Ricostruzione di Costantinopoli
Un’opera d’arte può essere stata persa per una serie di motivi, dalle inondazioni agli incendi nel corso di una guerra, solo per citarne un paio.
Il caso più emblematico è la Biblioteca di Alessandria d'Egitto: la più grande e ricca biblioteca del mondo antico, fondata dai Tolomei nel 305 a.C., custode di culture e sapienze millenarie, andata distrutta per sempre, a partire dall'incendio scoppiato durante la spedizione di Giulio Cesare.
Ma l'elenco dei capolavori, antichi o moderni, che mai più rivedremo è tanto lungo da far invidia alle collezioni dei più grandi musei del mondo.
Una riproduzione dell'antica Biblioteca di Alessandria d'Egitto
Palmira in Siria
Laddove non è stata la furia della natura, basti pensare al terremoto de L'Aquila, è stato il corso della Storia. Come per la favolosa Costantinopoli, che il primo imperatore filo-cristiano fondò nel 330 d.C. come un'immensa galleria delle migliori opere d'arte greche e romane e che Maometto II rase al suolo nel 1453 gettando le basi per l'attuale Istanbul.
Senza andare troppo indietro nel tempo, è di poche settimane fa l'allarme Unesco per i siti archeologici siriani, dall'antica città di Palmira alla fortezza crociata di Krak des Chevaliers, minacciati dalla guerra civile. Per non dire dello shock internazionale per la decisione dei talebani di distruggere i millenari Buddha di Bamiyan scolpiti nella parete rocciosa della valle di Bamiyan, in Afghanistan. Nonostante l'intervento e le offerte economiche di India e Stati Uniti, il 12 marzo 2001 i due colossi (38 e 53 metri), ritenuti idolatri dai mussulmani iconoclasti, sono stati demoliti dopo un mese di bombardamenti.
Buddha di Bamiyan
Testa di arlecchino (1971) di Pablo Picasso
Più di tutto nel corso dei secoli ha potuto il fuoco, come nell'incendio della Flakturm Friedrichshain, una delle tre torri-fortezza volute da Hitler, divenuta nel maggio 1945 teatro del più grande disastro artistico della storia moderna dove andarono perse migliaia di opere d'arte come il San Matteo e l'angelo di Caravaggio, ma anche Bellini, Rubens, Goya, Sebastiano del Piombo, van Dick. Non meglio andò nel 1978 al Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro, dove un sovraccarico elettrico distrusse per sempre tele di Picasso, Mirò, Dalì e Magritte.
E se è ancora avvolto dal mistero il 'caso' della Battaglia di Anghiari, il Leonardo perduto di Palazzo Vecchio a Firenze, scomparve quasi subito l'Ercole di Michelangelo, scolpito dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, descritto dal Vasari, acquistato da Francesco I dopo l'assedio di Firenze e svanito nel nulla in Francia all'epoca di Luigi XIV.
Stesso destino per la Marte e Venere del Tiziano o il Cristo nel limbo di Andrea Mantegna, sparito dalla casa dell'artista alla sua morte. E ancora i Botticelli troppo 'pagani' bruciati nei Falò delle Vanità di fine '400 o la Madonna del Velo di Raffaello, probabilmente distrutta durante la ritirata nazista da Firenze.
O anche le Tele della Serie Trabeazione di Roy Lichtenstein, cadute nell'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre.
Capolavori inestimabili, che spesso 'scottano' troppo, se è vero, come raccontò il pentito di mafia Gaspare Spatuzza, che la Natività del Caravaggio, trafugata nel 1969 a Palermo, finì poi a marcire in una stalla. Ma qualche volta a 'colpire' sono gli artisti stessi, come il severissimo Francis Bacon che si avventò insoddisfatto sulla sua Serie Velasquez III.
La Natività del Caravaggio venne trafugata dai soliti ignoti, la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969, dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo,
chiesa per cui era stata commissionata e dipinta, e in cui trovava dimora da 360 anni.
Non è mai stata ritrovata. Grottesche, al limite di un assurdo tutto italiano:
le circostanze in cui il furto avvenne e fu scoperto.
Il capolavoro, collocato sull’altare dell’Oratorio,
era infatti custodito senza alcun allarme o protezione.
Il Colosso di Rodi era un’enorme statua del Titano greco Helios, personificazione del sole, che fu costruito nella città greca di Rodi da parte di Chares di Lindos tra il 292 e il 280 A.C. Questa massiccia statua, alta quasi un centinaio di metri, era poggiata su un piedistallo di marmo di una cinquantina di metri. Siffatto capolavoro è considerato una delle Sette Meraviglie del Mondo Antico. L’impressionante colosso di bronzo ha necessitato di più di dodici anni per essere costruito e si è trovato di fronte alla città di Rodi per oltre 56 anni prima che un terremoto, colpendo la città, frantumasse la statua in centinaia di pezzi, che lì hanno giaciuto per secoli.
Il colosso di Rodi: perso in un terremoto
“Il pittore” di Picasso: perso in un incidente aereo. Questa collotipia del 1963 chiamata “Le Peintre” (il pittore), del famoso artista Pablo Picasso, è stata persa quando il volo 111 della compagnia Swissair è precipitato in mare al largo di Halifax, Nova Scotia, in Canada, il 2 settembre 1998.
In aggiunta a questo dipinto, del valore di circa mezzo milione di dollari, a bordo dell’aereo vi erano anche quasi mezzo miliardo di dollari in preziosi diamanti e altri gioielli.
Durante il tragitto dall’aeroporto JFK di New York verso Ginevra, Svizzera, i piloti hanno inviato un segnale di soccorso e hanno tentato di fare un atterraggio di emergenza in Nuova Scozia, quando l’aereo è precipitato nell’Oceano Atlantico, uccidendo tutte le 229 persone a bordo. Anche se il novantotto per cento del piano è stato recuperato dalle acque, solo una ventina di centimetri del lavoro Picasso sono stati rinvenuti, mentre i gioielli sono completamente scomparsi.
Le Peintre (The Painter) - Pablo Picasso
Quattordici dipinti di Gustav Klimt: distrutti dai nazisti. Gustav Klimt era un eminente pittore austriaco simbolista il cui lavoro era spesso incentrata sulla forma femminile. Serena Lederer era una ricca mecenate dell’arte viennese che ha raccolto quattordici dipinti di Klimt. La Lederer inviò la sua collezione al museo Schloss Immendorf per motivi di sicurezza nel 1943. Tuttavia, la raccolta è stata persa quando il partito nazista in ritirata ha dato alle fiamme il museo nel 1945. Le opere, che coprivano l’arco di tempo dal 1898 (“Musik II”) al 1917 (“Gastein”), sono state distrutte dal fuoco.
Schubert am Klavier (Schubert al pianoforte) di Gustav Klimt
Ninfee di Claude Monet: distrutto da un incendio! Claude Monet, uno dei fondatori del movimento impressionista francese, ha creato diversi bellissimi dipinti aventi ad oggetto le ninfee a partire dal 1883. Il Museum of Modern Art (MoMA) di New York è stato entusiasta di acquistare due di questi dipinti nel 1957, finendo poi per averli entrambi distrutti un anno dopo.
Nymphéas bleus (Ninfee Blu) - Claude Monet
Il 15 aprile 1958, un incendio al secondo piano del MoMA ha distrutto il dipinto “Ninfee”, insieme a una versione più piccola (ma ancora grande) di ninfee. A quanto pare, l’incendio ha avuto origine quando degli operai che stavano installando un condizionatore d’aria hanno preso una piccola pausa di fumare vicino a dei barattoli di vernice, segatura, e un panno di tela, che ha preso fuoco. Il fuoco si diffuse rapidamente. Un operaio è stato ucciso nel fuoco e diversi vigili del fuoco hanno sofferto a causa delle inalazioni di fumo. Il personale del museo ha cercato coraggiosamente di salvare quante più opere possibili, ma tra il fuoco e la distruzione causata dai vigili del fuoco che hanno lavorato per controllare l’incendio, il grande dipinto “Ninfee” è andato perso completamente. Per tre anni, il museo ha cercato di ripristinare il più piccolo dei due dipinti, ma nel 1961 ha dichiarato che il lavoro è stato danneggiato in modo irreparabile.
Donna davanti ad una finestra aperta, detta "La fidanzata" (1888) Paul Gauguin
Una delle 7 opere bruciate da una donna per salvare il figlio dall’accusa di furto.
È quanto è successo in Romania dove Olga Dogaru avrebbe confessato
di aver distrutto le opere rubate al museo cittadino Kunsthal di Rotterdam a ottobre 2012.
“Leda e il cigno” di Michelangelo: semplicemente scomparso. Della "Leda" realizzata per il duca di Ferrara non conosciamo l’originale michelangiolesco, perduto, ma possediamo numerose repliche e svariate testimonianze scritte. Ascanio Condivi ne circostanzia con dovizia di particolari la commissione all’estate del 1529, quando Buonarroti in veste di sovrintendente alle fortificazioni della Repubblica fiorentina soggiorna a Ferrara per consultarsi con Alfonso I d’Este, provetto artiglierie ed esperto in costruzioni militari.
Disegno preparatorio della testa di Leda
a Casa Buonarroti, ritenuto universalmente autografo.
Si tratta di un doppio studio dal vero,
della testa e del particolare degli occhi,
dal tratto sicuro e vibrante che l'artista fece,
come di consueto, a partire da un ragazzo,
probabilmente proprio l'allievo e assistente
Antonio Mini.
Il duca gli offre calorosa ospitalità, dispensa consigli su come difendere Firenze dall’assalto mediceo e gli strappa, infine, la promessa di “farmi qualche cosa di vostra mano”. Il maldestro emissario ducale che l’anno dopo si presenta a Firenze per ritirare il lavoro lo giudica, incautamente, “poca cosa”. Sdegnato, Michelangelo rifiuta di consegnare la pittura, congeda malamente lo sventurato inviato pronosticandogli la prevedibile sfuriata di Alfonso e regala il quadro al discepolo Antonio Mini che, bisognoso di denaro, lo vende di lì a poco al re di Francia Francesco
Oltre che in Condivi, le vicende del quadro sono narrate da Giorgio Vasari che nell’edizione delle Vite del 1568 ufficializza, per così dire, la fama di un dipinto mai giunto nelle mani del committente e subito divenuto celeberrimo. Per Alfonso d’Este, scrive l’aretino, Michelangelo fece una Leda di grande formato «che fu cosa divina», dipinta «a tempera col fiato», in cui Leda “abbraccia il Cigno, e Castore e Polluce […] uscivano dall’uovo”.2 Numerose repliche, anche grafiche, che presto furono tratte dal dipinto, dalla copia, forse cinquecentesca, della National Gallery di Londra, all'incisione in controparte di Cornelis Bos, forse la più fedele riproduzione dell’originale michelangiolesco, in cui sono visibili anche i gemelli Castore e Polluce e un uovo che contiene un feto, confermano quanto tramandato da Condivi e da Vasari.
Il dipinto raffigurava dunque l’amore di Giove per Leda, regina di Sparta. Celatosi sotto le sembianze di un candido cigno, il dio giace con lei sulle rive di un fiume e dalle uova frutto della loro unione nascono i gemelli Castore e Polluce, Elena futura regina di Troia e Clitemnestra.
Oltre alla probabile celebrazione dinastica – gli Este pretendevano, infatti, di discendere dai Troiani –, il soggetto trattato da Michelangelo vuole forse anche alludere alla relazione fra il maturo e vedovo Alfonso d’Este e la bellissima e giovanissima Laura Dianti che fra il 1527 e il 1530 diede al duca due figli maschi.
Fu, il loro, un amore non convenzionale, eppure vissuto alla luce del sole e che gettò scalpore fra i contemporanei non solo per il consistente divario d’età, ma soprattutto per lo status di Laura, figlia, si diceva, di un umile berrettaio.