Manet soggiorna in Spagna (Burgos, Valladolid, Burgos e Madrid) e al Prado resta folgorato dai Velázquez e dalla collezione dei dipinti antichi, italiani e nordici. Conosce Théodore Duret.

1866: Il Salon rifiuta “Il pifferaio” e “L’attore tragico“. Frequenta il Cafè Guerbois, luogo di scambi letterari e artistici con Renoir, Monet, Bazille e Cézanne. In autunno, Manet, Suzanne e Léon decidono di andare a vivere dalla madre del pittore al 49 di Rue de Saint-Pétersbourg, dove resteranno fino al 1878.

1867: per approfittare dell’Esposizione Universale, Manet fa costruire un padiglione vicino al ponte de l’Alma, dove raggruppa 50 tra tele e stampe. La strategia collettiva suscita poche eco positive. A settembre Manet assiste al funerale di Baudelaire e contribuisce con due incisioni alla prima biografia dedicata al poeta, di cui Charles Asselineau è l’autore.

1868: Manet espone al Salon il “Ritratto di Émile Zola” e lo scrittore gli dedica Madeleine Férat. Manet conosce Berthe Morisot (1841-1895) e sua sorella, come pure Léon Gambetta (1838-1882), di cui suo fratello Gustave diventerà molto intimo. In agosto, Manet si reca a Londra dove è accolto dal pittore Legros; posa per il fotografo David Wilkie Wynfield.

1869: a Manet viene notificato il divieto di esporre “L’esecuzione di Massimiliano” e di pubblicare la litografia tratta dal dipinto. Zola denuncia sulla stampa questa doppia censura.
“Il balcone“, che segna la prima apparizione dell’amica Berthe Morisot nell’opera di Manet, viene presentato al Salon.

1870: Manet espone al Salon il ritratto dell’allieva Eva Gonzalès e “La lezione di musica“, variazione moderna del “Concerto campestre” di Tiziano. Durante l’estate, soggiorna presso il pittore italiano Giuseppe de Nittis a Saint-Germain-en-Laye. A settembre i Prussiani assediano Parigi e Manet manda la famiglia a Oloron-Sainte-Marie (Pirenei), affidando una parte dei suoi dipinti a Duret. Si arruola con i fratelli nella Guardia nazionale e dopo due mesi lascia l’artiglieria per lo stato maggiore.

1871: Manet raggiunge la famiglia a Oloron-Sainte-Marie e rientra a Parigi poco dopo la “settimana di sangue” (21-28 maggio). Nel mese di luglio, a Versailles, Manet segue i dibattiti dell’Assemblée nationale e frequenta Gambetta, di cui cerca di fare il ritratto. Crisi isterica in agosto.

1872: in gennaio il mercante d’arte Durand-Ruel compra ventiquattro dipinti di Manet. Espone di nuovo “Il combattimento del Kearsarge e dell’Alabama” al Salon. Apre un nuovo atelier al 4 di Rue de Saint-Pétersbourg e frequenta il Café de la Nouvelle-Athènes insieme a Degas, Renoir, Monet e Pissarro.

1873: espone al Salon “Le Bon Bock“. Da Nina de Callias conosce Stéphane Mallarmé, con cui stringerà un’amicizia duratura e realizzerà una serie di libri illustrati a partire dal 1875.

1874: la giuria del Salon ammette soltanto “La ferrovia” e l’acquerello “Pulcinella“. Mallarmé risponde all’offesa con un articolo pubblicato sulla rivista parnassiana “La Renaissance artistique et littéraire”. Prima mostra degli “impressionisti” a cui Manet decide di non partecipare. Durante l’estate, fa tuttavia visita a Monet, di cui esegue diversi ritratti. In ottobre viaggio a Venezia con Suzanne e James Tissot (1836-1902).

1875: espone “Argenteuil” al Salon. La stampa fa di lui il capo della scuola impressionista per derisione o provocazione. Manet illustra il “Corvo” di Edgar Allan Poe, tradotto in francese da Stéphane Mallarmé.

1876: in aprile, dopo l’ennesimo rifiuto del Salon, Manet presenta le sue opere presso il proprio atelier. Durante l’estate, soggiorna presso Ernest Hoschedé, dove esegue numerosi dipinti, tra cui un grande ritratto dell’amico Carolus-Duran, parodia del Ritratto di Filippo IV di Velázquez.

1877: al Salon viene ammesso solo “Faure nel ruolo di Amleto“, “Nana” viene rifiutata ed esposta dal mercante d’arte Giroux. Grande successo e articolo esplosivo di Huysmans.

1878: assente dalle sale dell’Esposizione universale, Manet si crea uno spazio espositivo privato. Lui e Suzanne si trasferiscono al 39 di Rue de Saint-Pétersbourg.

1879: nuovo atelier al 77 di Rue d’Amsterdam, vasto, lussuoso e molto frequentato. La vita e la pittura di Manet prendono una piega più mondana. Al Salon espone “En bateau” e “Nella serra“. In autunno soffre di un’atassia locomotoria di origine sifilitica. Si ricovera a Bellevue, nei pressi di Meudon.

1880: in aprile mostra personale alla Galerie de La Vie moderne, dove riunisce dieci pastelli e quindici dipinti a olio in cui le figure femminili sono abbigliate secondo la moda del momento. La stampa decreta il successo del pittore. Manet espone al Salon il “Ritratto di Antonin Proust” e “Chez le père Lathuille”. La sua salute continua a peggiorare. Tra luglio e novembre nuovo ricovero a Bellevue, dove dipinge il ritratto della cantante Émilie Ambre, che aveva organizzato l’esposizione dell’Esecuzione di Massimiliano a New York e a Boston alla fine del 1879.

1881: espone al Salon il “Ritratto di Henri Rochefort” e ottiene una medaglia di seconda classe. All’inizio dell’estate si ricovera a Versailles. Antonin Proust è eletto ministro delle Belle arti e Manet promosso cavaliere della Legione d’onore.

1882: espone al Salon “Jeanne” e “Il bar delle Folies-Bergère“.

1883: dopo l’amputazione della gamba sinistra, Manet si spegne il 30 aprile. Viene sepolto al cimitero di Passy.



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INFORMAZIONI & PREVENDITA:
tel: 041.8520154
Biglietti online



Spazio espositivo: Palazzo Ducale
Indirizzo: Piazza San Marco, 1 30124 Venezia
Telefono: 041 271 5911



Orari di apertura
9.00 – 19.00 da domenica a giovedì
9.00 – 20.00 venerdì e sabato







Edited by filokalos - 22/4/2013, 20:34
view post Posted: 18/4/2013, 12:13     Giordano Bruno e il Rinascimento - Minerva


Giordano Bruno e il Rinascimento


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Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio
e finalmente comprenderà chi è veramente e
a chi ha ceduto le redini della sua esistenza,
a una mente fallace, menzognera,
che lo rende e lo tiene schiavo...
L'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto,
sarà libero anche qui in questo mondo.



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Il Rinascimento, che fra il XV e XVI secolo fiorisce in Italia per poi diffondersi nel resto d’Europa, è un periodo contrassegnato da un netto rinnovamento in ogni ambito del sapere e delle arti. Questo rinnovamento avviene in un contesto storico caratterizzato da forti tensioni religiose, una riorganizzazione politica attorno ai grandi centri urbani (Firenze, Ferrara, Milano, Venezia) e un’economia commerciale in forte espansione.

In ambito culturale si verifica una graduale emancipazione dalla tradizione religiosa. La stessa concezione cristiana della Storia (fondata sulle tappe della creazione, della venuta del Cristo e del Giudizio universale) è messa in discussione. Viene recuperato il valore del mondo antico e proclamato l’inizio di una nuova epoca segnando un netto distacco dal Medioevo. La filosofia, la letteratura, la scultura e la pittura trattano nuovi temi oltre a quello tradizionale del sacro. Si opera il recupero dei manoscritti classici di Platone, Erodoto, Tucidide e di altri drammaturghi e poeti greci. Gli artisti e gli intellettuali si spostano con una frequenza maggiore rispetto al passato, consapevoli che la circolazione delle idee, delle persone e delle esperienze costituisce un inestimabile valore e patrimonio dell’uomo. L’uomo è infatti il vero protagonista di questi secoli.

È in questa cornice che Giordano Bruno vive incarnando emblematicamente i tratti della figura rinascimentale. Egli coltiva gli interessi più svariati quali le discipline astronomiche e magiche (sospette alla religione); la letteratura (dimostrato dalle sue opere scritte in forma di dialogo); lo studio di Tommaso d’Aquino e al contempo la diffidenza per la Scolastica (segnale di emancipazione dalla tradizione) e infine la sua costante erranza, che lo conduce in tutta Europa a confrontarsi con la cultura dei più svariati ambienti accademici.




GIORDANO BRUNO


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Nato a Nola nel 1548. Nel 1566 all’età di diciotto anni entra nell’ordine di San Domenico e cambia il proprio nome di battesimo Filippo in Giordano.
Un eccezionale anticonformismo e una curiosità senza eguali per il sapere lo conducono a un’originale riflessione in cui convergono elementi di Neoplatonismo, panteismo, misticismo, magia, teorie mnemotecniche, influssi di studi cabalistici e teorie astronomiche.

Questi aspetti, assieme al suo continuo errare per l’Europa (Savona, Torino, Venezia, Milano, Ginevra, Tolosa, Parigi, Oxford, Magonza, Marburgo, Praga) fanno di Giordano Bruno uno dei filosofi e degli intellettuali più rappresentativi dello spirito rinascimentale.

La sua concezione della materia (intesa come materia attiva); la sua considerazione dell’infinitezza dell’universo e della presenza di infiniti mondi; la tesi secondo cui vi è un’anima universale a cui si è destinati ritornare dopo la morte per poi reincarnarsi in altre future, costituiscono alcune tesi fondamentali del suo pensiero.

Bruno rimase in carcere sette anni e subì due processi prima a Venezia poi a Roma.
Oppose un netto rifiuto ai ripetuti inviti degli inquisitori a ritrattare le sue dottrine in particolare quella relativa all’infinità dell’universo e salì sul rogo senza essersi riconciliato con il Crocifisso da cui, secondo la leggenda, distolse lo sguardo prima di morire.

La sue vicende biografiche costituiscono testimonianza attiva delle sue concezioni filosofiche; sicché, la sua rinuncia ad abiurare le tesi considerate eretiche dall’inquisizione e la sua morte sul rogo, ne restituiscono l’immagine di un martire per la libertà di pensiero e per la fedeltà alla verità.
Una figura emblematica celebrata nei secoli successivi in nome di questi valori.



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Ettore Ferrari. " Giordano Bruno in cattedra" - Targa nel monumento dedicato allo filosofo in Piazza "Campo de' Fiori" - Roma




DE UMBRIS IDEARUM
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De umbris idearum - frontespizio
G. Bruno, 1582

Scritta nel 1582 la tesi fondamentale dell’opera considera l’universo come un corpo internamente organizzato.

A capo di quest’ordine sono poste le idee (secondo l’insegnamento platonico) e il mondo costituisce solo una riproduzione di immagini (ombre) di questi modelli ideali.

La mente umana possiede però la stessa struttura ordinata della natura ed è pertanto in grado di approssimarsi alle idee stesse.

Ciò si deve alla memoria che ha il compito di rappresentare simbolicamente la realtà nella mente dell’uomo diradando le ombre della conoscenza.

L’opera si suddivide in tre parti: la prima descrive i modi con i quali si colgono le immagini delle idee, (le “ombre” del titolo); la seconda affronta la questione dell'ordine dell'universo; la terza contiene un trattato di mnemotecnica.

CENA DE LE CENERI
Pubblicata nel 1584, l’opera si compone di cinque dialoghi ambientati durante una cena tenuta il giorno delle Ceneri.

Il testo contiene una difesa della teoria copernicana da alcune obiezioni. In questa opera Bruno avanza una delle sue principali tesi e cioè quella dell’infinitezza e dell’immobilità dell’universo in quanto generato da una causa a propria volta infinita.

Secondo Bruno simili argomentazioni, difformi dai dettami del Testo Sacro, possono essere sostenute perché la Bibbia contiene essenzialmente dottrine morali ed illustra gli atteggiamenti che gli individui devono mantenere ma non contiene verità di scienza.

Per queste ragioni è opportuno separare gli insegnamenti della dottrina cristiana dalla ricerca sulla natura che spetta propriamente alla filosofia.



DE LA CAUSA, PRINCIPIO ET UNO
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Xilografia da "De Compendiosa Architettura
et Complemento Artis "

Composto da cinque dialoghi, questo scritto del 1584 indaga i principi della realtà naturale.

Se Dio, in quanto causa prima non è accessibile attraverso la conoscenza umana razionale ma solo grazie alla fede, cosi non è per le altre cause. Il mondo possiede infatti, secondo Bruno, un’anima che ne organizza dall’interno il totale e perfetto funzionamento.

Essa si sposa con la materia, realizzando un’unità inseparabile.

Spetta dunque alla materia, una materia vitale e vivificatrice, un ruolo essenziale nella determinazione dell’universo.

In questo testo si trova dunque una delle tesi più importanti di Giordano Bruno relativa alla sua originale concezione di materialismo.



SPACCIO DE LA BESTIA TRIONFANTE


L’opera, che intreccia tematiche etiche ad una più generale riflessione sul compito della filosofia e della ricerca, risale al 1585.

Il titolo ha una valenza metaforica e comunica l’intento di un rinnovamento rispetto ai costumi e ai valori dell’epoca.



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Spaccio de la bestia trionfante
Frontespizio - G. Bruno , 1584

Lo “spaccio” significa l’espulsione, mentre la “bestia trionfante” altro non è che la figura delle costellazioni, quella che corrisponde ai differenti segni dello zodiaco.

Essa rappresenta simbolicamente i vecchi vizi che secondo Giordano Bruno devono essere definitivamente abbandonati e rifiutati.

In questo modo si effettua una dura critica nei confronti dei costumi dell’epoca attribuendo gravi responsabilità al Cristianesimo e al movimento della Riforma, colpevoli di un rovesciamento delle leggi di natura.

Bruno interpreta infatti queste condizioni di decadenza come temporanee e appartenenti al “ciclo ebraico-cristiano” del mondo cui presto succederà una nuova era.

Verità, sapienza, magnanimità sono alcuni dei più importanti valori che l’uomo dovrà perseguire per sostituirli a quelli corrotti della vecchia epoca.

EROICI FURORI
Pubblicata a Londra nel 1585, quest’opera composta da dieci dialoghi prosegue idealmente i temi affrontati nello Spaccio della bestia trionfante.

Fra le varie tipologie di passioni umane Bruno ne riconosce una particolare che conduce l’uomo ad una vita contemplativa.

Questa esprime un “furore eroico”, vale a dire che è propria di un’anima dedita all’acquisizione della conoscenza attraverso la ricerca e lo studio.

Una ricerca che non deve basarsi sull’esteriorità dei riti e del culto, bensì su un vero e proprio mistico furore nei confronti della verità.

L’uomo dall’eroico furore è dunque quello, sostiene Bruno, che come nel mito di Atteone da cacciatore diviene preda, perché colui che è alla ricerca della verità da essa viene costantemente braccato.

In questo testo ritroviamo il tratto mistico del pensiero di Bruno che concepisce la filosofia come una tensione esorbitante verso il divino.




AFORISMI



Giordano Bruno (1973)
Regia: Giulio Montaldo
Giordano Bruno: Gian Maria Volontè
Fosca: Charlotte Rampling

«Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco».


«E dunque l'universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l’atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo».


«Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all'uomo, non servirà all'uomo per comprendere se stesso, finirà per rigirarsi contro l'uomo».


«Tuttigli amori (se sono eroici e non son puri animali ...) hanno per oggetto la divinità, tendono alla divina bellezza, la quale prima si comunica all’anime e risplende in quelle».


« Questi furori de quali noi ragioniamo [sono] un impeto razionale che segue l’apprensione intellettuale del buono e bello che conosce...».



«Bisogna dissimulare per salvare la verità».

«Ogni produzione, di qualsivoglia sorte che la sia, e una alterazione, rimanendo la sostanza sempre medesima; perché non e che una, un ente divino, immortale».



«Dico dunque, che la tavola come tavola non e animata, né la veste, né il cuoio come cuoio, né il vetro come vetro; ma, come cose naturali e composte, hanno in sé parte di sostanza spirituale».


«...spirito si trova in tutte le cose, e non è minimo corpuscolo che non contenga cotal porzione in sé che non inanimi».


«...tutte le cose sono ne l’universo, e l’universo è in tutte le cose; noi in quello, quello in noi; e cossi tutto concorre in una perfetta unità».





Edited by filokalos - 18/4/2013, 16:47
view post Posted: 15/4/2013, 09:45     Atri e gli dei del profondo - I Borghi più belli d'Italia



Atri e gli dei del profondo


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Cittadina dalle origini antichissime (VII-V secolo a. C.),
fu un’importante colonia in epoca romana,
subì invasioni barbariche e dominazioni straniere
durante il Medioevo, per poi “rinascere”
definitivamente sotto il controllo dei signori d’Acquaviva.




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Incantevole città d’arte a ridosso della costa teramana, Atri ha origini antichissime (VII-V secolo a. C.).


Ad Atri, antica città d’arte abruzzese del medio Adriatico in provincia di Teramo, patria dell’Imperatore Adriano, puoi attraversare angoli di strada e viuzze con la sensazione di vedere qualcosa d’inconfondibile.


Ad Atri c’è ancora qualcosa da scoprire. ^_^


Fu un’importante colonia in epoca romana, subì invasioni barbariche e dominazioni straniere durante il Medioevo, per poi “rinascere” definitivamente sotto il controllo dei signori d’Acquaviva.


Ed è nel centro della cittadina che il fascino di questa lunga storia continua a rivelare ancora oggi la sua forza evocativa.


Monumenti e palazzi storici, chiese, musei, scorci suggestivi, sono questi i tanti tasselli dello splendido mosaico che Atri offre ai suoi numerosi visitatori.


In Piazza Duomo si erge la Cattedrale di Santa Maria Assunta risalente al 1285 e recentemente restaurata.




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Campanile del Duomo di S.Maria Assunta (alto 65 metri)



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La Cattedrale di Santa Maria Assunta

Di notevole fattura i suoi quattro portali del XIII secolo, mentre l’interno a tre navate presenta un’abside quadrata con un meraviglioso ciclo di affreschi dell’artista abruzzese quattrocentesco Andrea Delitio.

Il museo annesso conserva preziose reliquie: maioliche dipinte, croci e pastorali d’avorio e d’argento, codici miniati, statue e centinaia di frammenti e mosaici delle costruzioni più antiche. Splendidi anche il chiostro a due ordini e il campanile terminato nel XV secolo da Antonio da Lodi.

Sempre in piazza Duomo, il porticato ad archi tondi di Palazzo Mambelli e, a meridione, il Palazzo vescovile ed il Seminario appartenenti al tardo Cinquecento.

Qui si trova, perfettamente conservato, l'ottocentesco Teatro comunale.

Il Teatro, detto anche la “bomboniera” per le sue dimensioni (300 posti) e l’invidiabile acustica, ricalca all'esterno il Teatro della "Scala" di Milano, mentre l'interno sembra rifarsi al "S. Carlo" di Napoli, nei suoi tre ordini di palchi e loggione.



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Teatro comunale



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Il Palazzo Ducale degli Acquaviva

Maestoso il Palazzo Ducale degli Acquaviva, attuale sede del comune.


È una sorta di fortezza tutta in pietra, edificata nella prima metà del Trecento e rimaneggiata nel '700.


La facciata nasconde un cortile rinascimentale circondato da un loggiato con iscrizioni e resti romani.


Tra arte e natura, il paesaggio delle colline atriane affascina per la spettacolare presenza dei Calanchi, vere e proprie “sculture naturali” nate dalla millenaria erosione del terreno argilloso.


Il panorama assume toni e colori da “bolgia” dantesca, lo scenario si fa severo, quasi “lunare”, sovrastato dall'imponente architettura disegnata da queste formazioni geologiche.



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Nel cuore sotteraneo di Atri



Plinio il vecchio ne apprezzava galline e cibo, Tito Livio, convinto che fosse abitata dagli dei, ne esaltava il coraggio e la fedeltà a Roma.


Le strade hanno conservato l’aspetto medievale, ricalcato in alcuni punti sul modello della città romana; monumenti, palazzi signorili, musei, testimoniano la grande storia di questo piccolo gioiello abruzzese.


Nella parte meridionale la città offre un singolare sistema di grotte e grotticelle direttamente collegate, una fitta rete di cunicoli di origine preromana, probabilmente una gigantesca cisterna d’acqua, che il turista mai appagato può trovare emozionante.


Le grotte hanno cinque entrate e cinque uscite e, secondo una leggenda, sarebbero l’esterno
della mano di Santa Reparata che, durante un terremoto, impedì il crollo di Atri.


A conferma che gli dei che proteggono Atri abitano in città, come sosteneva Tito Livio, ma nella profondità. ;)










Edited by filokalos - 15/4/2013, 11:28
view post Posted: 9/4/2013, 10:40     Vine - L'app per micro-registi - Tecnologia

Vine - L'app per micro-registi

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Un'app gratuita realizzata dall'azienda del passerotto
permette di realizzare film da sei secondi con montaggio automatico,
da condividere sui network. Un primo passo verso l'ipercorto,
e un'idea che arriva dalla prossima frontiera per la competizione:
il video "partecipato" e distribuito in tempo reale



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Si chiama Vine ed è l’ultimo nato tra i social network.

È figlio di Twitter e con il sito di microblogging condivide l’idea di base: quella di comunicare in maniera breve, anzi brevissima.

Ma mentre Twitter ci costringe a scrivere pensieri e idee in 140 caratteri, Vine sposta tutto sul fronte dell’immagine, spingendoci a condividere filmati che durano soltanto sei secondi.

Già così l’idea sarebbe interessante, ma Vine fa di più.

L’applicazione, disponibile sull’Apple Store e su Google Play Store, consente non solo di girare piccoli video ma addirittura di montarli, un blocco dopo l’altro, semplicemente con la pressione del dito sullo schermo, in modo da ottenere un filmato completo e divertente, da caricare nel sistema.

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Vine poi lo mette addirittura in loop, mostrandolo continuamente.

Vine è frutto di un intuizione geniale, quella di mettere a disposizione di tutti, visto che non c’è bisogno di alcuna conoscenza tecnica per girare e montare i video, la comunicazione attraverso le immagini, sfruttando al meglio le funzioni che abbiamo nei nostri smartphone e le possibilità social della Rete.

È un passaggio epocale, che non va sottovalutato, una sorta di parallelo con quello che accadde con l’introduzione della penna biro, una semplificazione che può aprire la porta a grandi innovazioni culturali.

E se non sarà così? Beh, di sicuro Vine è divertente, semplice, immediato e, se non cambierà il mondo, sarà almeno uno strumento d’intrattenimento di sicuro successo.



Come funziona. Una volta scaricata la app e registrato la propria utenza, anche attraverso Twitter, Vine è pronto a funzionare.

Sarà sufficiente iniziare a "girare", inquadrando qualcosa con lo smartphone in verticale (niente riprese landscape quindi almeno per ora), e poi tenendo premuto il dito sullo schermo finché la barra verde in alto non diventa piena.



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Togliendo il dito, Vine interromperà la ripresa, in attesa che l'utente riprema sullo schermo per arrivare ai sei secondi di ripresa previsti. Quindi ripetendo l'operazione più volte, con inquadrature diverse o anche uguali, il più è fatto.

A questo punto Vine assemblerà i clip in un unico video, ottenendo un minifilm con audio da pochi secondi. E procederà alla pubblicazione, che potrà essere commentata e corredata di vari hashtag per entrare al meglio nel flusso di Twitter.

Cosa si ottiene. Il risultato è una sorta di immagine animata molto evoluta, diverso da quello che si ottiene ad esempio con Cinemagram o GifBoom, e piuttosto basilare.

Ma la possibilità del mini-montaggio automatico, che non prevede possibilità di intervento una volta premuto l'ok, è senza dubbio intrigante. Una volta girato il video, si può taggarlo e condividerlo nel flusso di Vine, Twitter e Facebook.

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E naturalmente si può utilizzare l'applicazione per guardare ore e ore di video altrui, sempre condensate in singoli mini-film da sei secondi.

Alcuni sono obbiettivamente geniali, realizzati con tecniche di stop motion e usi creativi della possibilità di interrompere e riprendere la registrazione. Un festival dell'ipercorto è naturalmente dietro l'angolo.

L'idea di Twitter per il 2013 sembra essere la strategia di massima espansione, già con l'introduzione del pulsante "more" nel sito principale, che consente di incorporare e inviare tweet via mail.

E con Vine, il passerotto punta superare a sinistra Instagram, offrendo un'app in grado di far diventare l'utente "regista", come Instagram fa diventare tutti "fotografi", sempre tra abbondanti virgolette.

Vine è un'idea che sembra funzionare, soprattutto per la stretta integrazione con Twitter, ma ad esempio un'app come Viddy, anche se più complessa nell'interfaccia, fornisce un'esperienza di social video certo più completa.

I potenti mezzi dell'azienda di Dick Costolo potrebbero però presto fornire più benzina a un'app che ha le potenzialità per amplificare il raggio di volo del passerotto del web: siamo appena alla prima versione, e il successo è già rilevante. In attesa della prossima mossa di Facebook.



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Edited by filokalos - 10/4/2013, 06:50
view post Posted: 4/4/2013, 11:56     Ground Zero.2 - Architettura & Urbanistica

Ground Zero.2

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Nel ridisegno del nuovo skyline di New York,
il grattacelo è protagonista. Con forme inedite...



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Il plastico della nuova Ground Zero

Dopo la tragedia dell'11 settembre, a New York è partita lodevolmente la corsa per la ricostruzione del buco nero ribattezzato Ground Zero.

Al concorso hanno risposto 406 studi di tutto il mondo, una partecipazione di massa record.



Sono trascorsi tanti anni e ora il cuore dell'isola sull'Hudson offre un panorama d'incredibile varietà e creatività.

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La Beekman Tower,
progettata da Frank O. Genry
e ultimata nel 2011. Con i suoi 267 metri,
è il più alto edificio residenziale
(903 appartamenti) di Marnattan.

Nella griglia di New York City compresa tra Vesey St. e Liberty St. ci sono tre grandi lotti: quello indicato con l'acronimo 1WTC, One World Trade Center ora Freedom Tower, è un progetto di Skidmore, Owings & Merrill e sarà concluso entro l'anno.


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1776 piedi (ovvero 541 metri).
1776 come l'anno della
Dichiarazione d'Indipendenza degli Usa:
la FreedomTower è il simbolo
della rinascita di Ground Zero


La rinomata Company ha modellato un prisma sfaccettato che coniuga una delle tante possibili variazioni della geometria euclidea con le pili avanzate tecnologie dell'acciaio e del cemento.



È l'ombelico svettante di Lower Manhattan, accanto ai grattacieli di Poster, Rogers, Maki. Ma New York offre un panorama incredibile di novità per cercare le quali ciascuno scarpina dove preferisce, e non mancano le sorprese.



Come ad esempio, la Beekman Tower (Spruce Street) disegnata da Frank O. Gehry, il quale ancora una volta affascina con il suo spericolato talento.



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Un grattacielo per appartamenti, certo, ma dalla forma così insolita che si fa fatica a trovare le parole per decodificare la frantumazione sintattica operata su quella che è la più abusata tipologia architettonica del Duemila: un fascio di energia che s'avvita nel cielo come una serpe e cambia materiali e colori e s'affina verso l'alto.



Un grattacielo salamandra che ora strizza l'occhio agli edifici ottocenteschi di pietra e mattoni situati attorno, ora volge al lucido alluminio, per cambiare pelle man mano che si sale.

Sembra quasi che non ci sia un filo a piombo in questo grattacielo, e Gehry in queste insistite torsioni formali non ha pari.

Un fascio di muscoli in tensione. :blink:



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Foto dal profilo twitter di WTC Progress



Il WTC Transit Hub, la stazione di interconnessione del traffico pubblico (metro, autobus, PATH) tra New York e il New Jersey, progettato da Santiago Calatrava, sarà inaugurato nel 2014



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Un rendering del WTC Transit Hub



Sorprende, sia per la forma smussata sia per il ruolo che assume il curtain unti (parete continua), la residenza 100 di Jean Nouvel tra la 11esima Avenue e la 19esima West Street; un omaggio a Piet Mondrian per la rigorosa e pur allegra rifrazione dei pannelli multicolori delle finestre e un'insolita variazione formale ad angolo smussato.



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La Residenza 100, progettata da Jean Nouvel, sfoggia 1.650 finestre



Completamente diverso il progetto per l'ampliamento del MoMa dello stesso Nouvel, che questa volta lancia la sua sfida al ciclo con Tower Verre, edificio che da un lato pensa al grattacielo alto un miglio di Wright, dall'altro non è dimentico dello Shard di Renzo Piano a Londra, di prossima apertura. Ma guai a dirglielo!



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Un rendering della Tower Verre



Di certo, New York non ha mai motivo di annoiare...





Da Ground Zero di Stefano Salimbeni. Immagini e montaggio di Davide Cannaviccio






Edited by filokalos - 4/4/2013, 21:40
view post Posted: 23/3/2013, 18:02     Giovanni Gastel - Eleganza e femminilità attraverso l'obiettivo - Fotografia

Giovanni Gastel

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Giovanni Gastel, 1985, 60 x 80, tiratura: 6, Stampa: Fine-Art su carta Baritata


Eleganza e femminilità attraverso l'obiettivo


Quaranta immagini a colori e in bianco e nero
danno volti e forme alle donne contemporanee
e alle creazioni delle grandi firme della moda
grazie alla mostra di Giovanni Gastel




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Il nome di Giovanni Gastel è ormai in tutto il mondo sinonimo di fotografia di moda di altissima qualità, uno dei nomi di prestigio legato al Made in Italy, veicolato da decenni sulle più famose riviste del settore.

Giovanni Gastel nasce a Milano il 27 dicembre 1955, da Giuseppe Gastel e da Ida Visconti di Modrone, l'ultimo di sette figli.

Nel 1967, all'età di dodici anni, Gastel inizia a mostrare la sua vocazione artistica, entrando a far parte di compagnie di teatro sperimentale, per le quali recita fino all'età di diciassette anni.

Parallelamente, coltiva la passione per la poesia e a sedici anni pubblica, per l'editore Cortina, una raccolta intitolata Casbah.

Negli anni Settanta, avviene il suo primo contatto con la fotografia.

Da quel momento, ha inizio un lungo periodo di apprendistato durante il quale fotografa matrimoni, esegue ritratti, piccoli still-life e qualche servizio di moda per bambini, mentre un'occasione importante gli viene offerta nel 1975, quando inizia a lavorare per la casa d'aste Christie's.



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Giovanni Gastel,1996, polaroid



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Laura Chiatti

La sua storia professionale comincia negli anni intorno al 1975 con lo Still Life, quel genere di fotografia che richiede massima abilità e concentrazione, che lui stesso considera la migliore palestra per l’espressione della creatività personale e che consiglia anche ai giovani che vogliano avvicinarsi alla professione di fotografo.


Le foto pubblicitarie di oggetti realizzate da Gastel sono famose per coniugare lo spirito del Surrealismo con quello della Pop Art e per la carica di humour che spesso contengono.

Inconsuete, giocose, a volte geniali, strappano spesso il sorriso per la loro simpatia nello sdrammatizzare il compito per cui nascono: quello di mostrare il prodotto come “eroe” della scena. A questo stereotipo lui sostituisce invece la sua capacità di rivedere gli oggetti cercando assonanze e spunti nelle loro forme e nei loro colori, per comporre situazioni che spiazzano piacevolmente il lettore, carpendone l’attenzione.



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Giovanni Gastel,1996, polaroid



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Elisa (Provaso) goes to the City: gennaio 2013

La svolta avviene nel 1981 quando incontra Carla Ghiglieri, che diventa il suo agente e lo avvicina al mondo della moda.

Dopo la comparsa dei suoi primi still-life sulla rivista Annabella, nel 1982.

Inizia a collaborare con Vogue Italia e poi, grazie all'incontro con Flavio Lucchini, direttore di Edimoda, e Gisella Borioli, alle riviste Mondo Uomo e Donna.



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Tea Falco

Da questo momento, la sua attività professionale s'intensifica e inizia a collaborare con le più prestigiose testate di moda sia in Italia che all'estero, soprattutto a Parigi.

Gastel si distingue mettendo in campo il suo raffinato gusto che trae linfa dagli esempi più classici della storia della pittura, premiando sempre la semplicità, l’intensità dello sguardo, la ricerca dell’esaltazione della bellezza e una distillata eleganza ottenuta con mezzi “tradizionali”, come il grande banco ottico in legno, che però lui utilizza spesso col materiale Polaroid.

E qui sta la grande novità: un materiale che fino ad allora era stato solo utilizzato come test, viene rivalutato e portato al rango di “definitivo per la stampa” perché siano valorizzate ed apprezzate le sue particolari delicate caratteristiche cromatiche.

Non solo, ma vengono spesso sperimentati alcuni “errori” intenzionali nello sviluppo (tecniche di sviluppo incrociato) che danno risultati assolutamente nuovi e interessanti.

E ancora, vengono utilizzate tecniche di duplicazione, di sovrapposizione di “foto su foto”, insomma una sperimentazione creativa con materiali chimici, prima della grande rivoluzione digitale.

Compare, sulla scena del Fashion System, lo stile “alla Gastel”.

Elabora proprio in questi anni d'intenso impegno professionale il suo stile inconfondibile, caratterizzato da una poetica ironia, mentre la sua passione per l'arte lo porta ad introdurre nelle fotografie il gusto per una composizione equilibrata.



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Giovanni Gastel, 1991, polaroid



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Signora in Rosso

I suoi riferimenti sono, per gli still-life, la Pop Art, che ebbe modo di vedere in mostra alla Rotonda della Besana sin dai primi anni Settanta, e l'opera fotografica di Irving Penn.

Traendo ispirazione anche dallo studio dell'arte rinascimentale, Gastel si rifà costantemente ad un'ideale di eleganza, che ha respirato sin dall'infanzia, soprattutto grazie alla madre.

Intorno alla metà degli anni Ottanta, fonda la Gastel&Associati con Angelo Annibalini e Uberto Frigerio, con la quale intende promuovere l'inserimento nel mondo professionale di giovani fotografi, sia cresciuti nel suo studio, che incontrati durante numerosi workshop.

Il suo impegno attivo nel mondo della fotografia lo avvicina anche all'Associazione Fotografi Italiani Professionisti, di cui è stato presidente dal 1996 al 1998.

Da allora ne è presidente onorario.

La consacrazione artistica avviene nel 1997, quando la Triennale di Milano gli dedica una mostra personale, curata dallo storico d'arte contemporanea, Germano Celant, in cui vengono presentate circa 200 fotografie, testimonianza della sua lunga e prolifica carriera.

Gastel utilizza le tecniche "old mix", quelle a incrocio, le rielaborazioni pittoriche, gli sdoppiamenti e le stratificazioni, fino al ritocco digitale.

Il successo professionale si consolida nel decennio successivo, tanto che il suo nome appare nelle riviste specializzate insieme a quello di fotografi italiani quali Oliviero Toscani, Giampaolo Barbieri, Ferdinando Scianna, o affiancato a quello di Helmut Newton, Richard Avendon, Annie Lebowitz, Mario Testino e Jurgen Teller.



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Senza titolo, 1991



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Senza Titolo,1996

Quando il digitale irrompe, lui non si chiude al nuovo, ma con la curiosità che è sorella dell’intelligenza, lo studia, lo capisce e lo mette al servizio della sua fantasia.

Gastel comunque non si accontenta della sola fotografia professionale che pur gli concede grandi spazi di libertà e notevoli soddisfazioni: si cimenta anche nella fotografia “non commissionata” e ci regala, ad esempio, degli inediti appunti di “cose viste” (come lui stesso le chiama) di viaggi e luoghi che ci mostra con uno spirito assai più emozionale che descrittivo e analitico, come del resto fa anche sui set della moda.

Sono immagini rarefatte, decolorate, spesso velate da una nebbia argentea in cui si vive un’atmosfera di attesa e d’impalpabile silenzio.

Nel 2002, nell'ambito della manifestazione La Kore Oscar della Moda, ha ricevuto l'Oscar per la fotografia.

Ancora un altro capitolo della sua ricerca è quello che si è poi concretizzato nella grande mostra e pubblicazione “Maschere e spettri”.

È un’importante svolta nel suo modo di fotografare: è come se l’artista, dopo decenni vissuti all'interno della “gabbia dorata” della moda e dell’eleganza, abbia voluto mostrarci l’altra faccia della sua personalità, quella sconosciuta e sorprendente della ricerca profonda che si cela dietro l’apparenza scintillante.



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Alice Taticchi



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Senza Titolo,1998,

Sono immagini forti, impattanti, spesso disturbanti, in cui il volto e il corpo della donna vengono messi a dura prova da un fotografo impietoso che utilizza la post-produzione digitale e una innaturale simmetria fisiognomica mettendo in scena dolore e disperazione, a volte un’anticipazione della morte, proprio in antitesi (o in complementarietà?) con la leggerezza e la bellezza patinata del lavoro quotidiano.

Presidente onorario dell'Associazione Fotografi Italiani Professionisti e membro permanente del Museo Polaroid di Chicago, svolge la sua attività lavorativa nel suo studio in Via Tortona a Milano, dove continua a coltivare la sua passione per la poesia - l'ultima raccolta ha per titolo Cinquanta - e per la ricerca fotografica al di fuori degli schemi della moda.

Dal 6 marzo 2013 Ersel ospita a Torino, nello spazio espositivo di piazza Solferino 11, un’interessante mostra di Giovanni Gastel, fotografo milanese tra i più conosciuti e apprezzati a livello internazionale.

Grande cultore della sperimentazione, Gastel ha saputo portare nella fotografia di moda uno sguardo nuovo, insieme ironico, colto e raffinato. L’esposizione comprende una quarantina di immagini dal 1980 ad oggi, ritratti e citazioni di grande eleganza formale che incarnano e interpretano in modo sempre originale la bellezza e la femminilità.

A volte rarefatte, oniriche e simboliche, a volte surreali e smitizzanti, queste opere raccontano un percorso inarrestabile di ricerca creativa che, letto a ritroso, rispecchia la storia dell’arte e l’evoluzione del costume degli ultimi trent’anni.



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Alice Taticchi



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Senza Titolo, 2008

La mostra, curata da Valerio Tazzetti e Paola Giubergia, illustrerà attraverso 40 immagini (a colori e in bianco e nero) la carriera di uno dei fotografi italiani più conosciuti a livello internazionale indagando il suo rapporto con la figura femminile e presentando alcuni dei suoi scatti più celebri; quelli che hanno legato il suo nome a uno stile che è diventato, nel corso degli anni, sinonimo di fotografia di moda di alta qualità.

Il percorso espositivo, focalizzato sul rapporto tra la donna contemporanea e le sorprendenti creazioni delle grandi firme della moda, documenterà oltre trent’anni di lavoro, dagli anni Ottanta a oggi, proponendo alcuni degli esempi più conosciuti e apprezzati della sua creatività.

Tra questi, gli scatti realizzati per le più prestigiose testate di moda italiane e straniere.

Sono fotografie contraddistinte da una inconfondibile cifra espressiva, caratterizzate da grande eleganza formale e poetica ironia. A volte rarefatte e auliche, a volte oniriche e allegoriche, altre invece surreali e smitizzanti, le sue immagini raccontano un percorso inarrestabile di ricerca creativa che, letto a ritroso, rispecchia l'evoluzione del costume a cavallo di questo complesso millennio.

La profonda passione per l’arte traspare nella composizione delle sue inquadrature, che risentono fortemente dello studio della pittura rinascimentale, della storia del cinema moderno, dell'arte contemporanea e della grande tradizione della fotografia di moda, da Irving Penn a Richard Avedon.

Cultore della sperimentazione, Gastel ha saputo apportare alla percezione della moda un contributo innovativo, un approccio insieme fresco e ironico, colto e raffinato.



L’esposizione comprende 20 fotografie fine-art di medio e grande formato e altrettante Polaroid 20x25, tra cui gli intensi ritratti delle giovanissime Naomi Campbell, Monica Bellucci, Linda Evangelista, Lynn Kostner, citazioni esemplari di quel messaggio di grande rispetto per la femminilità e i suoi valori estetici che pervade tutta la mostra.

Accompagna l’esposizione un catalogo a colori edito da Ersel, con testi di Nicola Davide Angerame.

GASTEL
Torino, Spazio Ersel (piazza Solferino 11 - zona Piazza Castello)
6 marzo - 26 aprile 2013
Orari: da lunedì a venerdì, dalle 10 alle 18
Ingresso libero

Informazioni:
tel. +39 011.5520111;
fax +39 011.5520241
Email: [email protected]
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Edited by filokalos - 24/3/2013, 16:44
view post Posted: 22/3/2013, 11:36     Ponte di Akashi Kaikyo - Architettura & Urbanistica

Ponte di Akashi Kaikyo


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Tipologia: ponte sospeso
Materiale: acciaio, cemento
Lunghezza: 3.911 m
Luce max: 1.991 m
Altezza: 282,8 m
Progettisti: Honshu Shikoku Bridge Authority
Costruzione:1988-1998

L'Akashi-Kaikyō Ōhashi o 明石海峡大橋 in giapponese
è il ponte sospeso più lungo del mondo.
È alto 282,8 m e lungo 3911 metri.
La sua campata principale è lunga ben 1.991 metri.
Inaugurato il 5 aprile 1998, unisce la città di Kobe
sull'isola di Honshū all'isola Awaji.




Con il suo impalcato a sei corsie, il ponte di Akashi Kaikyo è più lungo dello Humber Bridge (Yorkshire-Lincolnshire, Gran Bretagna), ed è attualmente il ponte sospeso più lungo del mondo.



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Ognuno dei suoi cavi pesa circa 25.000 tonnellate, ed è formato da un gruppo di 36.830 fili, ciascuno dei quali ha un diametro di 5,23 millimetri.



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I cavi sono stati fabbricati nella grande acciaieria internazionale Nippon Steel Corporation per soddisfare i rigorosi standard e i controlli di qualità adottati dalle industrie automobilistiche ed elettroniche giapponesi.



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Iniziato a costruire nel 1980 (la fase di progettazione era durata i venti anni precedenti), è stato inaugurato nel 1998 e il 15 gennaio 1995 ha resistito al terremoto di Kobe di intensità 6,8 della scala Richter, quando già erano state issate le due torri (alte ciascuna 300 metri) e l'epicentro del sisma era localizzato proprio nella faglia nello stretto di Akashi.



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Le due torri non subirono danneggiamenti estremi (sebbene il terremoto abbia fatto oltre 15.000 vittime nel paese), ma la torre sud si spostò di 120 cm, e i lavori ripresero soltanto dopo un mese.



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La due torri



Il governo giapponese ha fatto costruire due appositi siti atti a contenere i modelli in scala 1:100 delle due torri e sottoporli alle apposite prove nella galleria del vento in modo da sopportare venti fino a 150 km/h.

I due cavi sospesi che sorreggono le campate sono composti ciascuno da 290 trefoli e la teleferica che li ha installati ha dovuto quindi fare 290 viaggi per cavo, dopo che il primo trefolo è stato tirato grazie ad un cavo in kevlar posato da un elicottero da una sponda all'altra.



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Poiché notoriamente il problema principale di questi cavi d'acciaio è la corrosione, ognuno dei due cavi è sottoposto ad un getto d'aria 24 ore su 24 per scongiurare il pericolo dell'umidità.



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Vista l'enorme dimensione del ponte, risulta che l'80% della sua capacità portante è impegnata a reggere il peso proprio dell'opera mentre solo il restante 20% è destinato a sostenere il traffico stradale.



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Il progetto iniziale prevedeva anche il traffico ferroviario che fu, successivamente, per ragioni non note, soppresso.



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Nonostante la lunghezza del ponte (3911 metri) e la sua sezione centrale (1991 metri) siano stati aumentati di un metro rispetto al progetto originario, la struttura complessiva non ha subito modifiche di rilievo.



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Originariamente, era previsto che sul ponte fosse installata una linea ferroviaria, ma nel 1985 fu deciso di limitare la destinazione d'uso dell'impalcato al traffico su ruote, costruendo un tracciato autostradale.



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Nel 1989 furono poggiati sul fondale marino, ad una profondità di 70 metri due cilindri del diametro di 70 metri ciascuno e con una doppia parete che dovevano costituire la fondazione delle due torri.



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I cilindri furono calati su un letto di posa del fondale marino nel quale era stato preventivamente scavato un anello e completato con del vespaio atto a far sì che durante la fase di poggiatura non ci fossero gravi slittamenti dovuti alla viscosità del fondale stesso.



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La messa in opera, difatti, fu eseguita alla perfezione con un margine di errore di soli 2 cm.



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Successivamente i cilindri cavi furono riempiti con uno speciale cemento (necessario per resistere all'acqua) e quindi alla sommità di essi fu realizzata la piastra di ancoraggio sulla quale poi furono posizionate le torri a loro volta realizzate in cantiere.







Edited by filokalos - 19/1/2017, 17:33
view post Posted: 22/3/2013, 10:05     Ippocrate di Coo - Incipit

Ippocrate di Coo

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(460 a. C. ca. - 370a.C.)

Gli Uomini che hanno cambiato il Mondo

Rivoluzionò il concetto di medicina
distinguendola da altri campi.
Ebbe il merito di far avanzare notevolmente
lo studio sistematico della medicina clinica,
riassumendo le conoscenze mediche delle scuole precedenti
descrivendone le pratiche per i medici
attraverso il Corpus Hippocraticum e altre opere
.





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Ippocrate discendeva da una famiglia di medici appartenenti all'antica corporazione degli asclepiadi, una casta di medici-sacerdoti che si tramandavano di padre in figlio l’arte della medicina, ed erano votati al culto di Asclepio, di cui si consideravano diretti discendenti. Asclepio era figlio di Apollo Risanatore e di una mortale, Coronide. Ebbe come precettore il centauro Chirone che ne fece un medico. È citato per la prima volta nell’Iliade, dove è ricordato unitamente ai suoi figli. Macaone e Podalirio, valenti medici anch’essi. In seguito venne divinizzato e gli furono attribuite altre due figlie. Igea, la Salute, rappresentata nell’atto di abbeverare un serpente da una coppa, e Panacea, colei che guarisce ogni male. Il suo culto si diffuse dovunque, fino a Roma, dov’era venerato sotto il nome di Esculapio.

I santuari dove Asclepio veniva venerato, erano nello stesso tempo luoghi di culto e stazioni di cura. Essi sorgevano presso fonti salutari, in ombrosi boschetti, sulle colline vicine alle città: tra i più famosi, quello di Tricca in Tessaglia, Pergamo nella Misia e soprattutto Epidauro; ma se ne contarono in numero molto elevato, fin oltre duecento. Si aprivano a tutti, ai ricchi come ai poveri, particolare certamente apprezzabile in un contesto sociale che non conosceva la “mutua”.

Nell'Asclepion, il tempio del dio, la cura si fondava su esperienze iniziatiche: la guarigione era prerogativa degli dèi e si otteneva attraverso la purificazione dalle colpe. Ai medici-sacerdoti era riservato il compito di accogliere i pazienti e di indirizzarli verso un personale rapporto con il divino da raggiungere con un periodo di isolamento - “incubazione” - ed esposizione alla divinità.



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Ippocrate rifiuta i doni di Artaserse



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All’evoluzione della medicina dalla concezione magico-religiosa a quella di scienza, contribuirono diverse scuole, come la scuola Italica, la scuola di Cnido e - la più celebre - quella di Coo, resa soprattutto famosa dal nome di Ippocrate, il suo maestro più autorevole, considerato il fondatore della moderna scienza medica.

Con Ippocrate la medicina entra nella storia. Egli - nonostante l’intrec-ciarsi di elementi leggendari nelle notizie che abbiamo sulla sua vita - è un personaggio sulla cui reale esistenza non sussistono dubbi: abbiamo, fra l’altro le attestazioni di Platone e di Aristotele, suoi contemporanei.

Nato nell’isola egea di Coo (Dodecaneso) attorno al 460 a.C., sarebbe morto vecchissimo a Larissa nel 370 circa.

Ippocrate resta un asclepiadeo, non rinnega la sua discendenza da un antenato che era assurto aH’Olimpo celeste ed era venerato come il dio della medicina. La sua religiosità è perfettamente conforme ai concetti della mitologia greca e alle sue implicazioni antropomorfiche: «I medici cedono il passo agli dèi, giacché nella medicina la potenza non è mai di troppo». Ma nell’approccio con la malattia, con le sue origini, il suo decorso, egli si lascia guidare unicamente dall’osservazione e dal ragionamento, ripudiando ogni ricorso al trascendente.

Ogni malattia ha una causa naturale. È l’intervento della natura a provocare il suo insorgere, leggi naturali presiedono al suo decorso e gli effetti delle cure mediche sull’organismo procedono secondo l’ordine naturale delle cose. Nessuna malattia è più divina o più umana di un'altra, ma tutte sono divine e tutte sono umane. Nell’opera Male sacro - termine col quale si usava indicare l’epilessia - Ippocrate afferma: «Soltanto l’ignoranza degli uomini, le manifestazioni impressionanti, l’incapacità di trovare un rimedio efficace, fa pensare che vi si celi qualcosa di divino».



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La fama di Ippocrate è legata a un’imponente collezione di opere mediche, che costituivano la biblioteca della scuola di Coo e che, quando questa nel ih secolo a.C. si estinse, furono ereditate dalla biblioteca di Alessandria.

La collezione comprende circa settanta trattati, che i bibliotecari alessandrini raccolsero sotto il titolo generale di Corpus Hippocraticum.

Ma sia il loro numero, sia le differenze che esse presentano nella data di composizione, nello stile e anche in taluni aspetti dottrinali, mostrano che non sono tutte prodotto della stessa mano. Tuttavia traspare da esse una fondamentale coerenza nella concezione terapeutica, essenzialmente basata sull'interpretazione naturalistica della medicina e sull'osservazione diretta del malato.

Questo binomio costituisce il nucleo della dottrina ippocratica, che egli seppe inculcare nei suoi discepoli e che, nell’avvicendarsi delle generazioni, non ha perso la sua impostazione originaria.



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Il Giuramento di Ippocrate



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La concezione medica di Ippocrate è sostanzialmente umoralistica, fondata cioè sull’equilibrio degli umori presenti nel corpo, riconosciuti in numero di quattro: il sangue, che proviene dal cuore, la flemma, che proviene dal cervello, la bile gialla, prodotta dal fegato e la bile nera (melancholia), dalla milza.

La prevalenza di un umore sugli altri determina il temperamento.

In conseguenza si riconoscono quattro tipi temperamentali: il sanguigno, il flemmatico, il bilioso e il melanconico.

La rottura dell'equilibrìo determina l’insorgere della malattia.

Ippocrate nutre una fede sconfinata nella sua scienza: «La medicina salva anche coloro che non ci credono».

Ma esige dal medico la rigorosa - e si può aggiungere religiosa - osservanza di un codice etico, che ne deve fare un esempio di dirittura morale, e non solo nello svolgimento della professione, ma altresì nel comportamento di tutti i giorni: «Conserverò la mia vita in modo incontaminato e puro, così come la mia professione».

Questo impegno e altri egli richiede ai suoi discepoli nel più famoso dei suoi scritti, il Giuramento, un documento che ha costituito nei secoli il codice d’onore del medico e al quale la sacralità della formula conferisce l’altissimo valore di un imperativo categorico: «Giuro per Apollo medico, per Asclepio, Igea e Panacea, e per tutti gli dei e per tutte le dee che prendo a testimoni, di tener fede a questo giuramento con tutte le mie forze e le mie capacità».




Edited by filokalos - 25/3/2013, 10:42
view post Posted: 17/3/2013, 18:04     Melody Prochet, un tuffo nel dream pop - Saranno Famosi?



Melody Prochet, un tuffo nel dream pop


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È uscito alla fine del 2012
Melody’s Echo Chamber,
il disco della cantante francese Melody Prochet,
scritto quasi interamente da Kevin Parker dei Tame Impala.





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Di ragazze con la voce da usignolo, dalla bellezza eterea e dallo sguardo un po’ assente, volto verso una dimensione lontana, ne stanno spuntando come funghi.

Ogni tanto sembra che non si possa proprio a fare a meno di riproporre gli stessi look e di riciclare atmosfere oniriche.


Ma Melody Prochet, meglio conosciuta con il nome d’arte Melody’s Echo Chamber, esce dall’anonimato perché è stata baciata dalla fortuna.

Brava e bella quanto volete, ma se non si hanno i produttori giusti, con delle brillanti idee non si va da nessuna parte.

Melody Prochet, 25 anni, una bellezza che le ha fatto guadagnare paragoni con Françoise Hardy, ha una formazione classica, studi in design e una passione per la sperimentazione.

Già popolare negli Stati Uniti, dove è spesso in tour, il suo primo album da solista, “Melody’s echo Chamber”, è un tuffo nel dream-pop, fra Cocteau Twins, Blonde Redhead e Stereolab.

Multi-strumentista di formazione classica, Melody Prochet approccia tre anni fa Kevin Parker dei Tame Impala durante la data di quest’ultimi nella sua Parigi; lui ne rimane affascinato, recluta i My Bee's Garden di lei come support act per la successiva tournée europea.



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Dopo aver fatto fare un po’ di gavetta, i Tame Impala, ma soprattutto Kevin, completamente ammaliato dalla spigliatezza della francesina, l’aiuta a svecchiare la chanson française e a donarle una veste più attuale.

Così comincia l’avventura di Melody, tra Australia e Francia, che porterà alla realizzazione del suo primo disco solista.

Oltre ad avere un aspetto molto glamour (che è anche ciò che la sta portando ad avere una certa notorietà sulle riviste patinate di moda), Melody ha una voce sensuale e languida.

Come appena uscita da un film di Truffaut o Godard, appare immediatamente chiaro il sodalizio tra la base melodiosa e le distorsioni psichedeliche.

Undici tracce raffinate, ogni tanto velatamente sporcate da ritmi sintetici ed electro rifiniture.



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Parte col botto con il singolo I Follow You, una ballata che supera la nostalgia con un finale in assolo chitarrista e continua con una più ruvida Crystallized, che alterna una monotona cantilena segmentata ad esplosioni d’incandescenza ritmica.

Dream Pop, etichetta che le è stata parecchie volte assegnata è azzeccatissima per Some Time Alone, Alone e Bisou Magique, prima traccia delle due cantate in francese, insieme a Quand Vas Tu Rentrer? , dagli echi stanchi, di natura ambient, mentre il registro cambia quasi completamente con Endless Shore, di cui le tastiere sono il pezzo forte e gli anni ’80 sembrano lo scenario adatto per immergersi.

Completamente fuori controllo è Is That What You Said, una bella prova di sperimentalismo reverse tape, ma di costante esecuzione, senza particolari stravolgimenti emotivi.



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Be Proud Of Your Kids, ultimo degli undici brani, sembra stato esaguito da una Charlotte Gainsbourg un po’ ubriaca che si porta dietro i figli a vociare in studio di registrazione, simpatico e molto, ma molto d’oltralpe.

Come racconta la cantautrice: «Con un nome come il mio non potevo che diventare una musicista. È stato mio padre a volermi chiamare così, un italiano della provincia di Torino con un passato in una rock band».

Cresciuta ed educata musicalmente (gli studi classici, e il tessuto familiare) in Provenza, l’ultima promessa della Fat Possum offre, in buona sostanza, un dream pop atipico, fluido nello smarcarsi, ipnotico, da una categorizzazione precisa.

Melody’s Echo Chamber è a tutti gli effetti un ibrido dream pop che permea di fascinazioni per la decostruzione delle tradizioni psych, glam, kraut, space-rock, shoegaze e sunshine pop.





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Si fa ampio uso di approccio retrofuturistico per layer nel synth-work, ma si guarda anche alla nativa Francia per certi groove e numeri kitsch à la Air, cadenze da chanson française e tributo all'attualità.

Melody’s Echo Chamber è un esordio brillante che presenta la Prochet come talento carismatico e dal senso dello stile innegabilmente cool. Più importante, è disco marketable in una piazza satura qual è oggi quella del dream pop.

Con un debole per la psichedelia stralunata, il ritmo motorik casalingo e una naturale predisposizione per quel classicismo melodico che ricorda la musica da camera, Prochet è anche una appassionata dei limiti estremi del pop.

Melody’s Echo Chamber è stato registrato tra Perth (con Kevin Parker dei Tame Impala) e la casa sulla spiaggia dei nonni a Cavalière in Francia.

Il disco ha vissuto così dell’incontro artistico, oltre che sentimentale, fra due musicisti di estrazione molto diversa, rischiando di finire nel caos e nel fallimento ma raggiungendo un imprevedibile equilibrio.

La raffinatezza intellettuale fra jazz e musica colta degli Stereolab, la sensualità pop di Gainsbourg, le atmosfere dream pop alla Broadcast portate da Melody e la psichedelia retro, lo space rock, l’elettronica, le distorsioni e i rumori di Parker danno vita a un album che vive e bene delle sue apparenti contraddizioni: sogno e incubo, luce e ombra, serenità e tumulto, arpeggi e distorsioni, morbidezza e ruvidezza.

Con la sua voce fumosa e sensuale e l’aria romantica, Prochet incarna quella tipica eleganza e decisa percezione di sé che da sempre sono associate alla migliore musica francese d’esportazione.



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Ma, per quanto la sua identità nazionale scorra attraverso l’essenza degli undici brani che compongono Melody’s Echo Chamber, l’album suona universale; uno sguardo oltre ai confini dell’esperienza personale pescando attraverso l'arte pop europea - kraut, space-rock, dream-pop, elettronica - in un modo che è cinematografico e musicale nel suo intento.

Melody, per dodici anni, ha studiato viola al conservatorio di Aix-en-provence, suonando Debussy e Messiaen.

«Tutto è cambiato quando, a 18 anni, mi sono trasferita a Parigi e ho scoperto il rock alternativo: Radiohead e Spiritualized, Sonic Youth e Can. A cambiarmi la vita è stato il disco “Misery is a butterfly” dei Blonde Redhead».

Melody Prochet è stata inserita da Stereogum in un listone orientativo comprendente i migliori (quaranta artisti) emergenti dell’anno in corso.

Recentemente Vogue l'ha "consacrata" Artist of the Week, e Pitchfork è stato da par suo accomodante, pur senza innesco eccessivo, nel lanciarla.

Poco a perdersi nelle pieghe del superfluo: col risultato di un lavoro già rilevante per sound messo in luce. Buona la prima, Melody.





Nel video Youtube, tutti i brani del progetto Melody’s Echo Chamber, ovvero:
I Follow You: (0:00-3:34) ---------------------------------- Crystallized: (3:34-7:35)
You Won't Be Missing That Part Of Me: (7:35-11:51) ----------- Some Time Alone, Alone: (11:51-15:37)
Bisou Magiue: (15:37-19:46) ---------------------------------- Endless Shore: (19:46-24:41)
Quand Vas Tu Rentrer?: (24:41-29:02) ------------------------ Mount Hopeless: (29:02-33:34)
Is That What You Said: (33:34- 36:03) ------------------------ Snowcapped Andes Crash: (36:03-41:19)
Be Proud Of Your Kids: (41:19) -------------------------------- Licenza YouTube standard



Edited by filokalos - 18/3/2013, 08:03
view post Posted: 7/3/2013, 21:43     Come Viaggiare con un Salmone - Talia
Peccato solo che nel tempo tutte le immagini allegate siano andate perdute... :(
view post Posted: 28/2/2013, 11:32     Ammalati di degrado - Kronos

Ammalati di degrado

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I quartieri poveri non aiutano a migliorare
la percezione che i loro abitanti hanno delle loro possibilità.
Ma migliorando le condizioni di sicurezza e di vivibilità,
sembra che ne usufruiscano le condizioni mentali e fisiche.
Mentre gli eventuali talenti nascosti
nelle attività lavorative e studentesche
non si risvegliano neanche cambiando casa...



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Harold Ickes Homes
Un progetto di edilizia residenziale pubblica a Chicago
con un'alta concentrazione di povertà.

A metà anni ’90 il governo Usa lanciò un grande esperimento sociale.

Si voleva capire fino a che punto le difficoltà di istruzione, reddito e salute delle famiglie più povere e i loro guai con la legge dipendessero dagli influssi negativi della zona di residenza, al di là dello svantaggio economico e sociale individuale.

Il Dipartimento Americano di Sviluppo Urbanistico lanciava pertanto un programma chiamato Moving to Opportunity diretto a 4.500 famiglie indigenti scelte a caso nei quartieri più degradati di New York, Los Angeles, Chicago, Boston e Baltimora, distribuendo buoni-affitto per spostarsi in zone meno disagiate. (L'Articolo originale)

Afro-americani ed ispanici rappresentavano la maggior parte del campione e meno del 40% di loro aveva finito il liceo.



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Jens Ludwig

Il gruppo di ricerca fece un controllo su queste famiglie 10-15 anni più tardi per vedere se cambiare quartiere avesse fatto la differenza nella loro vita.

Jens Ludwig, dell’Università di Chicago, ha dato, in un recente articolo della rivista “Science”, due risposte sorprendenti.

Queste famiglie, dal punto di vista economico, non se la passano meglio di quelle rimaste dove erano.

Trasferirsi in un quartiere meno svantaggiato non sembra avere influenzato i risultati scolastici per i bambini né apportato evidenti miglioramenti nel reddito delle famiglie. Mentre i ricercatori hanno riscontrato un certo miglioramento del benessere delle famiglie coinvolte.

La ricchezza, dunque, non è stata contagiosa. :no no:



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Ma contagioso è stato il senso di benessere, gli adulti, infatti, stanno decisamente meglio quanto a salute mentale e senso di benessere soggettivo.


E ci sono accenni di una migliore salute fisica.

Le cause del miglioramento sono diverse.


Ma di certo, annotano i ricercatori, ha contato il desiderio di volersi spostare per sfuggire al degrado e al crimine: meta raggiunta, visti i netti miglioramenti del senso di sicurezza e di controllo.


La sicurezza è probabilmente una parte della storia: all'inizio dello studio, molte famiglie hanno detto che volevano trasferirsi per allontanarsi da bande o droghe.



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Poco più della metà delle famiglie aveva potuto utilizzare il buono-affitto perché si era rivelato abbastanza problematico mantenere un appartamento in un quartiere meno povero, per problemi di mobilità e di costo della vita.


Alcune di queste famiglie, infatti, finirono per trasferirsi in altri quartieri più modesti, diversi, comunque, da quelli di provenienza.


Osservano i sociologi: «Non è cambiato quel che speravano gli sperimentatori, ma ciò che interessava ai beneficiari».


Che però avvertono: tradurre tutto ciò in politiche abitative non sarà facile. :hmm:






Edited by filokalos - 28/2/2013, 12:54
view post Posted: 18/2/2013, 21:40     Campione del Garda - Un resort o solo una speculazione?... - Kronos
Finisce così miseramente, forse, una storia iniziata in gloria... :(
784 replies since 29/8/2008