Il Forum delle Muse

Posts written by Filokalos

view post Posted: 5/8/2013, 22:21     Opere d’arte perse per sempre - Polimnia

Opere d’arte perse per sempre

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Un’opera d’arte è considerata persa quando fonti credibili,
come quelle identificabili nei lavori degli storici e degli antichi studiosi,
dimostrano che una volta essa esisteva, ma il pezzo è stato distrutto
o semplicemente non può essere trovato in collezioni private o musei.



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Ricostruzione di Costantinopoli

Un’opera d’arte può essere stata persa per una serie di motivi, dalle inondazioni agli incendi nel corso di una guerra, solo per citarne un paio.

Il caso più emblematico è la Biblioteca di Alessandria d'Egitto: la più grande e ricca biblioteca del mondo antico, fondata dai Tolomei nel 305 a.C., custode di culture e sapienze millenarie, andata distrutta per sempre, a partire dall'incendio scoppiato durante la spedizione di Giulio Cesare.

Ma l'elenco dei capolavori, antichi o moderni, che mai più rivedremo è tanto lungo da far invidia alle collezioni dei più grandi musei del mondo.



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Una riproduzione dell'antica Biblioteca di Alessandria d'Egitto



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Palmira in Siria

Laddove non è stata la furia della natura, basti pensare al terremoto de L'Aquila, è stato il corso della Storia. Come per la favolosa Costantinopoli, che il primo imperatore filo-cristiano fondò nel 330 d.C. come un'immensa galleria delle migliori opere d'arte greche e romane e che Maometto II rase al suolo nel 1453 gettando le basi per l'attuale Istanbul.

Senza andare troppo indietro nel tempo, è di poche settimane fa l'allarme Unesco per i siti archeologici siriani, dall'antica città di Palmira alla fortezza crociata di Krak des Chevaliers, minacciati dalla guerra civile. Per non dire dello shock internazionale per la decisione dei talebani di distruggere i millenari Buddha di Bamiyan scolpiti nella parete rocciosa della valle di Bamiyan, in Afghanistan. Nonostante l'intervento e le offerte economiche di India e Stati Uniti, il 12 marzo 2001 i due colossi (38 e 53 metri), ritenuti idolatri dai mussulmani iconoclasti, sono stati demoliti dopo un mese di bombardamenti.



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Buddha di Bamiyan



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Testa di arlecchino (1971) di Pablo Picasso

Più di tutto nel corso dei secoli ha potuto il fuoco, come nell'incendio della Flakturm Friedrichshain, una delle tre torri-fortezza volute da Hitler, divenuta nel maggio 1945 teatro del più grande disastro artistico della storia moderna dove andarono perse migliaia di opere d'arte come il San Matteo e l'angelo di Caravaggio, ma anche Bellini, Rubens, Goya, Sebastiano del Piombo, van Dick. Non meglio andò nel 1978 al Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro, dove un sovraccarico elettrico distrusse per sempre tele di Picasso, Mirò, Dalì e Magritte.

E se è ancora avvolto dal mistero il 'caso' della Battaglia di Anghiari, il Leonardo perduto di Palazzo Vecchio a Firenze, scomparve quasi subito l'Ercole di Michelangelo, scolpito dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, descritto dal Vasari, acquistato da Francesco I dopo l'assedio di Firenze e svanito nel nulla in Francia all'epoca di Luigi XIV.

Stesso destino per la Marte e Venere del Tiziano o il Cristo nel limbo di Andrea Mantegna, sparito dalla casa dell'artista alla sua morte. E ancora i Botticelli troppo 'pagani' bruciati nei Falò delle Vanità di fine '400 o la Madonna del Velo di Raffaello, probabilmente distrutta durante la ritirata nazista da Firenze.

O anche le Tele della Serie Trabeazione di Roy Lichtenstein, cadute nell'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre.

Capolavori inestimabili, che spesso 'scottano' troppo, se è vero, come raccontò il pentito di mafia Gaspare Spatuzza, che la Natività del Caravaggio, trafugata nel 1969 a Palermo, finì poi a marcire in una stalla. Ma qualche volta a 'colpire' sono gli artisti stessi, come il severissimo Francis Bacon che si avventò insoddisfatto sulla sua Serie Velasquez III.



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La Natività del Caravaggio venne trafugata dai soliti ignoti, la notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969, dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo,
chiesa per cui era stata commissionata e dipinta, e in cui trovava dimora da 360 anni.
Non è mai stata ritrovata. Grottesche, al limite di un assurdo tutto italiano:
le circostanze in cui il furto avvenne e fu scoperto.
Il capolavoro, collocato sull’altare dell’Oratorio,
era infatti custodito senza alcun allarme o protezione. :blink:



Il Colosso di Rodi era un’enorme statua del Titano greco Helios, personificazione del sole, che fu costruito nella città greca di Rodi da parte di Chares di Lindos tra il 292 e il 280 A.C. Questa massiccia statua, alta quasi un centinaio di metri, era poggiata su un piedistallo di marmo di una cinquantina di metri. Siffatto capolavoro è considerato una delle Sette Meraviglie del Mondo Antico. L’impressionante colosso di bronzo ha necessitato di più di dodici anni per essere costruito e si è trovato di fronte alla città di Rodi per oltre 56 anni prima che un terremoto, colpendo la città, frantumasse la statua in centinaia di pezzi, che lì hanno giaciuto per secoli.



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Il colosso di Rodi: perso in un terremoto



“Il pittore” di Picasso: perso in un incidente aereo. Questa collotipia del 1963 chiamata “Le Peintre” (il pittore), del famoso artista Pablo Picasso, è stata persa quando il volo 111 della compagnia Swissair è precipitato in mare al largo di Halifax, Nova Scotia, in Canada, il 2 settembre 1998.
In aggiunta a questo dipinto, del valore di circa mezzo milione di dollari, a bordo dell’aereo vi erano anche quasi mezzo miliardo di dollari in preziosi diamanti e altri gioielli.
Durante il tragitto dall’aeroporto JFK di New York verso Ginevra, Svizzera, i piloti hanno inviato un segnale di soccorso e hanno tentato di fare un atterraggio di emergenza in Nuova Scozia, quando l’aereo è precipitato nell’Oceano Atlantico, uccidendo tutte le 229 persone a bordo. Anche se il novantotto per cento del piano è stato recuperato dalle acque, solo una ventina di centimetri del lavoro Picasso sono stati rinvenuti, mentre i gioielli sono completamente scomparsi.



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Le Peintre (The Painter) - Pablo Picasso



Quattordici dipinti di Gustav Klimt: distrutti dai nazisti. Gustav Klimt era un eminente pittore austriaco simbolista il cui lavoro era spesso incentrata sulla forma femminile. Serena Lederer era una ricca mecenate dell’arte viennese che ha raccolto quattordici dipinti di Klimt. La Lederer inviò la sua collezione al museo Schloss Immendorf per motivi di sicurezza nel 1943. Tuttavia, la raccolta è stata persa quando il partito nazista in ritirata ha dato alle fiamme il museo nel 1945. Le opere, che coprivano l’arco di tempo dal 1898 (“Musik II”) al 1917 (“Gastein”), sono state distrutte dal fuoco.



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Schubert am Klavier (Schubert al pianoforte) di Gustav Klimt



Ninfee di Claude Monet: distrutto da un incendio! Claude Monet, uno dei fondatori del movimento impressionista francese, ha creato diversi bellissimi dipinti aventi ad oggetto le ninfee a partire dal 1883. Il Museum of Modern Art (MoMA) di New York è stato entusiasta di acquistare due di questi dipinti nel 1957, finendo poi per averli entrambi distrutti un anno dopo.


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Nymphéas bleus (Ninfee Blu) - Claude Monet


Il 15 aprile 1958, un incendio al secondo piano del MoMA ha distrutto il dipinto “Ninfee”, insieme a una versione più piccola (ma ancora grande) di ninfee. A quanto pare, l’incendio ha avuto origine quando degli operai che stavano installando un condizionatore d’aria hanno preso una piccola pausa di fumare vicino a dei barattoli di vernice, segatura, e un panno di tela, che ha preso fuoco. Il fuoco si diffuse rapidamente. Un operaio è stato ucciso nel fuoco e diversi vigili del fuoco hanno sofferto a causa delle inalazioni di fumo. Il personale del museo ha cercato coraggiosamente di salvare quante più opere possibili, ma tra il fuoco e la distruzione causata dai vigili del fuoco che hanno lavorato per controllare l’incendio, il grande dipinto “Ninfee” è andato perso completamente. Per tre anni, il museo ha cercato di ripristinare il più piccolo dei due dipinti, ma nel 1961 ha dichiarato che il lavoro è stato danneggiato in modo irreparabile. :(



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Donna davanti ad una finestra aperta, detta "La fidanzata" (1888) Paul Gauguin
Una delle 7 opere bruciate da una donna per salvare il figlio dall’accusa di furto.
È quanto è successo in Romania dove Olga Dogaru avrebbe confessato
di aver distrutto le opere rubate al museo cittadino Kunsthal di Rotterdam a ottobre 2012.



“Leda e il cigno” di Michelangelo: semplicemente scomparso. Della "Leda" realizzata per il duca di Ferrara non conosciamo l’originale michelangiolesco, perduto, ma possediamo numerose repliche e svariate testimonianze scritte. Ascanio Condivi ne circostanzia con dovizia di particolari la commissione all’estate del 1529, quando Buonarroti in veste di sovrintendente alle fortificazioni della Repubblica fiorentina soggiorna a Ferrara per consultarsi con Alfonso I d’Este, provetto artiglierie ed esperto in costruzioni militari.

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Disegno preparatorio della testa di Leda
a Casa Buonarroti, ritenuto universalmente autografo.
Si tratta di un doppio studio dal vero,
della testa e del particolare degli occhi,
dal tratto sicuro e vibrante che l'artista fece,
come di consueto, a partire da un ragazzo,
probabilmente proprio l'allievo e assistente
Antonio Mini.

Il duca gli offre calorosa ospitalità, dispensa consigli su come difendere Firenze dall’assalto mediceo e gli strappa, infine, la promessa di “farmi qualche cosa di vostra mano”. Il maldestro emissario ducale che l’anno dopo si presenta a Firenze per ritirare il lavoro lo giudica, incautamente, “poca cosa”. Sdegnato, Michelangelo rifiuta di consegnare la pittura, congeda malamente lo sventurato inviato pronosticandogli la prevedibile sfuriata di Alfonso e regala il quadro al discepolo Antonio Mini che, bisognoso di denaro, lo vende di lì a poco al re di Francia Francesco
Oltre che in Condivi, le vicende del quadro sono narrate da Giorgio Vasari che nell’edizione delle Vite del 1568 ufficializza, per così dire, la fama di un dipinto mai giunto nelle mani del committente e subito divenuto celeberrimo. Per Alfonso d’Este, scrive l’aretino, Michelangelo fece una Leda di grande formato «che fu cosa divina», dipinta «a tempera col fiato», in cui Leda “abbraccia il Cigno, e Castore e Polluce […] uscivano dall’uovo”.2 Numerose repliche, anche grafiche, che presto furono tratte dal dipinto, dalla copia, forse cinquecentesca, della National Gallery di Londra, all'incisione in controparte di Cornelis Bos, forse la più fedele riproduzione dell’originale michelangiolesco, in cui sono visibili anche i gemelli Castore e Polluce e un uovo che contiene un feto, confermano quanto tramandato da Condivi e da Vasari.
Il dipinto raffigurava dunque l’amore di Giove per Leda, regina di Sparta. Celatosi sotto le sembianze di un candido cigno, il dio giace con lei sulle rive di un fiume e dalle uova frutto della loro unione nascono i gemelli Castore e Polluce, Elena futura regina di Troia e Clitemnestra.
Oltre alla probabile celebrazione dinastica – gli Este pretendevano, infatti, di discendere dai Troiani –, il soggetto trattato da Michelangelo vuole forse anche alludere alla relazione fra il maturo e vedovo Alfonso d’Este e la bellissima e giovanissima Laura Dianti che fra il 1527 e il 1530 diede al duca due figli maschi.
Fu, il loro, un amore non convenzionale, eppure vissuto alla luce del sole e che gettò scalpore fra i contemporanei non solo per il consistente divario d’età, ma soprattutto per lo status di Laura, figlia, si diceva, di un umile berrettaio.



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La copia della "Leda e il cigno" alla National Gallery di Londra



Edited by filokalos - 14/12/2013, 15:44
view post Posted: 19/7/2013, 09:47     ROBOY: Tendon Driven Humanoid Robot - Tecnologia

ROBOY: Tendon Driven Humanoid Robot



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Ha uno scheletro e tendini.
Sa dire qualche parola, saluta
e tra un po' saprà anche andare in bici.
Roboy è uno dei robot più antropomorfi di sempre



Roboy ha un futuro luminoso, in quanto egli rappresenta una generazione completamente nuova di robot. Il progetto pioniere del Laboratorio di Intelligenza Artificiale (AI Lab) dell'Università di Zurigo ha iniziato mesi fa, con l'obiettivo di sviluppare uno dei robot umanoidi più moderni di sempre.



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Ora il robot ha ricevuto un volto nuovo ed è in grado di muovere le braccia azionate da motori DC maxon. Il prototipo è stato progettato e assemblato dal team dell' Artificial Intelligence Laboratory del Politecnico di Zurigo, guidato dal Prof. Rolf Pfeifer.



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Roboy, come è possibile vedere dalla immagini e dai rendering, è alto un metro e venti centimetri e ha fattezze molto simili a quelle di un essere umano. Specialmente la sua struttura interna è ispirata a quella dell'uomo: Roboy, infatti, è dotato di un vero e proprio scheletro, di muscoli e tendini robotici - in tutto simili ai nostri - che ne garantiscono i movimenti.



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Obiettivo dei ricercatori responsabili di Roboy era infatti quello di creare un robot affidabile e facilmente integrabile in diversi contesti quotidiani, come l'assistenza agli anziani. Per assicurare queste funzioni, il prototipo doveva essere in grado di muoversi in modo equilibrato e omogeneo, senza gli "scatti" tipici dei movimenti dei robot che abbiamo visto fino ad ora.



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"Roboy sarà il messaggero di una nuova generazione di robot che interagiranno con gli umani in un modo simpatico", ha dichiarato il Prof. Pfeifer alla Bbc in una recente intervista. Roboy, grazie soprattutto alla sua struttura, è infatti in grado di salutare, stringere la mano e dire qualche parola e fa di tutto per farsi benvolere.



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Secondo Pfeifer, Roboy potrebbe diventare anche uno standard per la produzione su larga scala di umanoidi, grazie a tecnologie sempre più diffuse come il rendering e la stampa in 3D. Ma prima che ciò possa diventare realtà, sarà necessario che gli esseri umani abbandonino i dubbi e le paure nei confronti degli androidi: e chi meglio del dolce e simpatico Roboy potrebbe farsi portabandiera di questo processo?



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Un recente studio dell'Ue, per di più, ha dimostrato come gli europei siano generalmente favorevoli agli umanoiodi, quindi, state pronti alla vera invasione dei droidi, guidata, probabilmente, dall'amico svizzero. La gestazione di Roboy - e non usiamo questo termine a caso - è durata nove mesi: il porgetto, infatti,è stato lanciato lo scorso giugno dal Laboratorio di intelligenza artificiale zurighese, insieme a Konzeptagentur e la Technische Universität di Monaco e la partecipazione di investitori e aziende private, invitate a finanziare e partecipare alla progettazione di Roboy.



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Tutto il progetto, si può dire, è stato realizzato in crowdfunding: sul sito di Roboy, infatti, è stato possibile donare soldi per sostenere la creazione del robot ottenendo in cambio alcuni gadget (accorrete, la cartolina con l'impronta digitale del robot è ancora disponibile!), la possibilità di visitare il laboratorio o avere il proprio nome (o logo, nel caso delle aziende) stampato sul corpo di Roboy.



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Per quanto riguarda il progetto della testa di Roboy, la componente che più ne esprime la "personalità" anche a una prima occhiata, la scelta del design è stata anche in questo caso affidata ai social forum, tramite una votazione che si è tenuta su Facebook, dove gli amici di Roboy hanno potuto scegliere il volto del robot per farlo apparire il più "umano" possibile. Inoltre ai movimenti cui accennavamo prima, fanno sapere da Zurigo, Roboy sarà anche capace di andare in bicicletta. Non lo amate già tantissimo?









Edited by filokalos - 19/7/2013, 11:15
view post Posted: 18/7/2013, 14:51     Ghostbusters - Cinema

Ghostbusters

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Fantasmi, effetti speciali, comicità:
ecco il cocktail del film che
ha portato per la prima volta
sul grande schermo
una professione particolare:
l'investigatore dell'occulto.



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Gli investigatori dell'occulto, quei personaggi che oppongono all’ignoto i potenti mezzi della ragione, della tecnologia e, a volte, le armi della magia, sono una categoria nata in Inghilterra alla fine del XIX secolo.
I primi detective dell’ignoto americani risalgono invece agli anni ‘20, facendo la loro prima apparizione all’interno di racconti pubblicati su riviste popolari, come la celebre Weird Tales.
Nonostante la fortuna del cinema horror a Hollywood tra gli anni ’30 e '50, nessun detective dell’occulto riuscì però a conquistare gli schermi fino agli anni '80, quando esplose il folgorante successo di Ghostbusters.

I “distruttori di fantasmi” (questa la traduzione letterale del loro “marchio di fabbrica”) furono infatti i primi investigatori ad affrontare sul grande schermo i temi dell’occulto e del sovrannaturale, servendosi di elaborate metodologie scientifiche e di sofisticati mezzi tecnologici.

La pellicola riuniva in modo paradossale una serie di elementi apparentemente incompatibili: una trasposizione “kolossal” delle tradizionali storie di fantasmi (qui a essere infestata non è una casa o un castello, ma l'intera città di New York), una comicità sfrenata, sofisticati effetti speciali e un’astuta colonna sonora che alternava brani orchestrali di Elmer Bernstein a melodie più semplici, come la celeberrima Ghostbusters di Ray Parker jr., che dall'alto delle hit parade continuò per mesi a fare promozione al film.

Un cocktail che verrà riproposto cinque anni più tardi per l sequel Ghostbusters II, e Ghostbusters III (negli schermi americani a partire dal 30 Aprile 2013) e la cui ricetta verrà tenuta ben presente anni dopo dai realizzatori di un altro kolossal comico-fantascientifico, MIB - Men In Black.



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Protagonisti di Ghostbusters sono tre studiosi di fenomeni paranormali:
- il dottor Peter Venkman (Bill Murray),
- il dottor Raymond Stantz (Dan Aykroyd) e
- il dottor Egon Spengler (Harold Ramis).

I tre "scienziati, dopo essere stati cacciati dall’università per le loro stravaganti teorie, decidono di mettersi in proprio e di fondare una ditta di ‘'acchiappafantasmi”.

Occupata una stazione dei pompieri abbandonata e trasformata in loro base mobile una vecchia ambulanza, i Ghostbusters cominciano la loro attività ripulendo case e alberghi di New York da presenze ectoplasmatiche.

Coadiuvati da un quarto elemento, il disoccupato Winston Zeddemore (Ernie Hudson) che risponde a una loro offerta di lavoro, e dalla segretaria Janine Melnitz (Annie Potts), i cacciatori di spettri si trovano di fronte a una città letteralmente in preda a un'invasione di esseri spettrali.



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Si tratta in effetti del preludio all’awento di Gozer, malefica divinità babilonese, i cui servitori Zuul e Vinz Clortho occupano i corpi della violinista Dana Barrett (Sigourney Weaver) e del commercialista Louis Tully (Rick Moranis).


Ostacolati dalle autorità newyorkesi, i Ghostbusters vengono richiamati in servizio solo quando il loro intervento può salvare la città e il mondo intero.


Per molti spettatori americani si trattò di uno dei film più divertenti della storia del cinema, mentre il pubblico del resto del mondo restò un po' deluso dal fatto che una delle sequenze finali giocava sull'immagine di un personaggio di una vecchia pubblicità statunitense, assoluta-mente sconosciuto fuori dal continente americano.


L’inevitabile sequel del 1989 vide nuovamente all’opera gli stessi sette interpreti principali del primo film.


Nonostante abbiano salvato il mondo, i Ghostbusters sono fuori servizio, fino a quando New York non viene nuovamente assediata dai fantasmi.


Il Titanic attracca in porto con il suo carico di spettri e nelle fognature scorre una strana sostanza dagli incredibili poteri, mentre lo spirito malvagio dello stregone Vigo di Carpazia (Wilhelm Von Homburg) tenta di incarnarsi nel figlio di Dana.



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Sapendo che Vigo si alimenta della malvagità umana, ai Ghostbusters non rimane che fare appello al simbolo dei migliori valori della società americana: la Statua della Libertà... in persona.


Meno originale, ma non meno divertente del primo, il seguito fu l’ultimo appuntamento cinematografico con i Ghostbusters, che continuarono ad apparire in televisione per numerose stagioni, in tre diverse serie di cartoni animati.


Trascorsa la frenesia anni ‘80, nessuno dei due Ghostbusters ha però perso smalto.


Nonostante si tratti di film comici, gli spettacolari effetti speciali e la dimensione epica della lotta tra i protagonisti sovrannaturali sono ancora un valido riferimento per le produzioni contemporanee di cinema fantastico.





  Titolo originale:
 Ghostbusters
 Nazione:  U.S.A.
  Anno:
 1984
 Genere:  Fantasy
  Durata:    107'
 Regia  Ivan Reitman
 Cast:   Bill Murray, Dan Aykroyd, Sigourney Weaver, Harold Ramis
Produzione:  Columbia Pictures
Distribuzione:  Columbia Pictures
 Data di uscita:   1984 (cinema)
 Trailer   
 Trama:   
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New York, 1984. Peter Venkman, Raymond Stantz ed Egon Spengler, tre dottori di ricerca universitari in parapsicologia, studiano da tempo, ma con scarsi risultati, i fenomeni paranormali. Contattati dalla Biblioteca Pubblica di New York sulla 5a strada, si trovano per la prima volta faccia a faccia con un ectoplasma, quello dell'ex bibliotecaria Eleanor Twitty, la "Signora in Grigio". Raccolti dei campioni, iniziano a valutare le potenzialità della scoperta, ma vengono cacciati dal rettore dell'università per mancanza di risultati.

Convinto Ray a mettere un'ipoteca sulla sua casa d'infanzia, con i soldi ottenuti i tre intraprendono la loro nuova e avveniristica attività: quella di acchiappafantasmi a pagamento. Con il genio di Egon mettono a punto apparecchiature sofisticate e tecnologie all'avanguardia come lo zaino protonico, in grado di catturare l'energia psicocinetica dei fantasmi tramite flussi di particelle, il rilevatore di energia psicocinetica che serve a rilevarla, e le ghost-trap, in grado di intrappolarli. I tre quindi acquistano un palazzo cadente, già sede dei Vigili del Fuoco, come loro quartier generale e una vecchia ambulanza,[1] modificandola secondo le loro esigenze. A questo punto non resta loro che attendere le prime telefonate, che però tardano ad arrivare. L'unica cliente è Dana Barret, una violoncellista che nel frigorifero di casa vede strane apparizioni che dicono il nome "Zuul".





Edited by filokalos - 5/9/2013, 16:28
view post Posted: 17/7/2013, 06:08     C'era una volta il libro ma... ci sarà ancora? - Calliope
Il problema è che con i vecchi libri potevi ammazzare le zanzare, con un e-reader la vedo rischiosa... :P
view post Posted: 17/7/2013, 06:04     Amish - Ultima Frontiera - Echo
Nonostante gli Amish cerchino di essere assolutamente invisibili, hanno attirato spesso la curiosità, non solo del mondo "comune" ma anche della letteratura e del cinema che spesso li ha citati come "archetipo" di comunità dalle regole fin troppo rigide arrivando talora a disegnarli come spietati difensori del loro stile di vita....
view post Posted: 16/7/2013, 17:09     Etna - Patrimonio dell'Unesco - Echo
Dico che sono anch'esse un bene protetto dell'Unesco e mi rammarico di non aver dedicato loro una pagina...
Se vuoi farlo tu, sarò lieto di venirla a leggere... ;)



P.S. = Benvenuta nel Forum delle Muse :flowers2:
view post Posted: 9/7/2013, 15:05     Questo non è amore - Biblioteca

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Dalle autrici del blog del Corriere.it La 27esima,
un libro-denuncia sugli abusi e le violenze
a cui moltissime donne sono sottoposte nel nostro paese.
Un'inchiesta di drammatica e bruciante attualità.
Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne...
Nel Forum delle Muse diamo spazio ad una di queste.




MARIA
Mi urlava: «Sei un’incapace.»
E io gli credevo




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Stupida. Stupida, stupida, stupida. Questa parola me la sono ripetuta per anni. Anche quando di notte cercavo di chiudere gli occhi. E non pensare. Non sentire. Sparire.

Mi chiamo Maria Esposito. Ho trentanove anni. E da due sono separata da mio marito, Claudio, di quattordici anni più anziano di me.
La nostra è una storia come tante, nata una sera in un ristorante vegetariano. Io ero con un’amica. Lui da solo.
Ci offrì da bere, due chiacchiere rilassate, qualche battuta.
Ci intendevamo alla perfezione, era evidente.
Così, dopo qualche giorno, accettai di uscire da sola con lui. Era gentile, profondo.
Ricordo ancora che mi colpì la sua calma apparente, sempre e per tutto.
Le nostre uscite ben presto finirono a casa sua, dove lui mi faceva sentire davvero importante, come forse non mi ero sentita mai: massaggi, colazioni a letto, fiori.
Tutto l’ovvio e scontato repertorio del conquistatore.
Adesso mi dico che sono stata cieca, e anche un po’ superficiale. Ma quelle attenzioni mi riempivano di orgoglio.
Mi rendevano speciale. Unica. Almeno per una persona: lui.
E sembravano sanare le mie fragilità. Decidemmo di sposarci dopo un anno.
Matrimonio semplice nella mia città, Salerno. Ero innamorata. Me lo dicevano anche le mie amiche: «Mary, non ti abbiamo mai vista così.»
Ritornammo a Milano dopo il viaggio di nozze. Qualche mese e rimasi incinta della nostra prima figlia, Gaia. Fu l’inizio della fine. Claudio comincia a imporsi su ogni cosa, anche la più piccola.
Mi ripeteva ossessivamente: «Tu non sai come va la vita. Devi fare le cose come dico io, io so come si sta al mondo. Ma io resistevo.»
Fino a quel momento ero sempre vissuta senza condizionamenti. Pensavo di essere una donna libera.



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Ma questo concetto per lui era impossibile da accettare. Così, vedendo che non mi piegavo, cominciò a spaventarmi: «Io ho potere, anche su di te. Lo capisci che devi ubbidire?»
Ubbidire. Questo verbo fece il suo ingresso nella mia vita senza essere stato minimamente invitato.
Certo, all'inizio lui provava a persuadermi in modo gentile: «Ascoltami, lasciati guidare...»
E io, beh, non vidi immediatamente la trappola. Ho scoperto solo dopo anni che quel mio volermi accucciare accanto a un uomo è un mio problema antico: riproducevo ed ereditavo l’atteggiamento arcaico di mia madre e, a sua volta, di mia nonna, che fino all'ultimo si era fatta picchiare da mio nonno, mentre lui le urlava in faccia: «Non sai fare niente, sei un’incapace.»
In poco tempo, però, passammo dalle discussioni, anche accese, alle liti.
Sempre per motivi banali.
Di solito erano su come gestire la casa, come pulirla, come organizzare il pranzo.
La mia sensazione era di essere trattata più che altro come una sua dipendente, visto che aveva un ristorante.
E se non eseguivo tutto alla perfezione, era l’inferno.
Scenate, anche mentre allattavo Gaia, che si è dovuta abituare sin da quando è nata alle urla, ai rumori assordanti degli oggetti scaraventati a terra.
Le scatole di pomodoro lanciate sul pavimento perché non erano nell'ordine giusto.
I letti disfatti violentemente e le lenzuola fatte volare giù dalla finestra.
Gli insulti. I bicchieri e i piatti di una tavola non perfetta (a suo dire) gettati contro le pareti... E poi la notte.



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Il mio vero incubo. Claudio tornava dal lavoro a notte fonda.
Di solito io, stremata anche dall’allattamento di Gaia, dormivo.
Ma per lui questo non era importante.
Lui arrivava sveglio, e carico di una rabbia che ancora adesso non so spiegarmi.
Così il suo unico obiettivo era svegliarmi, anche con un calcio o un pugno, e la frase era sempre la stessa: «Per colpa tua, che non fai le cose come ti dico, sono stato nervoso tutta la giornata. Adesso ti svegli e ascolti.»
Era l’inizio di una notte lunghissima, in cui lui parlava, parlava, parlava. Non si fermava mai.
«Io ti sto dando solo consigli su come vivere, capisci?» ripeteva ossessivamente.
E se io chiudevo anche per un attimo gli occhi, erano sberle.
Non si fermava nemmeno quando la bambina piangeva per la fame e io chiedevo di alzarmi per allattarla.
Una sera ricordo che il problema era come avevo fatto la lavatrice: troppa roba bianca.
La notte divenne per me impossibile dormire: aspettavo in silenzio, con il cuore in gola, di sentire il rumore dell’ascensore, lo sbattere delle porte.
Era il segnale che lui stava entrando e che per me sarebbe cominciata la guerra.
Oggi, a raccontare, lo so che posso sembrare una povera demente. Una sciocca.
Una che non ha subito capito di avere davanti una persona disturbata.



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Ma non è così semplice, non lo è stato per me, che mentre lui urlava pregavo solo che la porta della cameretta fosse abbastanza spessa e che le urla non svegliassero Gaia.
Il problema è che io non mi piegavo come voleva lui. Resistevo ai suoi ordini.
E questo lo faceva infuriare ancora di più.
Gli oggetti volavano come canarini, in casa nostra.
Un giorno eravamo nella casa al mare. Io ero stanca, avevo cucinato fino a pochi minuti prima, avevo i piedi gonfi, la bambina aveva pianto tutta la notte.
Lui era seduto a tavola, chiese la frutta. Per una volta ebbi una reazione normale, e gli dissi: «Claudio, sono stanca, vai tu a prenderla in cucina.»
Un affronto, per lui. Non parlò nemmeno. Prese solo la bottiglia di vino e la lanciò contro la parete.
Ricordo come fosse oggi i tratti morbidi e rossi che il vino, in una danza al rallentatore, disegnò sul muro bianco.

Sembrava un quadro. Invece era la rappresentazione plastica e reale della mia vita. Di merda.

Passai la notte a raccogliere le schegge di vetro che erano finite ovunque, e a pulire tutto.

La nascita di Erica, la nostra seconda figlia, ha poi fatto precipitare ancora di più le cose.
Se prima Claudio alternava a questi episodi lunghi periodi in cui diventava gentile e disponibile, la seconda bambina fece sparire anche queste tregue.
Volle che andassi a partorirla negli Stati Uniti, perché pretendeva che avesse la cittadinanza americana.
Una bizzarria, che giustificava con motivazioni culturali: «Voglio mandarla a studiare lì, e se ha la cittadinanza è più semplice...»



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Organizzò tutto alla perfezione. Mi affittò un appartamento in un sobborgo di Washington, mi preparò le valigie e mi spedì lì con mia madre, per quattro mesi.
Lui veniva ogni tanto. Certo, mi diede i soldi e tutto quanto serviva a mantenermi, ma per il resto aspettò come si fa con una mucca che deve partorire il vitello. È stato lì che ho conosciuto Margareth, una giovane ricercatrice di sociologia mia vicina di casa.
Una sera stavamo cenando e mi disse: «Ma tu ti rendi conto di come ti fai trattare? Che cosa stai facendo vedere alle tue figlie? Cosa stai insegnando loro?» Mi aprì gli occhi, così, banalmente...

Tornammo a casa con la piccola, ma io oramai ero terrorizzata di tutto.
Quando lui era in casa avevo paura.
E, cosa ancora più preoccupante, anche le bambine cominciavano a temerlo.
Quando lui c’era, stavano in silenzio, giocavano in silenzio.
Si muovevano con circospezione, cercando di non infastidirlo.
Per fortuna lui non le ha mai toccate. Almeno non fisicamente.
Ma ha insegnato loro che la violenza può essere di casa.
Spesso mi sgridava davanti a tutti, anche agli amici.
Una volta mi ha picchiato fuori dal suo ristorante, con i camerieri che guardavano dalle vetrine e le bambine terrorizzate che urlavano in macchina.
Quando ho deciso di dire finalmente basta? Una sera, dopo che durante una lite, nel tentare di colpirmi, ha rotto, lanciandola per terra, la bambola preferita di Gaia.



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Fu come se avesse toccato lei. La bambina lo guardò con terrore, ma anche con delusione. Era ferita.
E io capii che avevo sbagliato, che non era possibile riuscire a tenerle fuori da questa storia.
Che non sarebbe bastato chiudere le porte, non urlare quando mi picchiava, cercare di fare le lavatrici perfette o imbandire la tavola al meglio. No, loro erano colpite forse più di me.
Per questo appena uscì per andare a lavorare, cominciai a fare subito di nascosto delle valigie.
In cinque giorni trovai un monolocale per noi tre, e spiegai alle bambine che dovevamo andare via.
Che era meglio così. Intuirono al volo. Non dissero nulla.
E quel loro silenzio-assenso mi fece capire quanto fossi stata cieca e ingenua fino a quel giorno.
Presa la casa, cominciai a portare piano piano la roba lì, senza che lui se ne accorgesse.



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Così una sera, quando eravamo pronte, appena Claudio andò via noi chiamammo un taxi e scappammo nella nostra nuova minuscola casa.
Dove mancava tutto, ma dove almeno c’era l’unica cosa di cui avevamo bisogno: un po’ di pace.
Mio marito per mesi mi ha pedinato, inseguito, aspettato fuori dal lavoro per minacciarmi.
Per due anni non ci ha dato una sola lira, e io sono sopravvissuta solo grazie al mio stipendio, che è minimo.
Il ricco, in casa, era lui. È stata una battaglia durissima, soprattutto dal punto di vista legale.
La legge è ottusa e anche un po’ ingiusta: andare via senza una lira, mantenendo i propri figli, è una cosa che non tutte le donne possono fare.
Quanto alle bambine, per fortuna nessuno ha pensato di portarmele via. Mai.
Il vero problema è nato con la separazione, e gli appuntamenti decisi dal giudice.
Gaia ed Erica non vogliono stare con il padre.



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VALERIA - Un cortometraggio diretto da ALESSIO RUPALTI.
Per raccontare in un modo un po diverso la grave tematica della violenza sulle donne.
La storia di una donna che prova a cambiare la sua realtà.
Con la partecipazione straordinaria di LISA GALANTINI.
Colonna sonora di GABRIELLA CAPORLINGUA.

Lui applica su di loro le stesse violenze psicologiche che faceva a me, solo con più cautela e senza la violenza fisica e verbale. Le bambine hanno trovato un metodo per sopravvivere: non rispondono.
E così per ora lo accontentano abbastanza.
Ora lui ha anche una fidanzata francese, molto giovane. Per fortuna davanti a lei non osa alzare la voce o fare altro. È il motivo per cui quando le lascio andare per gli incontri con lui, sono meno terrorizzata che all’inizio.
Certo, se poi mi si chiede se tutta questa storia assurda, nella quale io ho vissuto di paura e di sensi di colpa, non abbia avuto strascichi su di loro, devo rispondere purtroppo di no: sono due bambine che hanno paura degli uomini, e temo che anche da grandi faranno fatica a fidarsi davvero...
Hanno visto soffrire me in modo spaventoso, non credo vogliano imitarmi.
Fanno fatica anche a relazionarsi con il loro padre, con il quale io, nonostante tutto, ho cercato di mantenere sempre un canale di comunicazione.
Ma è difficile. Molto difficile. Hanno visto e sentito troppo. E tutelarle è stato complicato, quasi impossibile.
Cerco solo di farle parlare spesso di quello che abbiamo vissuto.
E così spero che riescano a esorcizzarlo. Ma dentro di me so che non sarà così. E mi ripeto la stessa parola: stupida.


Maria, trentanove anni, da due è separata dal marito,
che a lungo le ha negato gli alimenti.
Hanno due bambine che fanno fatica
ad avere una relazione con il padre.



Edited by filokalos - 9/7/2013, 17:37
view post Posted: 4/7/2013, 10:55     Abu Simbel e la Campagna di Nubia - Polimnia

Abu Simbel e la Campagna di Nubia

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Una delle più memorabili operazioni
di ingegneria archeologica di tutti i tempi



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Nel 1960 il presidente egiziano Nasser fece iniziare i lavori per la costruzione della diga di Assuan, che avrebbe creato un grande lago artificiale. Questa enorme distesa d'acqua, però, avrebbe sommerso completamente una delle più importanti e grandi opere dell'antico Egitto: i templi di Abu Simbel.

Il tempio principale, costruito nel XIII secolo a.C. dal faraone Ramses II insieme a quello della moglie Nefertari, è interamente scavato nella roccia di una collina per 55m e ciascuna delle quattro statue del faraone divinizzato che appartengono alla facciata sono alte più di 20m.

Per evitare che una costruzione così preziosa venisse ditrutta, dal 1964 l'Unesco si impegnò ad organizzare un'immensa opera di trasloco dei templi che durò 4 anni e richiese l'impiego di grandi quantità di denaro, manodopera e tecnologia da parte di 113 paesi.



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Il monumento fu tagliato in blocchi che vennero numerati e smontati per essere poi ricomposti come prima, dopo essere stati trasportati su una parte della collina più alta e distante dal lago.

Dai tempi di Ramesse II il Grande Tempio, restituito agli antichi fasti dall'ingegno dell'uomo, meraviglia i visitatori
del secolo scorso, è stata l'impronta nell'operazione di salvataggio dall'inabissamento a cui li avrebbe condannati la costruzione della nuova diga di Assuan.

Un contributo tecnico e scientifico così importante che il governo egiziano ha voluto far dono all'Italia del Tempio di Ellesija, eretto a metà del secondo millennio prima di Cristo da Tuthmosi III e oggi meticolosamente ricostruito nel Museo Egizio di Torino.

Abu Simbel, icona dell'antico Egitto, assieme alle Piramidi e alla Sfinge, è la più grande opera di Ramesse II, il faraone che segnò l'apice della ricchezza e dell'estensione dell'impero egizio e che alcuni storici indicano come il destinatario delle celebri dieci bibliche piaghe scagliate da Mosè per liberare il popolo ebraico dalla schiavitù.



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I templi, eretti per celebrare l'epico scontro con gli Ittiti nella battaglia di Kadesh (una vittoria che forse vera vittoria non fu, dato che servì il matrimonio con la figlia del re nemico per ottenere una pace duratura) rappresentano l'esaltazione del faraone divinizzato.

Un monumento perenne all'onnipotenza di uno dei più grandi sovrani della storia egizia.

Ramesse II, indomito guerriero, marito premuroso e costruttore instancabile, governò, infatti, per quasi settant'anni coltivando con grande abilità il culto della propria immagine e consolidando il potere egizio nei confronti dei popoli confinanti. L'intera valle del Nilo, ancora oggi, da Luxor a Karnak, da Saqqara a Giza, reca importanti tracce del suo passaggio.


Il complesso archeologico di Abu Simbel è costituito da due enormi templi in roccia scolpiti attorno al 1260 a.C. nel fianco di una montagna. Si tratta di due santuari gemelli costruiti nell'arco di due decenni: il primo dedicato a Ra-Harakhte, Ptah e Amon, le divinità protettrici rispettivamente di Heliopoli, Menphi e Tebe, il secondo, più piccolo, alla dea Hathor e alla sua incarnazione, Nefertari, la prediletta fra le otto mogli reali di Ramesse II.



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L'imponenza del Grande Tempio lascia i visitatori, oggi come allora, a bocca aperta. Sulla facciata, alta oltre trenta metri e larga quasi quaranta, si stagliano quattro enormi statue che raffigurano il grande sovrano con la doppia corona, dell'Alto e del Basso Egitto, a simboleggiare la concentrazione di tutto il potere nelle sue mani. Ai lati dei colossi sono collocate altre sculture, più piccole che rappresentano la madre del faraone, la moglie e alcuni dei suoi cento figli.

Ai piedi delle statue vi sono i resti di una delle teste, crollata a causa di un terremoto che colpì la zona pochi anni dopo la sua costruzione lesionando gravemente pilastri e sculture.

La maggior parte dei danni fu prontamente riparata dagli architetti reali, ma niente poterono per ripristinare la gigantesca testa, che ancora oggi giace sulla sabbia.

Scavato per oltre sessanta metri nel ventre della montagna di arenaria, il tempio maggiore è una struttura molto elaborata, con una lunga sequenza di camere, sculture e colonne che conducono al naos, la parte più sacra dell'intero complesso. Una delle caratteristiche più affascinanti del tempio, le cui pareti sono interamente adornate da geroglifici che celebrano la gloria del sovrano, è l'allineamento del suo asse, orientato in modo tale che due volte l'anno i raggi del sole del mattino raggiungano lentamente il santuario interno e illuminino il volto di Ramesse II, seduto accanto alle divinità, dio fra gli dei.

Il secondo tempio, più piccolo, collocato a circa un centinaio di metri da quello maggiore, è consacrato alla dea madre Hathor e, autentica eccezione nella storia dell'Antico.Egitto, alla regina Nefertari (solo un altro faraone, l'eretico Akhenaton, ebbe l'ardire di dedicare un edificio sacro ad una delle proprie consorti, la celebre Nefertiti).



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Il prestigio di Nefertari (la cui tomba, forse la più bella della Valle delle Regine, è stata scoperta nel 1904 da un altro italiano, l'egittologo Ernesto Schiaparelli) e testimoniato anche dal fatto che le statue del re e della regina hanno le medesime dimensioni, altra rarità nell'arte egizia.

I templi di Abu Simbel non furono mai particolarmente fortunati (si narra che Nefertari morì durante la loro inaugurazione), ma il pericolo più grande lo hanno corso a metà del Novecento, quando le incalzanti esigenze di energia elettrica del moderno Egitto hanno rischiato di farli sparire sotto una valanga d'acqua.

L'immenso invaso della nuova Grande Diga di Assuan (elemento fondamentale per l'economia egiziana, ma anche fonte di notevoli squilibri ecologici), una volta terminato, avrebbe sommerso una ventina di splendidi templi nubiani, e fra essi, Abu Simbel.

Il lago Nasser, 500 chilometri di lunghezza, per un terzo in territorio sudanese, il più grande lago artificiale del mondo, avrebbe inesorabilmente ingoiato una delle meraviglie dell'antichità.



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L'appello alla solidarietà internazionale lanciato nel 1959 da Egitto e Sudan fu così raccolto dall'UNESCO, che riuscì a coinvolgere decine di Paesi in una delle più memorabili operazioni di ingegneria archeologica di tutti i tempi.
Le ricerche e gli studi nelle aree che sarebbero state inondate vennero accelerati ma, soprattutto, si approntò un ardito progetto per il trasferimento dei templi di Abu Simbel e delle montagne di arenaria nelle quali erano incastonati.
Un progetto che inizialmente prevedeva lo spostamento in blocco dei due colossali costoni rocciosi attraverso l'utilizzo di martinetti idraulici italiani di nuovissima generazione, ma che, alla fine, vide prevalere la soluzione più economica: il sezionamento in 1300 grandi blocchi di alcune decine di tonnellate e il loro riposizionamento a duecento metri di distanza e 65 metri più in alto rispetto al livello precedente.
Un intervento più invasivo e più rischioso, ma che riuscì perfettamente, anche grazie al lavoro e all'esperienza dei cavatori di marmo delle Apuane, eredi di una tradizione millenaria.
Occorsero cinque anni, ottanta milioni di dollari dell'epoca, oltre duemila uomini, tonnellate di materiali e uno sforzo tecnologico senza precedenti, ma nel settembre del 1968, l'operazione fu completata, con grande soddisfazione e sollievo del mondo intero.
La Campagna di Nubia segnò una svolta nelle politiche internazionali relative ai beni culturali, al punto che il concetto stesso di "patrimonio dell'umanità" si fa risalire alla grande operazione di salvataggio dei templi dell'Alto Nilo.



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Quella che avrebbe potuto essere ricordata come una delle più grandi umiliazioni arrecate ai beni culturali del mondo si trasformò nella prima vera azione di solidarietà e cooperazione globale dell'UNESCO.



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Decorazione di una sala del tempio



L'idea stessa di una Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, che ne affermasse il valore collettivo e universale, è nata proprio ad Abu Simbel-Convenzione che è stata adottata dalla Conferenza Generale il 16 novembre 1972 e che oggi costituisce, con i suoi 189 membri, il trattato più ratificato a livello internazionale.
Una grande intuizione che è riuscita a dare anima e corpo al comune sentire di tutti coloro che, temporanei custodi dei prodigi della natura e delle straordinarie testimonianze dell'esperienza umana sulla Terra, avvertono il dovere di trasmetterli integri alla generazioni future.
Di tutto questo dobbiamo ringraziare anche gli eroi di Abu Simbel, da Ramesse II ai suoi architetti, dagli ingegneri che hanno elaborato il progetto di salvataggio agli operai che hanno ricomposto il complicatissimo puzzle. Se l'UNESCO oggi gode di tanta stima e considerazione è anche merito loro.



Articolo Originale di
FAUSTO NATALI



Edited by filokalos - 4/7/2013, 13:03
view post Posted: 2/7/2013, 10:26     Silent enemy: contro il bullismo il videogioco si fa duro - Svago


Silent Enemy
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Contro il bullismo il videogioco si fa duro



Un videogame che punta ad accendere
un riflettore sul fenomeno del bullismo,
costruendo un rapporto empatico
attraverso una nuova esperienza interattiva




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Per qualcuno l’adolescenza è un lungo inverno con temperature che toccano i meno cinquanta gradi.

E quando si vive in condizioni così estreme, non sempre si riesce immaginare un mondo diverso.

Finisce per diventare universale, un tunnel senza fine e senza luce.

Silent Enemy, il nuovo progetto della software house canadese Minority Media che vedremo fra qualche mese su console e tablet, narra di questo e di molto altro ancora.

Per il suo prossimo titolo la Minority Media ha fatto due scelte molto particolari: in primo luogo il tema, visto che il gioco affronterà la piaga del bullismo; in secondo luogo la piattaforma, visto che uscirà su Ouya verso la fine dell'anno.

È un film indipendente in forma di videogame sul bullismo, raccontato attraverso la metafora di un cacciatore adolescente.

Perseguitato da uno stormo di corvi che dominano terre difficili, uno di quei luoghi che lasciano cicatrici profonde, dovrà tentare di sopravvivere e raggiungere la primavera.

Ruben Farrus, spagnolo di 29 anni, una delle menti dietro Silent Enemy, spiega: «È il nostro modo di rappresentare gli anni del liceo. Quando ci sei dentro pensi non esista altro, ma se poi esci alla luce del sole ti rendi conto che i corvi sono semplici, piccoli, volatili. Peccato che non tutti ci riescano e i casi di suicidi negli ultimi anni si siano moltiplicati».



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Non sarà un gioco come tutti gli altri perché la Minority non è una casa di sviluppo come le altre.

Fondata tre anni fa, si è fatta conoscere grazie al titolo low cost Papo & Yo, scaricabile per una manciata di euro su PlayStation 3.

Una favola in apparenza, che con la chiave del realismo magico mette in scena l’infanzia nelle favelas di Caracas del suo fondatore, Vander Caballero, sotto l’arbitrio violento di un padre alcolista e indifferente.

Più che un videogame, un piccolo miracolo in un settore che per scelta non tocca mai temi del genere.



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Ambientato in uno scenario dov'è sempre inverno, Silent Enemy ci vede impegnati a ristabilire l'ordine delle stagioni raccogliendo gli "spiriti della primavera" e scacciando allo stesso tempo dei fastidiosi corvi.

Il gioco è nato inizialmente come un semplice survival, ma il team ha deciso di dare al tutto un’impronta maggiormente emotiva, incentrando l’esperienza sul tema del bullismo e sulle sue conseguenze.

Infatti, i corvi che affronteremo avranno un look molto particolare - più vicino a persone reali che non agli uccelli omonimi.

Nel corso dell’avventura potremo utilizzare poteri di metamorfosi e l’aiuto degli spiriti della natura per riportare la primavera nel mondo.

L’uscita del gioco è prevista per l’ultimo trimestre del 2013, anche su PC.


Vander Caballero ha così spiegato il suo lavoro:«Quando sei uno sviluppatore indipendente, non hai fondi per il marketing, non hai nulla, quindi ti serve qualcuno che supporti il tuo progetto. E così se qualcuno ti chiede di realizzare un progetto in esclusiva e si offre di aiutarti a realizzarlo e a portarlo sul mercato, non può che essere un bene. Credo anzi che a volte sia l'unico modo per concretizzare un'idea».



Nella filosofia di Caballero nel realizzare questo nuovo videogame «I protagonisti dei giochi hanno armi sempre più grosse perché nella vita reale noi diventiamo sempre più deboli. Tutti hanno visto o hanno avuto a che fare con il bullismo e la verità è che se anche avessimo avuto un’arma non avremmo saputo usarla. Per questo in Silent Enemy non si combatte: non è quella la strada per salvarsi ».


E pensare che alla Minority avevano pensato, dopo Papo & Yo, di fare un videogame tradizionale.


Ma erano inondati di mail. Troppe persone si sono specchiate in quel gioco rivendendo la propria infanzia, e loro hanno capito di aver inventato un nuovo genere.





Articolo Originale di
Jaime D’Alessandro


Edited by filokalos - 2/7/2017, 11:55
view post Posted: 25/6/2013, 12:58     Einstein e la relatività - Minerva

Einstein e la relatività

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La grandezza di Einstein consiste
nell'aver mutato per sempre il modello
di interpretazione del mondo fisico.
Nutrì un sincero interesse per la filosofia:
nella sua vita studiò scritti di carattere filosofico
fin dagli anni del liceo ma
non si considerò mai un filosofo
nel senso stretto del termine:
il suo, più che un sistema filosofico,
venne definito da Reichenbach un «atteggiamento filosofico»




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Einstein a 14 anni.

Albert Einstein nasce nel 1874 ad Ulm, in Germania. Giovane promettente nelle discipline matematiche, dimostrerà fin dai suoi primi studi l’interesse e la curiosità per il sapere scientifico e per la formulazione di spiegazioni inerenti ai fenomeni quotidiani.
Ciononostante, nel 1895 viene bocciato all’esame di ammissione per il Politecnico di Zurigo.
Sarà ammesso l’anno dopo. Completati i suoi studi, nel 1900 trova impiego presso l’ufficio brevetti di Berna.
Tale professione gli permette di dedicare ampio tempo alle ricerche che negli anni successivi lo presenteranno al mondo come il più rivoluzionario degli scienziati.
Nel 1905 scrive gli articoli che aprono la strada per lo studio della relatività e della teoria quantistica.
Nel 1916 Einstein prosegue gli studi sulla teoria della relatività, che da “ristretta” o “speciale”, diviene “generale”. Il 1921 è poi l’anno in cui gli viene conferito il premio Nobel.
L'ascesa al potere di Hitler costringe Einstein, che insegna a Berlino, a rifugiarsi negli Stati Uniti, dove insegnerà all'Università di Princeton.
Il contesto storico in cui vive Einstein influisce in maniera determinante sulla sua esistenza, delineando una figura complessa e straordinaria.
Einstein sarà un pacifista attivo, percepirà la propria responsabilità come scienziato di fronte agli esiti catastrofici della guerra e della distruzione causata dalla bomba atomica, e prima della sua morte, avvenuta nel 1955, firmerà assieme a Bertrand Russell e altri scienziati e intellettuali del tempo il manifesto conosciuto con il nome “Russell-Einstein” contro gli armamenti nucleari.


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L'equazione di Stokes-Einstein
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è stata ampiamente usata
per effettuare determinazioni di misure molecolari,
sia nella forma sopra riportata,
sia in forma modificata

Il primo lavoro che Einstein pubblica è la sua tesi di laurea, sulla determinazione delle dimensioni molecolari.
L’opera riguarda lo studio degli atomi che a quell'epoca sono considerati solo un’ipotesi utile per spiegare alcuni fenomeni, sebbene siano stati introdotti nel pensiero scientifico moderno attorno al Cinquecento.
Diversamente da molti dei suoi contemporanei Einstein intende accettare l’esistenza di queste particelle, fornire prove empiriche a loro favore senza limitarsi a considerarle un’ipotesi filosofica; così nel suo scritto propone un metodo di calcolo per quello che oggi viene chiamato il “Numero di Avogadro” (il numero di particelle, solitamente atomi, molecole o ioni, contenute in una mole).
Questi studi inducono la comunità scientifica a prendere in considerazione la fondatezza dell’ipotesi atomica e molecolare.


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IL MOTO BROWNIANO


Secondo lavoro di Einstein fu un articolo su un tema correlato a quello degli atomi: il moto browniano.
Tale moto prende il nome da Robert Brown, lo scienziato britannico che ne fece per primo la scoperta attorno al 1820.


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Di questo movimento si ha un esempio nell’acqua che, se analizzata attraverso un microscopio, appare composta di particelle in sospensione che si muovono.
Questo aspetto, che a lungo fu considerato a favore del principio vitalistico, con Einstein assume una spiegazione completamente innovativa basata sull’esistenza degli atomi.
In altri termini, il moto browniano, il movimento cioè di queste particelle in sospensione nei liquidi non è altro che il risultato di continui urti esercitati dagli atomi.
Importante risultato di questa scoperta è la possibilità di ricavare nuovamente il numero di Avogadro (già calcolato da Einstein nella tesi sulla determinazione delle dimensioni molecolari).


Due percorsi differenti conducono dunque allo stesso risultato e ciò costituisce una prova determinante per il lavoro di Einstein dimostrando definitivamente alla comunità scientifica l’esistenza degli atomi.


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LA RELATIVITÀ SPECIALE


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Un altro importante lavoro del 1905 ha come titolo Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento, e vi si trova la prima formulazione della teoria della relatività.
Essa si basa almeno su due assunti: la costanza della velocità della luce e il fatto che le leggi della fisica sono sempre le stesse per gli osservatori che si muovono di moto rettilineo uniforme (cioè senza cambiare la propria velocità uno rispetto all’altro).
Il primo assunto era stato scoperto nel 1887 dagli scienziati Albert Abraham Michelson e Edward Morley, con un esperimento che permise di misurare la velocità della luce.
Ma ancor più importante, l’esito di tale ricerca mostrò che la velocità della luce era sempre la stessa, indipendentemente dai sistemi di riferimento.
Ci si attendeva infatti che la luce subisse l’influenza del moto terrestre, diversamente, venne mostrato che le velocità non si sommano come sosteneva Galilei, perché quella della luce rimane sempre costante.


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Appunti sulla relatività (1912)

La teoria della relatività di Einstein deve comunque molto a quel principio di relatività galileiano mirabilmente espresso ne II dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.
Attraverso un esperimento immaginario, Galilei suggerisce di considerare un certo numero di fenomeni su una nave immobile: due persone che si lanciano una palla, un insetto che vola, una goccia che cade dentro un bicchiere, ecc.
Tutti questi fenomeni, sostiene Galilei, accadrebbero nello stesso identico modo, anche se la nave fosse in movimento (di un movimento uniforme e rettilineo).
La relatività di Einstein estende questa osservazione, associando il principio di relatività galileiana e la costanza della velocità della luce.
Nello scritto Relatività, esposizione divulgativa Einstein propone un esperimento simile a quello di Galilei e si domanda quali siano le differenze osservabili fra ciò che accade su una banchina di una stazione e un treno che si muove a velocità costante.
Se due fulmini cadessero nello stesso tempo in due citta A e B, l’osservatore che si trovasse su un treno a metà strada immobile, osserverebbe l’arrivo simultaneo dei due fulmini.
Diversamente, se l’osservatore fosse sul treno che si sposta da A verso B, vedrebbe giungere il fulmine che cade in B, prima del fulmine che cade in A.
Poiché l’osservatore si avvicina ad B, la luce ha meno spazio da percorrere.
Questo significa che ciò che appare simultaneo ad un osservatore fermo sulla banchina, non è più simultaneo rispetto a colui che invece si muove su un treno.
In qualche modo, si può affermare che ciascun osservatore ha un proprio tempo: è questa la scoperta di Einstein. Scoperta che contraddice l’idea di Newton, valida fino ad allora, che ammetteva un unico tempo per l’intero universo.


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LA DILATAZIONE DEI TEMPI


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A partire dallo stesso esperimento, Einstein si domanda che cosa accadrebbe agli orologi dei due osservatori, uno immobile sulla banchina della stazione, l’altro in movimento sul treno. In fisica, “orologio” indica semplicemente un fenomeno oscillatorio, periodico, come un metronomo.

Ora, supponendo che i due orologi fossero inizialmente sincronizzati, l’osservatore fermo sulla banchina, per poter misurare il tempo dell’orologio che si trova sul treno in movimento, dovrebbe aspettare che la luce ritornasse dal treno fino a lui.

In altre parole, più il treno si allontana dall'osservatore sulla banchina e più tempo occorre affinché l’immagine dell’orologio raggiunga l’osservatore fermo.

Questo fenomeno è detto di “dilatazione dei tempi”, perché, appunto, i tempi di coloro che si muovono rispetto a un osservatore fermo appaiono dilatati.

Ed è esattamente come se l’orologio dell’osservatore in movimento andasse più lentamente.

Similmente, Einstein mostra un effetto complementare che ha a che fare con lo spazio da percorrere; i metri invece che essere dilatati ci appaiono contratti.



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LA LUCE


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A partire dal Seicento si trovano due teorie sulla natura della luce contrapposte tra loro: la teoria corpuscolare, che considera la luce fatta di corpuscoli che si muovono appunto alla velocità della luce e la teoria ondulatoria che considera la luce composta di onde.

La prima, esposta da Newton, godeva di maggiore credibilità fino a quando nel 1801 Thomas Young dimostrò la maggior coerenza della teoria ondulatoria della luce.

Nel 1905 Einstein riesce a risolvere un problema scientifico proprio servendosi della teoria dei corpuscoli, tornando quindi, almeno in parte a Newton, ma con l’aggiunta della scoperta dei “quanti”, effettuata da Max Planck.

Il problema persiste per alcuni anni: non è chiaro come possano coesistere esperimenti contraddittori sulla natura della luce.

Nel 1917 Einstein decide di affrontare dal punto di vista filosofico la questione e propone di considerare la luce allo stesso tempo come corpuscolare e ondulatoria.

Le due teorie sono quindi complementari: la luce è ondulatoria se si fanno certi esperimenti e invece risulta corpuscolare quando se ne fanno altri.

Quindi, da un punto di vista filosofico, si afferma che la luce non è né corpuscolare né ondulatoria, bensì manifesta una certa natura in certi casi e ne manifesta un’altra quando è sottoposta ad altri esperimenti.


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Frontespizio del libro "Sulla teoria della diffusione della Luce"

LA RELATIVITÀ GENERALE


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La teoria della relatività speciale, espressa attraverso l’articolo del 1905, presentava tuttavia un aspetto che la limitava: si riferiva infatti a sistemi che dovevano muoversi uno rispetto all'altro di un moto relativo uniforme, ossia di una velocità costante, priva di accelerazione.Senza un trattamento delle accelerazioni, la relatività sarebbe stata incompleta.

Einstein produsse allora la teoria della Relatività generale, e in essa dovette considerare la forza di gravitazione.

L’accelerazione poteva infatti, in determinate condizioni, produrre un effetto del tutto simile a quello della gravità: ecco per quale ragione la gravitazione doveva rientrare nella teoria.

Esempi che chiariscono questo aspetto sono: la caduta libera di un corpo, in cui l'accelerazione prodotta sembra annullare la gravità; il fenomeno opposto, in cui un’accelerazione contraria dal basso verso l’alto darebbe vita a qualcosa di similare alla gravità.

Attraverso questi studi e grazie ai risultati della teoria ristretta Einstein produce la teoria della relatività generale.
Uno degli esiti rivoluzionari di questa scoperta consiste nel mostrare come la forza di gravità esercitata su un corpo influisca sulla geometria del corpo stesso (è ad esempio ciò che accade con le maree prodotte dalla Luna).

Einstein in questo modo riesce a mettere in relazione la gravità e la geometria, considerate prima di allora due branche separate perché rispettivamente appartenenti alla fisica e alla matematica.



AFORISMI


«Ciò che veramente mi interessa e se Dio avesse potuto fare il mondo in una maniera differente, cioè se la necessità di semplicità logica lasci qualche libertà».

«Sono convinto che ogni teorico vero sia una sorta di metafisico addomesticato [...]. Il metafisico addomesticato crede che non tutto ciò che è logicamente semplice sia incorporato nella realtà esperita, ma che la totalità di tutta l'esperienza sensoriale possa essere “compresa” sulla base di un sistema concettuale costruito su premesse di grande semplicità».

«Una volta che l'idea teorica è acquisita, è bene seguirla finché conduce ad una conclusione insostenibile».

«La verità contenuta in un sistema corrisponde alla certezza e alla completezza con cui è possibile coordinarlo con la totalità dell'esperienza».

«C'è qualcosa come “lo stato reale” di un sistema fisico che esiste obiettivamente, indipendentemente da ogni osservazione o misurazione e che in linea di principio si descrive con i mezzi di espressione della fisica».

«Si deve ammettere che la relatività è andata oltre le teorie fisiche precedenti nel rinunciare alla “vicinanza all'esperienza” dei concetti fondamentali allo scopo di raggiungere la semplicità logica».

«L'uomo che è convinto dell'esistenza e della operatività della legge di causalità non può concepire l'idea di un Essere che interferisce con il corso degli eventi. A patto naturalmente che egli prenda l'ipotesi della causalità veramente sul serio».






Edited by filokalos - 6/11/2015, 12:37
view post Posted: 23/6/2013, 19:01     Le ville medicee nel patrimonio dell'Unesco - Polimnia

Le ville medicee nel patrimonio dell'Unesco

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Poggio a Caiano (Prato)

12 ville e due giardini medicei della Toscana
sono stati inseriti nell'elenco dei siti tutelati dall'Unesco.
Tra i monumenti protetti il giardino di Boboli
e quello di Pratolino a Firenze,
il castello di Cafaggiolo e
le ville di Poggio a Caiano e Carmignano.



Le 12 ville e i due giardini medicei della Toscana sono da oggi patrimonio dell'umanità dell'Unesco.
La notizia arriva da Phnom Pehn, in Cambogia.
Come si legge nella motivazione:«Le fortune finanziarie, economiche e politiche dei Medici sono dietro il diffuso mecenatismo che ha avuto un effetto sulla storia culturale e artistica dell’Europa moderna».
Nell’elenco ci sono monumenti straordinari conosciuti a livello internazionali, altri altrettanto stupendi ma meno noti, altri ancora da salvare e valorizzare. L’agenzia dell’Onu per la cultura, che nei giorni scorsi aveva già inserito l’Etna nel Patrimonio dell’Umanità, ha approvato pure la massima tutela per 12 monumenti nordcoreani a Kaesong.

Nel Patrimonio tutelato dall’Unesco entrano:

- Giardino di Boboli di Firenze
Nato come giardino granducale di palazzo Pitti, è connesso anche al Forte di Belvedere, avamposto militare per la sicurezza del sovrano e la sua famiglia.
Il Giardino di Boboli accoglie ogni anno oltre 800.000 visitatori ed è uno dei più importanti esempi di giardino all'italiana al mondo.
Si tratta di un vero e proprio museo all'aperto, per l'impostazione architettonico-paesaggistica e per la collezione di sculture, che vanno dalle antichità romane al XX secolo.
I giardini dietro Palazzo Pitti, residenza dapprima dei Medici, poi dei Lorena e dei Savoia, furono costruiti tra il XV e il XIX secolo e occupano un'area di circa 45.000 m².



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- Giardino di Pratolino, nel comune di Vaglia
Il "Pratolino" è il parco-giardino più vasto tra le tenute medicee.
È tagliato da un asse coincidente con uno stradone che appare come l'unico elemento regolato del parco, che è caratterizzato da una morfologia del terreno ricca d'anfratti, cavità e altre irregolarità.
La villa è posta al centro e tutto il parco è segnato dalla presenza dell'acqua, elemento generatore e assoluto protagonista simbolico dello schema decorativo.
I vari elementi architettonici del parco erano individuabili grazie alla percezione dei sensi, stimolati dal rumore delle acque e dalle piogge artificiali.


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- Villa di Cafaggiolo a Barberino di Mugello,
La Villa Medicea di Cafaggiòlo, detta anche Castello di Cafaggiolo, si trova nel comune di Barberino di Mugello, a nord di Firenze ed è una delle ville medicee più legate alla storia dei Medici.
In passato, veniva indicata anche come Cafagiolo, com'è indicato nella famosa lunetta di Utens della fine del XVI secolo.


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- Villa di Trebbio a San Piero a SieveLa villa si trova nella zona dalla quale erano originari i Medici e fu una delle prime residenze (se non la primissima) che essi fecero costruire fuori Firenze.
Appartenne infatti già a Giovanni di Bicci de' Medici, il patriarca delle fortune familiari.
La tenuta era in una posizione strategica, dall'alto di un poggio che dominava la Val di Sieve, ad una confluenza viaria (Trebbio significa infatti trivio cioè un punto dal quale, a differenza del bivio, si dipanano tre strade).


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- Villa di Careggi
La Villa Medicea di Careggi è una delle più antiche tra le ville appartenute alla famiglia Medici. Nel 1417 Giovanni di Bicci de' Medici, il capostipite della fortuna medicea, acquistava sul colle chiamato di Monterivecchi alcuni terreni e possedimenti da Tommaso Lippi, con un contratto datato 7 giugno di quell'anno. Si tratta della terza villa campestre di famiglia, dopo quelle di Cafaggiolo e del Trebbio nel Mugello, e rappresenta la più vicina Firenze, quindi anche un acquisto strategicamente scelto in maggiore prossimità verso quel centro cittadino al cuore degli interessi della famiglia. Queste ville erano anche un luogo di riposo e di pace, ma anche veri e propri centri economici, che con le attività agricole non solo si potevano automantenere, ma rappresentavano anche delle fonti sicure di reddito.




- Villa di Poggio Imperiale
La Villa di Poggio Imperiale si trova sul colle di Arcetri. Originariamente era una villa medicea chiamata Villa di Poggio Baroncelli, anche se oggi è la villa medicea dall'aspetto meno fedele a quello originario.
Attualmente ospita un educandato femminile e una scuola statale.


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- Villa di Castello
La Villa Medicea di Castello si trova nella zona collinare di Castello a Firenze, molto vicina all'altra celebre villa medicea della Petraia, ed è famosa soprattutto per i magnifici giardini, secondi solo a quelli di Boboli.
Oggi la villa, chiamata anche Villa Reale, L'Olmo o Il Vivaio, non è visitabile perché ospita l'Accademia della Crusca e l'Opera del Vocabolario Italiano, mentre i giardini sono un museo vero e proprio gestito dalla Soprintendenza per il Polo Museale di Firenze.


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- Villa La Petraia di Firenze
La Villa Medicea La Petraia è ritenuta una delle più belle e celebrate ville medicee, collocata in una posizione panoramica che domina la città di Firenze.
I progetti per il futuro della villa sono il recupero dei suggestivi sotterranei, con le antiche cucine ed alcune stanze dove dovrebbero venire esposti i modelli realizzati in occasione della Mostra di giardinaggio del 1931, una curiosa serie di plastici di giardini in miniatura che si trovano in deposito nella villa.


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- Villa Medici di Fiesole
Villa Medici a Fiesole è una delle più antiche ville appartenute ai Medici, la quarta, dopo le due ville nel Mugello (Cafaggiolo e Il Trebbio) e la villa di Careggi. Chiamata anche Belcanto o il Palagio di Fiesole, è tra le ville medicee meglio conservate ma al tempo stesso è anche tra le meno note.
L'aspetto della villa fu molto diverso dalle ville medicee precedenti e costituisce in qualche modo un prototipo di costruzione del primo rinascimento, fortemente geometrizzata, aperta verso l’esterno e senza cortile centrale, tanto da essere considerata l'antecedente della villa di Poggio a Caiano.


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- Villa di Poggio a Caiano
Entrata nel Parco della Villa di Poggio a Caiano
La Villa Medicea di Poggio a Caiano, chiamata anche Ambra, è una delle ville medicee più famose e si trova nel comune di Poggio a Caiano (PO). Oggi è di proprietà statale ed ospita un museo.
La villa è forse il migliore esempio di architettura commissionata da Lorenzo il Magnifico, in questo caso a Giuliano da Sangallo verso il 1480. Non a caso si tratta di un edificio privato, in cui sono presenti elementi che fecero poi da modello per gli sviluppi futuri della tipologia delle ville: compenetrazione tra interno ed esterno mediante filtri come le logge, distribuzione simmetrica degli ambienti attorno a una salone centrale (spazio "centrifugo"), posizione dominante nel paesaggio, recupero consapevole di elementi architettonici classici (come la volta a botte e il frontone di tempio ionico in facciata)


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- Villa “La Ferdinanda”ad Artimino, una frazione del comune di Carmignano (Prato)
La Villa Medicea di Artimino, chiamata anche La Ferdinanda o Villa dei cento camini, si trova su un poggio dirimpetto a quello del piccolo paese medievale di Artimino, una frazione del comune di Carmignano (Prato).
Oggi è sede di congressi, ricorrenze e eventi speciali, mentre al piano interrato è stato allestito il Museo archeologico
La Ferdinanda, voluta come casa di caccia da Ferdinando I de’ Medici, fu edificata su disegno del Buontalenti nel 1594 appena fuori il piccolo borgo medievale di Artimino, frazione del comune di Carmignano.
È anche detta Villa dei Cento Camini per il gran numero di camini che svettano dal tetto ed è posizionata al centro di quella che era la tenuta medicea del Barco Reale, in cima a una collina da cui si può osservare uno straordinario paesaggio.


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- Villa di Cerreto Guidi
Un gioiello artistico in cui era solito rifugiarsi Cosimo I.
Residenza di caccia e presidio territoriale, situato in provincia di Firenze, la Villa medicea è una residenza nobiliare situata nel centro di Cerreto Guidi, in provincia di Firenze.
È tra le poche ville medicee ad essere stabilmente aperte come museo, ospitando dal 2002 il Museo storico della caccia e del territorio.


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- Villa la Magia a Quarrata (Pistoia)
Il nucleo originario della villa fu costruito nel Trecento dalla famiglia pistoiese dei Panciatichi, sulla valle dell'Ombrone alle pendici settentrionali del Monte Albano, una serie di colli che segna il confine sud della piana che comprende Prato, Pistoia e Firenze stessa.
Luogo di importanza strategica, qui si svolse uno storico incontro, in occasione di una battuta di caccia, tra il duca Alessandro de' Medici e l'imperatore Carlo V nel 1536.


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Palazzo di Seravezza (Lucca).

Il Palazzo Mediceo di Seravezza si trova nel comune di Seravezza (provincia di Lucca), alle pendici delle Alpi Apuane e alla confluenza dei fiumi Serra e Vezza. All'interno dell'edificio, oltre alla biblioteca comunale intitolata allo scrittore seravezzino Sirio Giannini, è ospitato il Museo del lavoro e delle tradizioni popolari della Versilia storica; il palazzo con l'adiacente scuderia, oggetto di recente restauro, è sede di manifestazioni e mostre temporanee.


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Edited by filokalos - 24/6/2017, 08:11
view post Posted: 11/6/2013, 08:50     Il Rinascimento - Stile

Il Rinascimento



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Michelangelo, David, 1501-1504,Firenze, Galleria dell'Accademia


Diffusione: Nasce in Italia e si diffonde in tutta Europa
Periodo: XV e XVI secolo
Curiosità: Il Rinascimento mostra grande attrazione
per le iconografie complesse, simboliche,
comprensibili solo agli eruditi;
numerosi sono infatti i rimandi ai testi antichi,
sia per i temi letterari che
per i racconti mitologici classici.





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Ritratto di Simonetta Vespucci
Ritenuta dai contemporanei come la più bella donna vivente,
fece da modella a Sandro Botticelli per La nascita di Venere
e numerosi altri dipinti. Fu musa ispiratrice anche per
numerosi altri artisti, tra i quali si distinse Piero di Cosimo,
che dipinse il Ritratto di Simonetta Vespucci,
dove compare vestita come Cleopatra
con un aspide al collo

Ha scritto Federico Zeri: "Il Rinascimento è il portato della resurrezione del’economia urbana, che riprese, secondo modi e tempi molto diversi nelle singole aree, emergendo in nuclei distinti dalle mille schegge ... in cui si era spezzato il blocco monolitico del tardo impero".
Il Rinascimento è un complesso movimento culturale che investe non solo le arti figurative, ma tutta la cultura umanistica e scientifica nei secoli XV e XVI.
Il termine indica una nuova nascita, la ripresa, dopo la lunga parentesi medievale, degli ideali culturali ed estetici del mondo antico greco e romano, con un rinnovato senso di fiducia nell'uomo e nelle sue capacità razionali.

L'idea rinascimentale dell’arte incarna la volontà di rappresentare e imitare la realtà in un rigoroso sistema di rapporti proporzionali e armonici.
Il fulcro sono perciò l'uomo e la natura, le capacità umane e il mondo sensibile che soggiace alle loro percezioni, mentre l’aspetto religioso e spirituale, comunque sempre presente, viene mutato in chiave antropocentrica.
Lo sviluppo delle scienze, come per esempio la matematica, l’astronomia o l'ottica, porta un approccio nuovo alla natura e il recupero delle opere classiche antiche, grazie anche ai ritrovamenti archeologici, suggerisce la via da seguire all'uomo moderno, emancipatosi dalla posizione secondaria in cui la cultura medievale l'aveva relegato.

L'artista rinascimentale si sente un intellettuale e non più un semplice artigiano.
Le arti si indirizzano verso l'imitazione del dato reale unita allo studio dei modelli antichi: anatomia e fisiognomica vengono studiate con interesse scientifico, analitico, per riprodurre corpi perfetti, realistici, tridimensionali,che occupano uno spazio fisico credibile all'interno della scena.

L'influenza degli antichi, sinonimo di equilibrio e perfezione, rende l’opera d'arte un saggio in cui tutto è perfettamente calibrato e studiato secondo principi di geometria e simmetria, eco profonda del sapere pitagorico e del neoplatonismo con cui l'uomo del Rinascimento può realizzare un mondo ideale.
Bellezza, ritmo, compostezza, armonia, musicalità, equilibrio sono i caratteri primari che l'opera d'arte ci presenta, declinata in ogni forma artistica.

Questo nuovo intendere la forma espressiva raggiunge il suo apice nei primi decenni del Cinquecento e conosce la massima celebrazione in pittura nella stanza vaticana della Segnatura, dove Raffaello esalta i valori e i protagonisti del pensiero classico antico.

Anche in architettura tornano in auge le sei categorie indicate da Vitruvio (ordinatio, dispositio, distributio, eurythmia, simmetria e decorum), rigorosamente applicate nei nuovi edifici civili e sacri. Per questi ultimi gli architetti si ispirano direttamente agli antichi, prediligendo la pianta centrale, di cui il Pantheon romano è insuperato modello.

Così la forma iscrivibile nella perfezione di un cerchio e l'alta cupola segnano le preferenze del nuovo stile.



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Donato Bramante, Tempietto di San Pietro in Montorio, 1502-1510. Roma



Con una logica rigorosa Bramante riprende elementi del lessico architettonico classico e li compone, facendo di questo minuscolo edificio un modello universale, paradigmatico per tutta l’architettura del Cinquecento.
Bramante rivela la volontà lucida e razionale di proporre in architettura una sintesi storica tra la Roma cristiana e rinascimentale e quella dell'antichità pagana.
Ispirata al tema antico del tempio circolare con colonnato anulare, la struttura è basata sulla ripetizione della geometria del cerchio e del cilindro, perno dello spazio infinito che in essa converge e insieme da essa si espande.
Persino il nome “tempietto" è un chiaro riferimento all’architettura antica, tanto che fu inserito dagli architetti-trattatisti del Cinquecento, come Serlio e Palladio, accanto ai rilievi degli antichi edifici romani.



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Michelangelo,Pietà, 1498-1500, Pietà del Vaticano,basilica di San Pietro.



Michelangelo svolge il tema con estrema semplicità e rigore compositivo, limitando il gruppo alle due sole figure della madre e del figlio, secondo l’iconografia nordica. La carica emotiva nasce proprio dalla straziante tenerezza e affettuosa naturalezza con cui la giovanissima madre regge sulle ginocchia il corpo del figlio morto.
L'intatta bellezza del corpo nudo di Cristo e la stessa lavorazione del marmo, polito con finezza estrema, fino a sembrare traslucido, rendono tangibile l'ideale neoplatonico della contemplazione del bello come sublimazione spirituale della materia.
La limpida e composta struttura formale del gruppo porta a maturazione ricerche stilistiche sviluppate a Firenze per tutto l’arco del Quattrocento.
Il trattamento del marmo rende quasi trasparenti le superfici, di cerea morbidezza, carni palpitanti e panneggi dai ritmi monumentali.




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Raffaello, La scuola di Atene, 1509-1510, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, stanza della Segnatura.




Le ampie e solenni arcate del tempio della Sapienza, ispirate a esempi tardo-antichi, sono un esplicito omaggio all’awio della costruzione della basilica di San Pietro da parte di Bramante, concittadino di Raffaello.
Al culmine della gradinata compaiono i due maggiori filosofi dell’antichità, pienamente riscoperti dall'Umanesimo: Aristotele e Platone. La scena è impostata secondo i principi della prospettiva lineare centrale.
Michelangelo, solitario e malinconico, impersona Eraclito, attraverso l’identificazione con i filosofi e gli scienziati antichi, Raffaello esalta il ruolo e la dignità intellettuale degli artisti del pieno Rinascimento.
La luce chiara e diffusa, l’equilibrata distribuzione dei gruppi di figure su una sorta di proscenio teatrale, la colta presenza di statue antiche e bassorilievi classici: tutto concorre a creare un’atmosfera nobile e serena, illuminata dalla fede nella ragione dell'uomo.
La varietà e la ricchezza delle soluzioni formali, l'apparente facilità con cui Raffaello supera i problemi di composizione per la quantità di figure e di atteggiamenti, per l'irregolarità delle pareti, variamente interrotte da porte e finestre, rendono gli affreschi delle stanze vaticane capolavori assoluti di ogni tempo.
Raffaello sintetizza e traduce in immagini di straordinaria evidenza gli ideali del Rinascimento che in quegli anni la Chiesa di Roma faceva propri e piegava alla sua aspirazione: la naturale continuazione del ruolo politico e culturale di Roma, caput mundi del mondo antico, nella suprema guida spirituale dell’umanità cristiana.



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Michelangelo, La Creazione di Adamo 1508-1512, Città del Vaticano, volta della Cappella Sistina.



I gesti e le attitudini di ogni personaggio della volta esprimono una gradazione emozionale che passa dalla meditazione alla contemplazione, dall’illuminazione allo sconvolgimento interiore, mostrando l’attento studio di ogni sentimento umano.
Le figure dalle anatomie possenti, ben delineate dal Adamo solleva lentamente il corpo forte e agile: il suo dito ancora incerto si indirizza versi quello assolutamente fermo , di Dio, in un muto scambio di occhiate, di volontà, di potenza. Sembra di avvertire una scintilla cosmica nello spazio, breve e incommensurabile insieme, che separa l'indice di Dio da quello del primo uomo.
La celeberrima scena è l’emozionante punto nodale dell'intera volta, in un attimo eterno, sospeso nel vuoto, si realizza l’infusione della vita a un essere creato a immagine e somiglianza del divino, insiste sul registro della “terribilità”, 'irresistibile volontà
e potenza di Dio Padre che domina la volta: ogni gesto è un ordine, ogni attimo un'esplosione di forza, che tocca l'apice in questa
scena, e nella massiccia volumetria scolpita dalla luce, disegno, circuite dalla linea di contorno, emergono nella loro prestanza muscolare.
Ogni figura è studiata con cura in disegni e studi preliminari, ma senza mai perdere di vista l’effetto d’insieme della volta.
Il legante è soprattutto il colore chiaro, smaltato, forte, riportato in piena luce dai recenti restauri.



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Tiziano, Amor sacro e amor profano, 1514, Roma, Galleria Borghese



Tiziano contrappone alla bucolica serenità dei paesaggi di Giorgione uno sfondo carico di elementi naturali: nuvole, venti, figure, borghi, animali, fronde e acque partecipano all'inesauribile ritmo vitale dell'universo.
Un raffinato e complesso significato allegorico si esprime come interpretazione vitale e gioiosa del classicismo rinascimentale da parte del giovane Tiziano.
Elementi cristiani e pagani si fondono in una composizione in cui Tiziano, influenzato dalla filosofia neoplatonica, celebra nella bellezza terrena e fisica il riflesso della perfezione divina.
Il caldo cromatismo, fa morbidezza delle sfumature, i trapassi impercettibili di luce, la dolcezza delle carni sono tratti tipici del fare tizianesco, che investe ogni elemento della composizione, dai rilievi scultorei antichi al corpo femminile, dagli ampi panneggi alla natura circostante.



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Correggio, Madonna di San Girolamo, 1523, Parma, Galleria Nazionale.



Il paesaggio ricorda vedute lombarde e leonardesche, con il dolce declinare dell'orizzonte su tonalità grigie, azzurre; uno spazio naturale dove, se pur a distanza, è raffigurato un edificio di sapore classicheggiante.
Correggio in questa tavola rivela la sua maturità e geniale autonomia: rinnova la tradizionale icona della Vergine in trono, elimina l'architettura per porre le figure in uno scenario naturalistico, dove solo la tenda rossa in diagonale funge da baldacchino.
La Madonna e il Bambino presentano i caratteristici tipi fisici leonardeschi, ma interpretati da Correggio con un'ulteriore nota di affettuosa morbidezza.
È una scena domestica, intima, dove i personaggi comunicano intrecciando gesti e sguardi. La morbidezza delle carni, la naturalezza dei panneggi, la sofficità dei capelli, il calore della luce mostrano lo stile inconfondibile di Correggio.








Edited by filokalos - 11/6/2013, 10:19
view post Posted: 5/6/2013, 10:32     Moscow Polytechnic Museum and Educational Centre - Architettura & Urbanistica



Moscow Polytechnic Museum and Educational Centre

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Un centro polifunzionale tra scienza,
tecnologia, arte ed educazione sorgerà
nella capitale russa entro il 2017.
Porta la firma di Massimiliano e Doriana Fuksas,
che hanno vinto il concorso internazionale.
Era dal Settecento che nessun italiano costruiva in Russia.




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Massimiliano e Doriana Fuksas

Un nuovo museo a Mosca. Con la firma del design italiano. Quello di Massimiliano e Doriana Fuksas, che hanno vinto il prestigioso concorso internazionale per la progettazione del "Moscow Polytechnic Museum and Educational Centre" di Mosca che dovrebbe sorgere entro il 2017.


A distanza di tre secoli, dopo la stagione storica degli architetti italiani, quella in particolare di San Pietroburgo e di Bartolomeo Rastrelli, un architetto italiano torna a realizzare un'importante opera pubblica in Russia e nella capitale in particolare.


Sette, come le sette porte e le sette torri del Paradiso, sono gli elementi del nuovo Museo del Politecnico che sorgerà sulle Colline dei Passeri, un posto che ai tempi del comunismo si chiamava Colline Lenin e dove alla fine del “Maestro e Margherita” di Mikhail Bulgakov, uno dei romanzi più belli e significativi del Novecento, i due protagonisti - il Maestro e Margherita, appunto - decollano verso il cielo.



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Nelle vicinanze sorgono gli edifici, in stile “neoclassico comunista”, dell'Università di Mosca.


Fuksas è orgoglioso di aver vinto un concorso difficile: «Con due giurie, la prima a Berlino,l’altra nella capitale russa; e abbiamo avuto come concorrenti i migliori studi di architettura del mondo».



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Per lui questa è però una specie di ritorno. E forse una piccola rivincita personale. E nato a Roma Fuksas, ma da una famiglia che per secoli ha vissuto nell’impero zarista: i suoi erano ebrei lituani. A un certo punto si trasferirono a Mosca.


Da lì vennero cacciati a seguito della rivoluzione bolscevica. Non è un piccolo dettaglio biografico il suo ritorno nella capitale russa.



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L’architetto romano prova un’attrazione quasi ancestrale per la città e i suoi miti e per il suo lato «folle, irrazionale, con la vita sospesa tra sogno e realtà, e dove tutto è imprevedibile».


Il museo del Politecnico costerà circa 180 milioni di dollari. A firmarlo, come sempre, c’è anche la moglie e compagna di tutte le avventure Doriana Fuksas. Il partner è lo studio locale Speech.

L’area su cui sorgerà l’edificio è di oltre 40 mila metri quadrati. Sono previsti tre livelli “di fruizione”.


  1. Al piano terra, l’area aperta al pubblico: una lobby per mostre, un caffè, un negozio, due auditorium.

  2. Al livello superiore, gli uffici.

  3. In cima: laboratori, la biblioteca, l’area espositiva del museo delle Scienze, il cuore dell’opera.


Un complesso di 4 edifici in rame pre-ossidato con screziature tra il verde e l'azzurro, una scultura che sembra essere stata tagliata dal vento, sospesi da una piattaforma trasparente aperta verso la città; si tratta del primo progetto moscovita dell'architetto italiano, che si propone di realizzare un simbolo del trionfo delle tecnologie dell'informazione.

La copertura in pietra della teca è completamente concepita come una piazza scoperta, su cui si poggia la parte scultorea del progetto.

Lo stesso Fuksas dichiara che il museo e il centro educativo "devono diventare una pietra miliare luminosa e rispecchiare l'immagine della nuova generazione".

Il nuovo centro è previsto come punto di incontro per la comunità russa e scientifica internazionale.

Metterà in mostra le più recenti scoperte scientifiche e tecnologiche utilizzando sistemi multimediali, con un obiettivo di oltre 1,3 milioni di visitatori annuali.

Massimiliano Fuksas ha dichiarato: “È uno dei miei progetti più belli, e una vittoria italiana”. :ok:





Edited by filokalos - 5/6/2013, 13:00
view post Posted: 30/5/2013, 09:11     Da Ballerina a Sirena - Tersicore


Da Ballerina a Sirena


È davvero sorprendente quello che riesce a fare
l'ingegno umano, la creatività e la forza di volontà.
Sue Austin è riuscita a realizzare quello che
in tanti non ritenevano possibile:
una sedia a rotelle con cui potersi muovere e
destreggiarsi liberamente nei fondali marini,
dando così libero sfogo alla sua voglia di libertà e creatività.





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Dopo averla vista muoversi su un fondale marino non sarete più gli stessi, ma parte del suo progetto.

Sue Austin è un'artista disabile che ha fatto della sua invalidità un'opera d'arte. Ha iniziato nel 2005 a immergersi con la sua carrozzina, dopo aver creato un veicolo dotato di propulsore e pinne che le consentono di muoversi agevolmente nell'acqua.

La stessa artista confessa: «Quando chiedevo alle persone quali sentimenti ispirasse la sedia a rotelle, mi parlavano di compassione, costrizione e anche paura. E capivo che quella prospettiva rischiava di diventare mia».

Ecco perché ha iniziato a chiamarla power chair, “la sedia del potere”, e a utilizzarla come strumento di trasformazione. Prima tracciando linee colorate su un prato e poi sott'acqua, con le bombole di ossigeno assicurate allo schienale e due enormi pinne trasparenti che abbracciano la sedia e le danno stabilità.

Tra le ruote, due propulsori comandati da un pulsante azionato da una gamba. Le sue danze subacquee stanno diventando una mostra e un film.

L’idea le è venuta qualche anno fa, ma quando ha iniziato a parlarne in giro era stata scoraggiata, in quanto le avevano detto che era impossibile da realizzarsi e che una sedia a rotelle non è fatta per l’acqua. Ma lei non si è arresa e ce l’ha fatta! Con un paio di motori, una pinna personalizzata e un pedale per timone, Sue è in grado di muoversi sott’acqua con facilità.
Ora sta brevettando la sua sedia a rotelle "speciale" e ha già in mente alcuni miglioramenti da fare come, ad esempio, un telaio in titanio per evitare la ruggine.

Nella sua homepage l'artista racconta la sfida che ha affrontato: "La mia pratica per anni si è focalizzata sui modi per capire e rappresentare la mia esperienza da disabile sulla sedia a rotelle, dando vita a profonde conclusioni sui metodi di auto-rappresentazione e sul potere di raccontare sè stesse".

Ha anche creato una serie di filmati, ”Creating the Spectacle”, che la riprendono mentre volteggia nell'acqua, facenti parte di un progetto artistico, "Freewheeling", che promuove lo stato degli artisti disabili e vuole incoraggiare la ricerca accademica.

Come ha confessato la Stessa Sue Austin: «Le attrezzature da sub sono associate a un senso di emozione e di avventura: l’opposto di quello che provi davanti a una sedia a rotelle. Ecco perché ho detto: vediamo che succede se metto tutte queste cose insieme».

Mentre procede sbuffando pennacchi di bolle, le pinne sembrano la coda di una sirena.

«Il nome della sedia a rotelle subacquea per me è “portale” perché mi apre un livello di consapevolezza inedito».





Edited by filokalos - 19/7/2013, 12:32
view post Posted: 21/5/2013, 08:32     - Delitti Italiani

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Troppo presto furono considerati colpevoli.
Sconosciuti messi alla gogna mediatica
e poi riconosciuti estranei ai fatti.
A volte dopo mesi, altri dopo decenni:
i casi che hanno fatto storia.





GIROLIMONI. DA ORCO A MARTIRE


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Gino Girolimoni

Sette bambine seviziate, cinque uccise, una rapita e uccisa a tre anni dal precedente sequestro.
Tutte piccolissime, anche di un anno e mezzo.
È il 1924 e la Capitale va nel panico per il "Mostro di Roma".
Dopo quattro anni di violenze e indagini senza sbocchi, viene arrestato un procacciatore d'affari di 38 anni con la passione per le foto e le donne: Gino Girolimoni.
Sui giornali diventa subito il "degenerato" e "pedofìlo assassino", il "cinico"che non confessa.
Ma ad accusarlo è un oste la cui moglie si è innamorata del "sor Gino" I testimoni rivelano che il giorno dei delitti, Girolimoni non era lì. Quando lo liberano la notizia ha tre righe in cronaca, non le legge nessuno: per decenni il suo cognome sarà così sinonimo di infamia e pedofilia. Muore poverissimo nel 1961.

Al funerale ci sono solo tre amici e il commissario che smontò le accuse: Giuseppe Dosi.
Non gli fu perdonata: quando imboccò la pista forse giusta (un pastore anglicano), lo spedirono in manicomio criminale e tornò in Polizia solo dopo la caduta del fascismo.
Oggi Girolimoni è considerato il più grande martire della giustizia.



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Salvatore Gallo all'ergastolo
nel carcere di Santo Stefano

Paolo Gallo sparisce senza ragioni da Avola, in Sicilia, nel 1954.

Indagini leste portano al fratello Salvatore, contadino.



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Paolo Gallo, il morto-vivo

Gli trovano sangue in casa: e visto che il cadavere non si trova, condannano lui all'ergastolo, suo figlio Sebastiano per l'occultamento del corpo e chi sostiene di aver visto vivo il morto viene incriminato per falsa testimonianza.

Solo che Paolo è vivo davvero: lo ritrovano dopo 7 anni quando il fratello è ormai ridotto in carrozzina, in galera.

Il clamoroso caso di Salvatore Gallo, mai risarcito, porterà alla riforma dell'istituto della revisione processuale per gli errori giudiziari.



LE VITE RUBATE


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Domenico Morrone

Negli ultimi anni sono stati molti gli errori giudiziari acclarati.

Due hanno del clamoroso: Domenico Morrone, pescatore di Taranto, fu condannato per l'omicidio di due ragazzini nel 1991: rimase in galera oltre 15 anni prima di essere riconosciuto innocente, quando due pentiti fecero il nome del vero assassino.

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Melchiorre Contena



Il pastore Melchiorre Contena di Orune finì invece dentro per il rapimento e l'omicidio dell'imprenditore Marzio Ostini (31 gennaio 1977).

Quando fu dimostrata la sua innocenza, era in cella da 30 anni: il più grave errore giudiziario della Repubblica.




L'UOMO SBAGLIATO


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Daniele Barillà

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Beppe Fiorello nella fiction
L'uomo sbagliato.

Era il 1992 e i carabinieri inseguivano un trafficante di droga su una Tipo amaranto, ma la persero di vista.

Quando rividero una Tipo amaranto pensarono fosse la stessa e la bloccarono: invece era quella di Daniele Barillà, imprenditore.

Lo condannano definitivamente a 15 anni.

La verità viene fuori solo dopo 7 anni e mezzo di galera.

Sull'incredibile vicenda Beppe Fiorello farà la fiction L'uomo sbagliato.

Barillà fu il primo caso di risarcimento record, oltre 2 milioni di euro, in cui venne calcolato anche il danno biologico e i mancati introiti dell'attività lavorativa.



IL CARROZZIERE DI ARCE


carminebelli

L'Italia è il Paese europeo di gran lunga più condannato dalla Corte di Strasburgo per "ingiusta detenzione" (si parla di "errore giudiziario" solo dopo che un processo viene riaperto dopo la condanna definitiva).

Tra le più sconcertanti va annoverata quella del carrozziere Carmine Belli, bollato troppo presto come il "mostro di Arce" con l'accusa di aver ucciso la diciottenne Serena Mollicone, ritrovata morta il 3 giugno 2001.

Dopo 17 mesi di carcere preventivo e un marchio infame, fu assolto in tutti e tre i gradi di giudizio.

Per quel delitto oggi ci sono cinque nuovi indagati: il caso è irrisolto.

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Articolo Originale di
Edoardo Montolli



Edited by filokalos - 21/5/2013, 11:31
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