Il Forum delle Muse

Posts written by Filokalos

view post Posted: 29/8/2012, 09:47     L’erbario ritrovato dei Certosini - Minerva

L’erbario ritrovato dei Certosini

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Giovanni Antonio da Racconigi,
tra il 1748 e il 1749 catalogò
ben 570 erbe in un librone ingiallito:
l'Herbarium: un autentico tesoro
che si trova ancora a Collegno
dove è stato realizzato...



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Dieci minuti. Tanto basta lasciare in infusione l’acqua calda e alcune foglie d’Agnus Castus, pianta dai bei fiori violacei, per «reprimere gli ardori di Venere».



I semi del Linum montanum, erba perenne che cresce in montagna, guariscono le coliche mentre l’Effemerum virginianum, che fiorisce ad agosto nei boschi, in dieci ore seda il mal di denti.



Consigli fuori dal tempo che escono da un librone ingiallito, privo d’un angolo rosicchiato da un topolino.



Sembra una fiaba, ma è realtà. E emana un vago profumo d’erbe essiccate: è l’«Herbarium», un autentico tesoro -ai più oggi sconosciuto - che si trova a Collegno dove è stato anche realizzato.



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Monastero dei Certosini di Collegno

Correva il 1700 e il Monastero dei Certosini di Collegno, costruito a metà del Consiglidiun altro tempo custoditi in un antico libro con erbe essiccate 1600 grazie alla magnificenza di Madama Reale, iniziava a gestire una prestigiosa spezieria.

Qui operò fra’ Giovanni Antonio da Racconigi che tra il 1748 e il 1749 catalogò 570 erbe in questo tomo diventato in breve famoso ovunque, tanto per la rarità di quanto raccolto quanto per la descrizione dei portentosi rimedi medicamentosi delle piante.

Un lavoro certosino, è il caso di dirlo, perché le erbe essiccate conservano ancora i colori originali, una testimonianza, oggi, d’usi coltivativi e rimedi dell’epoca.



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Una foto del corridoio dell'ormai abbandonato
Manicomio di Collegno

Rimase, dopo che i Certosini abbandonarono Collegno, nella farmacia della Certosa, poi divenuta parte del manicomio, e quindi gestita da privati, e dalla famiglia Gussoni in particolare.

Ora l’erbario è di Emanuele, vedovo di Valeria Viziano Gussoni, e ha una curatrice volontaria, Marisa, che sta cercando di farlo conoscere: protetto in una banca, sarà esposto e illustrato in alcuni eventi grazie alla collaborazione di Loredana Matonti di «Piemonte Parchi».



Finora, va detto, nessun botanico ha decifrato tutte le parole vergate con mano sicura dal frate e le ha confrontate con i saperi d’oggi.


Esistono piante andate perdute?


Difficile dirlo. :hmm:


Alcune, forse, potrebbero essere riscoperte e piantate sul terrazzo di casa.



Certo è che basta aprire il volume per trovarsi nel passato e scoprire che la Genista spinosa macerata e immersa per un giorno nell’acqua cura i dolori alle ginocchia, l’Halimus vulgaris favorisce l’aumento del latte nelle donne che hanno partorito e l’Agnus Castus, più che gli «ardori di Venere», agisce sugli ormoni femminili e attenua la sindrome pre-mestruale.



Segreti dei Certosini, come le tante ricette che custodivano.



Alcune sono su un libretto verde di cui si ha traccia sino a una decina d’anni fa e che Valeria Gussoni ancora usava: oggi sembra andato perduto. Altre sono note, almeno in parte, e sono addirittura famose: è il caso della Lozione capillogena anti-alopecica, preparata per chi soffre di calvizie con diciassette erbe.



Edited by filokalos - 29/8/2012, 16:48
view post Posted: 26/8/2012, 11:10     Poecylia: fra caruggi e resort - Benessere

Da come dice il nostro visitatore, che ringraziamo sentitamente :ok: :

Un sito web molto fuorviante.

In realtà, gli ospiti sono trattenuti in dormitori senza vista, diverse centinaia di metri dalle incantevoli viste.
Non c'è aria condizionata e nemmeno un ventilatore - quindi troppo caldo troppo dormire.

I proprietari hanno preso un po' troppo alla lettera la parola "resort" (che in italiano significherebbe "villaggio"), ma è si tratta solo di uno squallido dormitorio.

Ce ne siamo andati dopo la prima notte (4 erano quelle prenotate) e hanno rifiutato qualsiasi rimborso con una perdita di un 1200 euro!
In quanto richiedono il 100% della spesa prima, se non è questa una truffa vera.... :censura:

Rifiutatevi di pagare più di 80 euro a notte, e non date alcun anticipo se non vedete prima di persona.


Un vero peccato, come un ambiente incantevole.



A questo punto sono quasi tentato dal rimuovere la pagina....

view post Posted: 22/8/2012, 08:43     Anna Tifu, un violino per l'Alitalia - Pubblicità

Anna Tifu

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Un violino per l'Alitalia

Cagliaritana di 26 anni,
ha un padre romeno che
le ha trasmesso la passione per la musica.
A 12 anni si è esibita alla Scala.
Dopo i concerti si è lasciata rapire dall'Alitalia...
Che l'ha voluta come sua testimonial
per l'offerta denominata, neanche a dirlo,
Classica Plus (premium economy class)






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Bella e brava. Ragion per cui l’Alitalia l’ha scelta fra i volti che rappresentano il Paese nel mondo, insieme a Riccardo Muti, Gabriele Tornatore e Eleonora Abbagnato.

Anna Tifu è considerata una delle giovani interpreti italiane più apprezzate della sua generazione.

A undici anni ha debuttato come solista con l’orchestra National des Pays de la Loire. A dodici anni debutta alla Scala di Milano con il Concerto n.1 di Max Bruch.
Nel 1994 vince il 1° Premio con Menzione Speciale di Merito alla Rassegna di Vittorio Veneto.
Nel 1996 vince con Menzione Speciale della giuria il Concorso indetto dalla Societa’ Umanitaria di Milano.
Nel 1997 al Concorso Internazionale di Kloster Schontal,in Germania, vince tre premi fra cui il premio per la piu’ giovane vincitrice e quello per la migliore esecuzione di Bach.
Sempre nel 1997 vince nel Conservatorio Santa Cecilia di Roma,con Menzione Speciale,il concorso indetto dalla S.I.A.E.per i migliori alunni dei Conservatori Italiani.



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All’età di quattordici anni vince il 1° premio al Concorso Internazionale Viotti Valsesia e nello stesso anno vince il 1° premio al Concorso Internazionale M.Abbado di Stresa.

Si diploma appena quindicenne al Conservatorio di Cagliari con il massimo dei voti e la Menzione d’Onore.

Nel 2007 vince il premio Donna Sarda dell’anno e il 1° premio al prestigioso Concorso Internazionale George Enescu di Bucarest in Romania, aggiudicandosi anche il premio per la piu’ giovane fra i premiati.

In qualità di solista ha collaborato con le più prestigiose formazioni nazionali ed internazionali, tra i quali l’Orchestra da Camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Virtuosi dei Berliner Philharmonic, i Solisti della Israel Philharmonic .

Nel 2011 Andrea Bocelli ha invitato Anna Tifu come solista ospite in occasione di suoi numerosi concerti in Italia e all’estero.



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Anna Tifu, 26 anni (Cagliari, 1º gennaio 1986), in un'intervista a chi le chiedeva se il fatto di essere bella e bionda potesse essere una marcia in più per la carriera o un ostacolo al farsi prendere sul serio, rispondeva: «Questo è un mestiere in cui non puoi imbrogliare. Ma visto che ho dimostrato quel che valgo nelle competizioni internazionali, il fatto di avere un aspetto fisico piacevole può essere, a questo punto, un altro elemento a mio favore».

Dopo essersi esibita in concerto con l’Orchestra della Rai, è attualmente in tournée in Sudafrica, America e Israele, in attesa del suo primo disco da solista...

Suona un violino Carlo Bergonzi Cremona 1739 detto Mischa Piastro e un Giambattista Guadagini 1783 gentilmente offerto dall’Associazione Pro Canale di Milano e sempre nella stessa intervista, ne parlato così: «I violini d’autore fatti nelle botteghe possono essere magnifici, ma per un’attività concertistica ad alto livello non si avvicineranno mai a un violino d’epoca. Un violino per suonare bene va suonato, per cui più è vecchio meglio suona». ^_^

Alla domanda se ascolta la musica pop e rock, ha risposto: «Assolutamente sì, da Britney Spears a Elisa. Alle medie ero fissata con Eminem». :blink:

Accardo ha detto che gli piacerebbe una X Factor classica ed Anna proposito di trasmissioni come X Factor si è espressa così:«Se ci fosse stata, io da ragazzina avrei partecipato. Il mondo della xlassìca non è semplice. Per emergere ci vuole fortuna».


ha vinto tanti concorsi fin da quando era bambina, e a chi le chiede se il suo passato di enfant prodige ha lasciato tracce nel suo presente, la risposta è: «Non ho rimpianti. Nel senso che non mi è mai mancato nulla, ho fatto le stesse cose delle mie coetanee, in più studiavo il violino, seriamente. Il violino ha sempre fatto parte della mia vita. È stato mio padre, Mircea, in orchestra al Lirico di Cagliari, che si accorse del mio talento fuori dal comune. Ma devo tantissimo anche ad Accardo che mi ha seguito fin da quando ero una ragazzina. Per fare una carriera come la mia bisogna studiare tantissimo, ma la bellezza di far musica mi ripaga di tutto». :wub:





Edited by filokalos - 22/8/2012, 19:18
view post Posted: 10/8/2012, 08:41     IL DARK PUNK - Discografie

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I Sisters Of Mercy di Andrew Eldritch sono gli estremi esponenti dell'horror-shock inglese. A partire dal voodoobilly di Body Electric (1982), il leader, glaciale e tenebroso, dipinge piccoli e suggestivi quadretti esoterici come Alice (1983), Anaconda (1983), Reptile House (1983).

L’incalzante ritualismo orrifico di Temple Of Love (1983) introdusse ritmi ballabili nel sound, rendendo più appetibili le loro lugubri elucubrazioni.

Con il melodismo stanco di Body And Soul, Walk A way (1984), No Time To Cry (1985) ebbe inizio la decadenza, proprio quando usciva il primo album con l’eponima First And Last e i cadaverici sette minuti di Some Kind Of Stranger.

Convertitosi alle tastiere e ai computer, Eldritch tentò l’esperimento per soli synth e voci trattate dei Sisterhood (1986) e se ne avvalse per disegnare il nuovo sound claustrofobico di Floodland (1987), album arrangiato in maniera modernista e ricco di episodi insoliti come 1959 (un Lied per soli canto e piano) e di nenie danzerecce come This Corrosion e Dominion.
Discografia Consigliata:
First And Last And Always (Mercyful, 1985)



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Formati da Douglas Pierce nel solco di tanti complessi di dark punk i Death In June si dimostrarono subito cultori del macabro più efferati della media (Heaven Street, 1982; State Laughter, 1983; All Alone In Her Nirvana, 1983; Death Of The West, 1984).



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Ma soltanto dopo l’incontro con David Tibet emerse la vera vocazione del leader, “nero” sacerdote elettronico dedito a cupe ballate crepuscolari come Calling (1984), She Said Destroy (1985), Torture Garden (1985), Come Before Christ (1985) e To Drown A Rose (1987), ma capace anche di suite da brivido come Death Of A Man (1986) e Wall Of Sacrifice (1989).

Pierce è il Jacques Brel del dark punk.

Discografia Consigliata:
World That Summer (Ner, 1986)



Edited by filokalos - 10/8/2012, 10:31
view post Posted: 7/8/2012, 18:51     Gli Anasazi - Dimensione Ignoto
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Veduta di ciò che resta di Mohenjo-Daro:
una città modernissima ancor oggi con fognature e infrastrutture paragonabili
a una città occidentale del XIX Secolo
.

Più precisamente esso incrocia anche le rovine di Mohenjo-Daro, uno dei centri urbani più importanti.

Uno strano mistero accomuna questa città con l’isola di Pasqua, due località che tra l’altro sono esattamente agli antipodi geografici fra loro: in ambedue i luoghi sono stati ritrovati reperti scritti che utilizzano il medesimo tipo di alfabeto.

Né la scrittura di Mohenjo-Daro né quella dell’Isola di Pasqua sono state ancora oggi decifrate, ma la straordinaria somiglianza dei due alfabeti continua a lasciare sorpresi molti studiosi.

Si può supporre che anche il complementare meridiano di Mohenjo-Daro avesse in quella lontana epoca un’importanza rilevante, in quanto avrebbe rappresentato il limite cartografico per riferire tutti i suoi punti adiacenti ad est oppure ad ovest del meridiano di Pasqua.

Oggi ad esempio il meridiano opposto a quello di Greenwich divide in due l’Oceano Pacifico, e su gran parte di esso si sovrappone la linea del cambiamento di data.



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Alcuni discendenti degli Anasazi

In tal modo, isole che geograficamente sono molto vicine tra loro, come nel caso dell’arcipelago delle Figi, hanno alcune una longitudine 179 gradi est da Greenwich, altre una longitudine 179 gradi ovest.

Provando ad andare un po’ più avanti con le ipotesi, non si può escludere che oltre a rappresentare importanti coordinate geografiche, i meridiani dell’Isola di Pasqua e di Mohenjo-Daro fossero anche limiti di influenza territoriale dell’impero degli Ainu nei confronti di altri imperi marittimi con sede forse nell’America del Sud, in Africa, nel Mar dei Carabi, o in qualche parte dell’Atlantico.

Qualcosa di simile avvenne ad esempio alla fine del Quattrocento in Europa, allorché dopo le scoperte di Colombo, Spagnoli e Portoghesi si divisero il mondo con un trattato che faceva riferimento ad un ben preciso meridiano passante in mezzo all’Atlantico.

In base a questa logica allora potrebbe non essere casuale il fatto che allineate sul meridiano complementare di Mohenjo-Daro vi siano anche le due città sommerse scoperte pochi anni fa nel Golfo di Cambay in India.

La loro età sarebbe anche molto più antica risalendo addirittura al 7500 a. C.

Torniamo finalmente agli Anasazi.

I fautori del popolamento delle Americhe da parte di genti affini agli attuali Ainu dell’isola di Hokkaido hanno riscontrato sorprendenti analogie tra questi ultimi e gli abitanti di Chaco Canyon.



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Anche gli Ainu ad esempio facevano costruzioni seminterrate nel suolo a scopo religioso da loro chiamate, in maniera molto significativa, “kiva”, cioè luoghi di meditazione.

Si può presumere che dopo il catastrofico periodo di sconvolgimenti climatici che accompagnarono la fine dell’era glaciale anche coloro fra gli Ainu che sopravvissero sul continente americano abbiano trasmesso per millenni le loro conoscenze astronomiche e geografiche tanto ai loro discendenti quanto alle altre popolazioni di tipo asiatico che sopraggiungevano attraverso lo Stretto di Bering.

Una volta scomparsi gli Ainu d’America, per chissà quali motivi, diversi popoli indiani, e tra questi appunto anche gli Anasazi, devono aver conservato alcune tradizioni dei loro maestri (e forse anche antenati). Per esempio stili architettonici, tecniche agricole, nozioni astronomiche nonché il valore dell’antico meridiano che passando per Chaco Canyon raggiungeva – senza che ne sapessero nulla – anche l’Isola di Pasqua.



Col passare dei millenni naturalmente si venne perdendo il significato geografico originario.

Gli Anasazi ne considerarono soltanto il suo legame con gli antichi maestri-antenati Ainu e lo inserirono quindi all’interno delle loro tradizioni e cerimonie religiose, presumibilmente organizzando periodiche processioni attraverso le larghe strade perfettamente allineate proprio lungo il meridiano 108.

Ma nel XIII secolo il deterioramento del clima accompagnato da freddo, neve, inondazioni e forse anche segni celesti da loro interpretati sfavorevolmente, dovettero gettare nel panico questo popolo.

Analogamente a quanto avveniva nell’Europa cristiana dove ecclesiastici e laici ravvisavano in ogni carestia, epidemia o cometa un segno dell’imminente fine del mondo, anche gli Anasazi forse si convinsero che stesse per giungere un nuovo “diluvio universale”.

La loro decisione fu allora quella di imitare i loro maestri-antenati Ainu migrando perennemente e sempre perfettamente sulla loro “sacra direzione”, magari aspettandosi anche un loro ritorno, così come credevano per esempio gli Aztechi. I nuovi insediamenti edificati lungo il meridiano, prima a nord verso la direzione da dove erano giunti gli uomini bianchi, poi a sud, rifacendo la strada già percorsa, dovevano essere nelle loro intenzioni solo residenze provvisorie in quanto la cosa più importante era il costante “spirito di pellegrinaggio” sulle orme degli antenati. Poi quando furono ridotti allo stremo finirono per disperdersi ed essere assorbiti da altri popoli come gli Hopi, gli Zuni, gli Acoma ed i Pueblo.

È difficile naturalmente dire quanto possa essere verosimile una tale ricostruzione.

Non è escluso che in futuro nuovi scavi archeologici forniscano risposte diverse, magari anche più semplici e scontate.

Qualunque sarà la verità definitiva, tuttavia, si ha l’impressione sin d’ora che non passerà inosservata, poiché è convinzione di molti che la vicenda del declino e della scomparsa degli Anasazi possa far riflettere anche noi stessi, uomini del XXI secolo, circa la nostra presunta capacità di saper gestire i futuri mutamenti climatici del nostro pianeta.

view post Posted: 7/8/2012, 18:34     +1Gli Anasazi - Dimensione Ignoto

Gli Anasazi

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Gli Anasazi (dalla lingua navajo antichi),
furono un popolo nativo del Nord America,
vissuto tra il VII secolo e la fine del XIV.
Tracce archeologiche di questa cultura
si ritrovano già nel 1500 a.C.,
ma la civiltà fiori nel X secolo d.C.,
in tutta la zona che corrisponde oggi
al confine incrociato di Utah, Colorado,
Arizona e Nuovo Messico.
Riuscirono a costruire un'economia florida
basata sulla caccia e su un'efficiente pianificazione agricola.
Vivevano in villaggi caratterizzati spesso
dall'architettura monumentale.
Gli Anasazi avevano una conoscenza dell'astronomia.
Una delle caratteristiche delle loro costruzioni
è che sono sempre allineate
secondo determinati fenomeni astronomici.
Si sono fatte risalire le loro origini a più di 6000 anni fa
mentre, in realtà, non se ne hanno notizie
antecedenti ai 2000 anni fa.

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La storia del misterioso popolo proveniente dall'Asia insediatesi nel continente americano circa 12.000 anni fa.


Nessuno sa esattamente come si chiamasse quel popolo: oggi tutti lo conoscono con il nome di Anasazi che, in lingua navajo, significa “gli antichi stranieri".

Le prime tracce degli Anasazi risalgono a circa 12.000 anni fa, quando le popolazioni dell’Asia attraversarono lo Stretto di Bering a caccia di mammuth, per poi discendere lungo il continente americano e stabilirsi nell'area che oggi corrisponde approssimativamente agli Stati di Utah, Colorado, Nevada, Arizona e New Mexico, anche se i ritrovamenti più importanti si concentrano particolarmente nella zona di Mesa Verde, nel Colorado.


Il primo uomo che segnalò l’esistenza di questo popolo fu il fotografo William Henry Jackson, nel 1877, quando con sua grande sorpresa si trovò di fronte ai resti di costruzioni di grandi proporzioni nel Chaco Canyon: palazzi molto diversi rispetto alle modeste abitazioni delle popolazioni indiane di quel tempo.



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Come pure di grandi proporzioni era la rete stradale, scoperta però solo successivamente, quando cominciarono a solcare i cieli dell'America piloti come Charles Lindbergh, il pioniere dell’aviazione.


Resta tuttavia ancora un mistero la ragione per cui una popolazione sprovvista di veicoli avesse bisogno di un sistema viario paragonabile a quello dell'antica Roma.


Gli enigmi lasciati in sospeso dagli Anasazi non hanno nulla da invidiare a quelli su cui gli archeologi dibattono da lungo tempo a proposito delle civiltà precolombiane dell’America Centrale.


Sorprendenti sono ad esempio le nozioni di astronomia degli Anasazi, ricostruite grazie alla scoperta nel 1977 di un osservatorio solare situato sulla sommità del monte Fajada Butte: qui si rinvennero delle fessure intagliate nella roccia, grazie alle quali una lama di luce veniva proiettata su un petroglifo, indicando con stupefacente precisione solstizi ed equinozi.



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Il monte Fajada Butte





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Una delle incisioni degli Anasazi
ritrovate nel monte Fajada Butte

La civiltà Anasazi raggiunse probabilmente il suo massimo splendore tra il 900 e il 1000 dopo Cristo, per poi decadere, forse a causa delle avverse condizioni climatiche. Legati alla loro storia sono i Mogollon, che con gli Anasazi condivisero l’artigianato della ceramica.

Tipici sono i piatti mortuari ritrovati nella valle di Mimbres. Uno di essi raffigura una decapitazione rituale, forse di ispirazione azteca; un altro un uomo in veste di pipistrello, quasi un Batman ante litteram.

Nonostante i nativi americani dell’area, cioè le tribù Apache, Navajo, Pueblo e Hopi, abbiano conservato alcune tradizioni degli Anasazi, anche per loro questi ultimi restano un mistero. Sono gli “antichi stranieri” e i loro segreti sono sepolti con loro nei deserti del Southwest.




La misteriosa scomparsa degli Anasazi.



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Dana Scully nella Serie TV X-Files
in una scena dell'episodio dedicato
alla sparizione degli Anasazi

Nel Sud-Ovest degli Stati Uniti, dove si incrociano le frontiere dell’Arizona, Nuovo Messico, Utah e Colorado, giacciono le spettacolari rovine di una delle culture indiane più enigmatiche del nord-America: gli Anasazi, termine Navajo che sta per antichi (o, secondo altre interpretazioni, antenati nemici.

I resti dei loro villaggi – “Grandi Case” – dove si ergono edifici anche a più piani con centinaia di camere, ci rivelano una cultura parecchio evoluta vissuta in un periodo storico che va dall’inizio dell’era cristiana fino al XIV sec. d. C. … allorchè cessò improvvisamente per cause ancora misteriose.



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La Storia



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I loro attuali discendenti sono diverse tribù indiane come ad esempio gli Hopi. Si sa comunque che gli Anasazi erano un popolo sedentario e dedito all’agricoltura.

Il loro periodo più florido fu quello tra il IX sec. d. C. ed il 1200, epoca alla quale appartengono i loro insediamenti più significativi nel Chaco Canyon, una formazione naturale lunga all’incirca 19 km nel Nuovo Messico. Fra i molti centri all’interno di questo Canyon ne spicca uno in particolare: Pueblo Bonito.

I reperti archeologici di questa località presentano ancora aspetti poco chiari.

Tutto il complesso è costituito da un unico grande edificio a forma di ferro di cavallo e suddiviso in quattro-cinque piani con 700-800 stanze. Accanto ad esso si trovano due grandi fosse circolari più altre 37 di dimensioni minori. Queste costruzioni chiamate in lingua hopi “kiva”, presentano al loro interno come caratteristica comune un foro al centro, probabilmente un focolare.

Gli archeologi ritengono che Pueblo Bonito avesse sia la funzione di capitale religiosa come anche quella di alloggio per i numerosi pellegrini provenienti da fuori per le periodiche festività.

Anche ai kivas viene assegnato un ruolo religioso e cerimoniale. Secondo le tradizioni orali hopi questi venivano utilizzati per rievocare il “ritorno alla luce” dei loro antenati, dopo essere rimasti nascosti in grotte sotterranee in seguito ad uno spaventoso diluvio.

Un altro aspetto enigmatico di questa località è costituito da una serie di raffigurazioni sulle rocce circostanti che ritraggono piedi con sei dita. Sebbene altri esempi di questo tipo si trovino anche in altre zone, il loro significato è ancora sconosciuto.



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Pueblo Bonito, una Grande Casa Chacoana







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Grazie alla loro evoluta organizzazione economica, gli Anasazi dovevano rappresentare una società numericamente rilevante, con parecchie migliaia di abitanti come testimoniato anche dall’entità delle rovine, e con una cultura alquanto complessa e raffinata.

Produssero un genere di ceramica molto ricercata e gioielli di pietra turchese il cui maggiore centro di produzione era proprio nel Chaco Canyon. Inoltre alcune raffigurazioni pittoriche su pareti di roccia adiacenti ai villaggi testimoniano il loro interesse per i fenomeni celesti.

A Penasco Blanco, un altro grande insediamento, alcuni pittogrammi su roccia raffigurano il sole e la luna insieme ad altre immagini che secondo alcuni studiosi potrebbero riferirsi alla supernova del 1054 ed alla cometa di Halley del 1066. Secondo l’opinione di una nota studiosa del sito di Chaco Canyon, Anna Sofaer, tutte le maggiori costruzioni degli Anasazi, come ad esempio il grande kiva di Casa Rinconada, presentano significative connessioni con i fenomeni astronomici solari e lunari.



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Casa Rinconada: l’orologio astronomico degli Anasazi



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Il Chaco Canyon

Nel sito di Fajada Butte, inoltre, le ombre del sole e della luna si proiettano su alcuni petroglifi a forma di spirale durante i solstizi, gli equinozi, e le fasi lunari.

L’attenzione di questo popolo per l’astronomia potrebbe sembrare logica essendo la loro economia fondata sull’agricoltura e quindi anche sui cicli meteorologici stagionali.

Ma come vedremo più avanti essa presenta anche aspetti di ossessivo perfezionismo difficili da interpretare.

Il fattore base che consentì agli Anasazi di crescere e svilupparsi anche culturalmente fu naturalmente l’alta produttività agricola.

L’epoca di maggior prosperità di questo popolo fu infatti caratterizzata in tutto il pianeta da favorevoli mutamenti climatici che condizionarono in maniera fondamentale tutte le piccole e grandi civiltà del mondo.

A partire infatti dalla seconda metà del IX secolo il clima, che era rimasto tendenzialmente freddo fin dalla tarda epoca romana, divenne mediamente più caldo e ottimale.



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La natura diventò un po’ più generosa ed il sudore dei contadini in ogni parte del mondo venne maggiormente ricompensato.
Le maggiori risorse alimentari consentirono alla gente di nutrire meglio se stessi ed i propri figli, e ciò significò sia una maggior resistenza a tutte le malattie, sia soprattutto una significativa riduzione della mortalità infantile.
Dovunque vi fossero civiltà organizzate e fondate sull’agricoltura – in Europa, in Cina, in India, ecc. – si verificò un trend positivo di crescita demografica che sarebbe continuato fino alla fine del Duecento.



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Anche presso gli Anasazi, si dovette assistere ad un significativo incremento demografico che non mancò di influenzare, oltre che l’espansione urbana, la struttura sociale e la sua stessa dinamica. Alcune tradizioni Navajo relative a Pueblo Bonito parlano di un personaggio, chiamato “il Giocatore”, che sarebbe riuscito a sottomettere tutti gli altri suoi concittadini per mezzo di incantesimi e stregonerie.
Sfruttando il suo potere avrebbe fatto costruire un gran numero di edifici prima di venire a sua volta detronizzato e decapitato in seguito ad una rivolta.
Leggende a parte, la maggioranza degli studiosi ritiene che Chaco Canyon fosse governata da re-sacerdoti che si occupavano oltre che della vita religiosa anche degli aspetti più materiali, in particolare dell’approvvigionamento alimentare.
La vitale responsabilità di garantire una sufficiente produttività agricola ad un gran numero di famiglie dovette certamente ricadere sulle figure sacerdotali che, così come pregavano per l’abbondanza dei raccolti, si adoperavano anche per la costruzione e la manutenzione di dighe, canali, ed altre opere di drenaggio scoperti dagli archeologi negli anni ’70 del secolo scorso.
Probabilmente però non si limitarono a questo ma – come diremmo oggi – promossero anche l’immagine di Chaco Canyon in tutto il territorio circostante.



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Una donna Anansi...

Uno studio effettuato recentemente dall’Università del Colorado ha dimostrato che a Chaco Canyon giungeva molto granturco anche da fuori tramite un sistema di strade lungo almeno 400 miglia che collegava il centro degli Anasazi a più di 150 altre località tutt’attorno.

Inoltre, come dimostrerebbe il ritrovamento di penne ornamentali di pappagalli ed altri uccelli, pare che attraverso queste vie giungessero merci anche dal Messico settentrionale.

Ciò dimostra ancora una volta l’alto livello tecnico ed organizzativo di questo popolo.
Fra queste strade spicca, in particolare, la cosiddetta “Grande strada del nord”, il cui tratto principale lungo una ventina di chilometri è orientato sull’asse nord-sud con una tale precisione che oggi può essere superata solo con i moderni sistemi satellitari.
Anche altri aspetti relativi a queste strade rappresentano un vero rompicapo per i ricercatori.

Nelle vicinanze degli insediamenti esse sono larghe anche 8-10 metri il che è strano per una cultura che, come tutte quelle americane, non utilizzava né carri su ruote né bestie da soma.
Inoltre numerose strade sembrano avere l’unica funzione di collegare gli insediamenti ed i kivas con sorgenti d’acqua o particolari luoghi sacri.
Ciò porta ad immaginare che molte brevi strade nonché alcuni tratti di quelle più lunghe fossero usate per scopi religiosi, in primo luogo per grandi e solenni processioni con migliaia di partecipanti.



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Secondo una delle ultime scoperte, sembra inoltre che durante le cerimonie religiose gli Anasazi praticassero il cannibalismo rituale. Esami di feci fossili e di residui di cottura hanno recentemente confermato il sospetto che gli archeologi avevano sin dagli anni sessanta dopo il ritrovamento di crani fratturati e di ossa private del midollo.

All’apice del suo splendore, insomma, Chaco Canyon pare abbia assunto, sempre secondo l’opinione prevalente dei ricercatori, anche una funzione politico-amministrativa di un vasto territorio con decine di migliaia di abitanti. Tanto le strade quanto i periodici raduni di pellegrini durante le festività religiose avrebbero garantito la coesione socio-culturale di una così vasta entità statale.

Tutto quanto detto fin qui in realtà è solo la ricostruzione più probabile della struttura socio-economica e dello stile di vita degli Anasazi. Non avendo questo popolo lasciato testimonianze scritte di alcun genere gli studiosi sono costretti a basarsi unicamente sui reperti archeologici e sui modelli socioculturali di analoghe civiltà.

Ed ovviamente sono ancora molti gli interrogativi ed i punti pochi chiari.

Ma il vero fascino degli Anasazi forse sta nel fatto che i tanti elementi ancora da chiarire fino a questo punto della loro storia (il XII sec. d. C.) sembrano dettagli accademici di fronte ai ben più sorprendenti misteri che accompagnano il loro declino e la loro scomparsa.

Quando nel 1888 due cow boy capitarono per caso nel Chaco Canyon, scoprendo così il centro principale di questo popolo, si trovarono di fronte ad un luogo – come riferirono in seguito – dove la vita sembrava essersi fermata all’improvviso. Oggetti, utensili, stoviglie, erano ancora intatti e lasciati ordinatamente nelle stanze dove erano stati usati per l’ultima volta. Solo gli abitanti sembravano improvvisamente scomparsi.



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Comunque sia, è un fatto che nella seconda metà del XIII secolo la vita a Chaco Canyon cessò del tutto, il sito da quel momento in poi rimase disabitato, mentre sopravvissero fino al secolo successivo altri centri sempre degli Anasazi, a nord ed a sud dell’antica capitale.

Recentemente l’archeologo americano Stephen H. Lekson confrontando fra loro le date di termine ed inizio delle nuove culture dopo Chaco Canyon ha scoperto che queste sono in rapida successione.
In altre parole, questo popolo, o almeno parte di esso, si sarebbe spostato più volte per fondare altri centri per poi abbandonarli nuovamente.
La migrazioni sarebbero avvenute prima verso nord verso le località oggi chiamate Aztec Ruins e Salomon Ruins, poi verso sud, addirittura a 620 chilometri da Chaco Canyon, in una località chiamata Casas Grandes che oggi si trova in territorio messicano.
I motivi dell’abbandono di Chaco Canyon e delle successive migrazioni rimangono ancora oggi incomprensibili.
L’ipotesi più probabile vuole che gli Anasazi, come accaduto anche per altre culture, siano rimasti sostanzialmente vittime del loro stesso successo.
Una popolazione così numerosa e strettamente dipendente dall’agricoltura risultava inevitabilmente esposta sia ad improvvise carenze di risorse per soprannumero sia alle variazioni climatiche anche di breve periodo.



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Se come sembra la regione venne colpita da improvvise siccità sin dalla metà del XII sec., questo dovette sicuramente mandare in crisi i rapporti con tutte quelle località dalle quali gli abitanti di Chaco Canyon ricevevano grano.

Come suggeriscono anche le opere di fortificazione di altri insediamenti come Mesa Verde, non è escluso che dovessero far fronte anche a conflitti ed attacchi da parte di altre popolazioni indiane colpite anch’esse dalla carestia. Inoltre è da sottolineare che proprio alla fine del 1200 si ebbero le prime avvisaglie di un nuovo cambiamento climatico planetario. Le temperature medie scesero e questo rese più difficile la produttività agricola anche nelle civiltà meglio organizzate come la Cina e l’Europa (che già all’inizio del XIV sec. cominciarono a subire le prime gravi carestie dopo secoli di relativa tranquillità).

Anche le analisi dei resti ossei degli Anasazi dimostrano come nell’ultima periodo della loro storia questi abbiano sofferto di malnutrizione e aumento della mortalità infantile. Ma anche qui le ricerche danno risultati contraddittori.

Uno studio della dottoressa Van West, ad esempio, ha provato che in realtà in questa fase, nonostante la siccità, queste genti riuscivano ancora a produrre tutto il granturco di cui avevano bisogno. Ma allora perché erano così malridotti?



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Sempre il medesimo archeologo Stephen Lekson è rimasto sorpreso da un’altra sconcertante osservazione.

Le quattro principali località degli Anasazi coinvolte nelle migrazioni – appunto Chaco Canyon, Aztec Ruins, Salomon Ruins ed infine Casas Grandes all’estremo sud – si trovano perfettamente allineate lungo uno stesso asse nord-sud che poi coincide attualmente con il meridiano 108 ad ovest di Greenwich.

Stephen Lekson ha naturalmente escluso che possa trattarsi di un caso anche perché osservando meglio l’urbanistica di Pueblo Bonito nel Chaco Canyon si sono riscontrati numerosi esempi di allineamenti lungo lo stesso meridiano.

La prima domanda che si sono posti gli studiosi è naturalmente come siano riusciti gli Anasazi a mantenere un allineamento geografico così perfetto anche a parecchie centinaia di chilometri di distanza tra una località e l’altra.

Naturalmente non conoscevano la bussola, ma anche se per assurdo l’avessero usata, questo strumento li avrebbe indotti in errore a causa dello scarto tra il polo nord magnetico (verso cui punta la bussola) e quello geografico.



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Si pensa che abbiano effettuato lunghe e pazienti osservazioni del cielo notturno al fine di rilevare l’esatta direzione del nord, ed a tal scopo si sarebbero serviti anche di sofisticati attrezzi di legno per seguire il movimento delle stelle attorno al polo celeste per poi determinarne esattamente il centro.

A rendere più difficile l’operazione interveniva il fatto che a quell’epoca, a causa della precessione degli equinozi, né la stella polare né nessun’altra stella indicava il nord come avviene oggi.

Infine il perfetto allineamento con la strada già percorsa poteva anche essere garantito, con tutta probabilità, dall’osservazione di fuochi posti ad una certa distanza sempre durante le ore notturne.

L’altro interrogativo che si pongono gli archeologi è naturalmente il significato di tutto ciò. Perché darsi tanta pena per muoversi esattamente e perfettamente lungo quella direzione e costruire nuovi insediamenti esclusivamente su quel meridiano ?



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Nonostante qui si brancoli totalmente nel buio più che per qualsiasi altro enigma, forse può venirci in aiuto la storia comparata delle religioni.

Presso i popoli antichi non era affatto raro, anzi era buona consuetudine affidarsi scrupolosamente alle proprie tradizioni magico-religiose prima di procedere alla fondazione di nuove città.

C’erano da scongiurare i pericoli del viaggio, la possibile ostilità dei nuovi vicini, il rischio di insediarsi in un territorio inadatto e poco fertile. Se non altro si cercava di far di tutto per superare la paura dell’ignoto e partire con la giusta determinazione.

Possiamo dunque supporre che gli Anasazi considerassero di fondamentale buon auspicio mantenersi perfettamente allineati sia con l’asse nord-sud, sia contemporaneamente con Pueblo Bonito, la loro antica capitale religiosa di cui intendevano serbarne sia la memoria sia il valore.

Il fatto di viaggiare sul meridiano 108 sarebbe stato allora solo un caso determinato dalla necessità di rimanere allineati contemporaneamente sia con il loro principale santuario sia con la direzione nord che, anche secondo studiosi come Fritz e Malville, gli Anasazi dovevano considerare come “asse del mondo” e soprattutto “luogo d’origine” dei propri antenati.

Ma anche qui non è detto che un’ipotesi di questo tipo riesca a far quadrare tutto.



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Ad esempio vi sono anche ricercatori (come ad esempio Wilcox) convinti che Aztec Ruins sia stata costruita come capitale religiosa alternativa in contrapposizione a Chaco Canyon.

E tutto ciò in un clima di dissenso e decadenza delle forme religiose tradizionali.

Ma allora perché continuare nell’ossessiva ricerca del perfetto allineamento con Pueblo Bonito lungo l’asse nord-sud ?

E se a rendere particolarmente sacro proprio quel meridiano fosse stato un motivo differente ?

Come affermano gli stessi archeologi sono tutte questioni ancora completamente aperte.

Forse solo ulteriori indagini archeologiche potranno portare ulteriori elementi per chiarire questi misteri.

Guardando una cartina dell’Isola di Pasqua che riporta anche le coordinate geografiche si può osservare che il medesimo meridiano 108 Ovest “sfiora” la sua costa orientale all’incirca ad un chilometro di distanza.

In altre parole, sulla carta geografica le città degli Anasazi oltre che tra loro sono lontanamente allineate anche con l’Isola di Pasqua.



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Non si tratta di una semplice coincidenza.

C'è più di un elemento o fondato motivo per collegare gli Anasazi con quell’isola, a partire, da una “curiosità artistica”: sul dorso di qualcuna delle caratteristiche statue dell’Isola di Pasqua – i cosiddetti “Moai” – sono scolpiti uomini-uccello che hanno piedi con sei dita, come i petroglifi di Pueblo Bonito.

Naturalmente è troppo poco per vederci un legame.

Tuttavia esistono teorie cosiddette “eretiche” di alcuni ricercatori indipendenti, quali Graham Hancock, Robert Bauval e John Anthony West che sostengono, sulla base di testimonianze archeologiche e mitologiche raccolte in tutto il mondo, che prima della fine dell’ultima era glaciale, cioè più o meno 12.000 anni fa, sarebbe esistita una grande civiltà marinara capace di raggiungere con le sue navi e le sue conoscenze ogni punto del globo.

In molte parti del mondo essa avrebbe lasciato varie testimonianze architettoniche, come per esempio la Sfinge e le piramidi in Egitto o le mura ciclopiche in Perù, prima di venir completamente spazzata via da una catastrofe planetaria che avrebbe accompagnato la fine dell’era glaciale.

I superstiti dopo essere riusciti a scampare agli sconvolgimenti provocati dall’improvviso innalzamento del livello dei mari, e quindi all’inabissamento di intere regioni, si sarebbero spostati in zone geografiche più sicure dando luogo ad una fitta rete di migrazioni.



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Essi avrebbero però portato con loro anche un complesso di conoscenze astronomiche e matematiche che avrebbero lasciato come retaggio alle generazioni successive insieme al racconto dell’immane catastrofe naturale – “il diluvio universale”.

In Europa ed in Egitto queste teorie sono state rifiutate da tutti gli studiosi ed i ricercatori ufficiali.

E questo nonostante che negli ultimi anni vi siano stati numerosi ritrovamenti di rovine e città sommerse, antiche di parecchie migliaia di anni, in diverse parti del mondo – nell’Oceano Indiano, nei mari del Giappone, nel Mar dei Caraibi, ecc.

In Asia ed in America al contrario esiste una minoranza di studiosi ed accademici anche noti disposti a rivedere la storia e la preistoria delle società antiche a cominciare dalla questione del popolamento delle Americhe.

Fino a poco tempo fa si riteneva infatti che le migrazioni umane nel Nuovo Mondo fossero iniziate un paio di millenni prima della fine dell’ultima era glaciale tramite il ponte di ghiacci che univa la Siberia all’Alaska.

Tuttavia nuovi ritrovamenti archeologici e analisi del DNA hanno portato a retrodatare di molto il popolamento delle Americhe fino ad una data superiore al 20000 a. C. (per alcuni anche 30000 a. C.).



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Cosa ancora più sorprendente le prime migrazioni sarebbero state effettuate, anche attraverso l’Oceano Pacifico, non da popoli di etnia asiatica (come i pellerossa) ma da genti di tipo caucasico dalla pelle bianca come gli Ainu, il gruppo etnico di pelle chiara che risiede oggi nella più settentrionale delle isole giapponesi, Hokkaido. Secondo alcuni studiosi proprio gli antenati degli Ainu avrebbero popolato per primi le due Americhe, e forse avrebbero creato un grande impero marittimo pre-diluviano esteso in tutto l’Oceano Pacifico dal Giappone fino al versante occidentale dei due continenti americani, Isola di Pasqua compresa.

Quello che interessa è che fra il retaggio di conoscenze che sarebbero sopravvissute alla fine di questa grande civiltà, sempre secondo gli studiosi alternativi, vi sarebbero state anche le informazioni geografiche relative ad ogni regione del pianeta, come rilevate in età glaciale, cioè con il livello dei mari più basso. Gelosamente custodite e tramandate di generazione in generazione attraverso i millenni, queste mappe sarebbero giunte fino in età umanistico-rinascimentale per poi servire come base per la produzione dei portolani cinquecenteschi.

Prendendo per vera questa ricostruzione, quegli antichi navigatori ed i loro cartografi avrebbero dovuto orientarsi tramite una griglia di coordinate equivalenti ai nostri paralleli e meridiani.

E naturalmente stabilire in maniera inequivocabile un parallelo zero ed un meridiano zero.

La circonferenza equatoriale avrebbe naturalmente rappresentato il parallelo di partenza come avviene anche oggi.



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Ma il meridiano zero sarebbe stato necessario sceglierlo in maniera arbitraria fra i 360 che suddividono il globo terracqueo.

Nelle nostre carte geografiche esso è rappresentato dal meridiano che passa per l’osservatorio londinese di Greenwich.

Al tempo dell’antichissimo impero marittimo degli Ainu sarebbe stato certamente preso in considerazione qualche altro meridiano.

L'ipotesi prevalente sul mistero degli Anasazi è che il loro meridiano zero fosse proprio il meridiano 108, quello passante cioè per l’Isola di Pasqua e per gli insediamenti degli Anasazi.

Così come avviene oggi con il meridiano inglese, esso sarebbe servito a determinare la longitudine di un qualsiasi punto geografico fino a 180 gradi est (verso l’America del Sud e la costa atlantica dell’America settentrionale) oppure 180 gradi ovest (verso il Pacifico e l’Asia) a seconda di dove ci si trovava rispetto ad esso.

Coerentemente con questa teoria interviene un’altra curiosa osservazione.

Il meridiano esattamente opposto ad esso, a 180 gradi di distanza est ed ovest (attualmente il 72°), passa per la regione del fiume Indo in Pakistan, sede anch’essa di un’antica ed evoluta civiltà anche se molto più recente (III millennio a. C.).



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Mohenjo Daro, Pakistan



view post Posted: 6/8/2012, 19:54     Castiglione di Sicilia - I Borghi più belli d'Italia

Castiglione di Sicilia

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Tra l'Alcantara e l'Etna

Il nome di questo borgo siciliano risale al 1092
da Castrileonis e significa “castello grande”:
il suffisso accrescitivo aggiunto al latino medievale
castellum indica regalità, come appare anche nello stemma comunale,
che comprende un castello e due leoni accovacciati.




Castiglione di Sicilia, un presepe tra l'Etna e l'Alcantara, incastonato tra boschi di castagni, noccioleti e querce, sorge su una collina di roccia arenaria tra Randazzo e Taormina. La sua altezza è di circa 600 metri sul livello del mare, conta 4560 abitanti, ma ha una densità di popolazione tra le più basse della provincia di Catania.



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LA STORIA



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Le origini della città si perdono nella notte dei tempi, anche se numerosi studiosi hanno fissato la sua fondazione al 403 a.C. quando i Nassi, sconfitti da Dionisio di Siracusa, risalirono il fiume Akesine, cioè l'Alcantara, accrescendo con molta probabilità gli sparuti insediamenti già esistenti nella contrada Imbischi-Acquafredda e a Francavilla, luoghi in cui recenti scavi hanno messo in evidenza vere e proprie città e fra l'altro i ruderi di un santuario dedicato al culto di Persefone.
Scarse sono invece le testimonianze dell'epoca romana, come pochissimo sappiamo del periodo delle invasioni barbariche.

Nel 535, però, la Sicilia viene occupata dai greci bizantini, che risvegliano la cultura e l'economia dell'isola e della nostra vallata. Loro palese testimonianza sono i numerosi tempietti rustici, detti Cube, tra cui quello di Santa Domenica a Castiglione, quello integro di Malvagna e quelli ridotti a semplici ruderi nei pressi di Randazzo.

L'attuale Castiglione sorge nel pieno Medioevo (sec. XII) in seguito alla cacciata degli Arabi da parte dei Normanni, i quali diedero inizio ad una espansione demografica e fondarono numerose città e monasteri. Ciò è attestato non solo dalla pianta irregolare del paese e dalla sua posizione, ma anche da alcune testimonianze architettoniche, come il Castello o il Cannizzo, che costituivano dei solidi baluardi difensivi.
Come molti paesi sorti nel Medioevo Castiglione era cinto da mura e diviso in quartieri. Le mura avevano nove porte, di cui rimangono scarse testimonianze ma si conservano i nomi, come quelle dello Speziale, del Castello, della Pagana, della Iudecca, del Portello, della Bocceria, di San Pietro, di San Martino e del Re. I quartieri storici, che si trovavano entro le mura, sono quelli di San Pietro, Santa Maria, San Basilio, San Marco, Santa Caterina, Sant'Antonio Abate e dei Cameni. Fuori le mura erano invece i borghi di Santa Barbara, della Fontana Vecchia, di San Martino e della Pattina, detto anche Burguru.

1233, re Federico II di Svevia concede a Castiglione di chiamarsi Civitas Animosa, rinnovandole il privilegio di battere moneta.



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Un dettaglio delle Gole dell'Alcantara



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Castello di Castiglione di Sicilia

1301, Federico di Aragona, re di Sicilia, toglie il feudo a Ruggero di Lauria, ammiraglio al servizio dei sovrani aragonesi, che nella guerra dei Vespri, iniziata nel 1282, aveva contribuito a cacciare gli angioini dall'isola; Ruggero cade in disgrazia per l'appoggio dato a Giacomo di Aragona, erede al trono di Spagna, in conflitto con il legittimo erede del regno di Sicilia, Federico III, che occupa Castiglione dopo alcuni mesi d'assedio.

Nel 1373, Castiglione, dopo aver fatto parte della Camera della Regina e quindi aver goduto di una certa libertà, venne concessa in baronia a Pirrone Gioeni e poi riconfermata a Giovanni Tommaso Gioeni nel 1517 come marchesato.

Infine Tommaso Gioeni nel 1602 venne nominato dal re di Spagna Filippo III primo principe di Castiglione.

Il sistema feudale, venuto nuovamente in auge con gli spagnoli, determinò una lenta ma inesorabile decadenza di Castiglione, finché nel 1612 l'animo orgoglioso ed intraprendente dei suoi cittadini non riacquistò le sue libertà civiche attraverso il riscatto del mero e misto impero, cioè il diritto di esercitare la giurisdizione civile e criminale. La maggiore libertà permise la formazione di una borghesia terriera e di un apprezzabile sviluppo urbanistico, come attesta la costruzione di alcuni palazzi e di alcune chiese, sparsi lungo la via Regina Margherita, in piazza Lauria e in piazza Sant'Antonio Abate: il palazzo Camardi, il palazzo Imbesi già dei Tuccari, il palazzo Sardo, la sede del Peculio poi modificato in Municipio, il palazzo Saglimbeni, il monastero delle Benedettine, l'ospedale San Giovanni di Dio, la chiesa di Sant'Antonio Abate, la chiesa di San Giacomo e molte ville di campagna.



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Ma, malgrado l'apparente floridità economica, nel XVII e XVIII secolo continuarono a verificarsi ricorrenti carestie.

Nel 1636 si fondò perciò il Peculio, una istituzione che aveva lo scopo di creare un patrimonio comunale che permettesse l'acquisto di una quantità di frumento bastante al consumo della locale popolazione, frumento che nei casi di necessità sarebbe stato rivenduto ad un prezzo politico.

Ricchezza e povertà, carestia e abbondanza, incremento demografico e sviluppo urbanistico, furono le contraddizioni più vistose di questi due secoli. La vita della povera gente, che abitava le nostre contrade, non era certo da invidiare. I più erano costretti a lottare giorno per giorno con la morte. Il pane, alimento fondamentale della dieta dei poveri, spesso non era fatto con farina di frumento, ma con altri cereali, come segale e mais, e condito con pomodori, cipolle, formaggio, frutta, verdura, mentre la carne veniva consumata solo per le feste.



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Ad alleviare le sofferenze dei poveri erano spesso le istituzioni religiose.
Fiorivano, infatti, diversi ordini monastici, come gli Agostiniani, che nel 1610 avevano fondato il monastero dell'alto Milio fuori paese, trasferendosi poi nel 1648 in città; i Carmelitani, che costruirono il loro convento nei pressi della chiesa di San Martino, poi intitolata alla Madonna del Carmelo; i Cassinesi, la cui abazia si trovava nei pressi della chiesa di San Nicola sotto il titolo della Trinità; e infine le Benedettine, che gestivano un orfanotrofio.
Nel 1860 viva fu la partecipazione alla causa dell'unità d'Italia, preparata da logge massoniche. Si aspettava anche qui da parte dei contadini una divisione delle terre. Sorsero vari tumulti, un manifestante venne ucciso, ma Nino Bixio ordinò al maggiore Dezza: «Vi do piena facoltà: arrestate e tenete prigionieri i rivoltosi».
Grande fu il tributo di sangue offerto dai castiglionesi durante la grande guerra (1915-'18), ma ancora più grande lo fu durante la seconda guerra mondiale, quando il 12 agosto 1943 il generale Rodt, comandante della XVI divisione Granatieri, entrava in Castiglione per compiere il primo vero eccidio nazista in terra italiana. Sedici inermi cittadini vennero massacrati senza un perché, mentre altri circa 200 vennero presi in ostaggio.



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La Famiglia Savoia in visita a Castiglione nei primi anni del '900


Il Centro Storico


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L'abitato di Castiglione è posto su luna collina che domina la sponda sud del fiume Alcantara.

Si presenta dunque come un tipico centro d'altura, con le case disposte lungo un ripido pendio.

Nel punto più alto si confrontano le sedi del potere civile e religioso.

La visita al centro storico può iniziare dalla via Regina Margherita, che con il suo lastricato lavico conduce a piazza Lauria: qui, la semplice costruzione del Municipio, d'inizio Novecento, sorge sul luogo dell'antico Peculio, che consentiva la sopravvivenza dei cittadini negli anni delle carestie.

Si arriva in salita a un'altra I piazzetta, intitolata a Sant'Antonio, in uno dei quartieri più antichi di Castiglione, quello dei Cameni.

Qui si trova la chiesa di Sant'Antonio, la cui costruzione ha avuto inizio nel 1601.

Presenta una bella facciata barocca del 1796 e la cupola a bulbo.

In quest'area sono sparsi alcuni dei più importanti edifici civili, come i palazzi Camardi, Imbesi, Sardo e Saglimbeni.



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Dettaglio del Centro Storico



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Chiesa di Sant'Antonio

Dalla chiesa di Sant'Antonio, salendo per una ripida stradina si giunge dietro l'abside della chiesa di San Pietro, edificata nel 1105, secondo tradizione, per volontà del conte normanno Ruggero d'Altavilla, anche se la datazione potrebbe essere spostata in avanti fino al primo periodo svevo.

La parte absidale e il torrione in conci di lava e arenaria sono ciò che resta dell'edificio originario.

Accanto a San Pietro, sorge la chiesa settecentesca di San Benedetto con annesso monastero.

Da piazza Lauria si scende lungo la via Federico II per visitare la chiesa di San Marco di origine normanna (XII secolo) e quindi si sale una ripida scalinata che conduce ai ruderi di una fortificazione coeva o - più probabilmente - bizantina, chiamata Castelluccio (Castidduzzu), la quale era collegata al castello di Lauria e a un altro avamposto identificabile con la chiesa di San Pietro, attraverso passaggi sotterranei.

Sempre da piazza Lauria una panoramica strada conduce verso la basilica della Madonna della Catena, la chiesa più importante del paese.

Iniziata nel 1655, è preceduta da una bellissima scalinata e presenta una monumentale facciata barocca realizzata da Baldassarre Greco, cui si deve anche la statua di San Filippo (1744).

Notevole, all'interno, è la statua della Madonna della Catena in marmo bianco di Carrara, attribuita alla scuola dei Gagini.

La particolare grazia dell'opera fa pensare a Giacomo Gagini, che per alcuni anni fu allievo di Michelangelo.

Più avanti, posto su una rupe d'arenaria, il castello di Ruggero di Lauria è di quasi certa origine normanno-sveva (secolo XII).



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La "Cuba" Bizantina

La sua importanza nelle epoche passate è tale da aver dato il nome al paese.

Uscendo dal borgo e prendendo la via San,Vincenzo, si trova un'altra fortificazione: un torrione cilindrico noto come Cannizzu risalente al XII secolo e simbolo della città di Castiglione. Vicino troviamo la chiesetta di San Vincenzo Ferreri, originariamente appartenente a un'abbazia di monaci benedettini cassinensi.

Proseguendo lungo la strada per Francatila di Sicilia, appena superato il ponte sull’Alcantara incontriamo la chiesa di San Nicola, edificata anch'essa in epoca normanna tra il XII e il XIII secolo.

Nell'abside sono stati scoperti affreschi di stile bizantino.

Poco più a ovest, in direzione di Randazzo e in aperta campagna, si trova una delle più interessanti testimonianze dell'architettura bizantina siciliana, la cuba di Santa Domenica.

Le cube sono le cappelle erette da monaci basiliani tra il VII e il IX secolo.

Questa di Castiglione, del VII secolo, è a croce greca con pianta quadrata e, come San Nicola, ha l'abside rivolta a oriente e la porta centrale a occidente.



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La "Cuba" vista dall'alto

Altri motivi di apprezzamento



Il borgo si trova a oltre 600 metri d'altitudine, ma il territorio comunale comprende altezze molto diverse, che vanno dai 60 metri del punto più basso, a pochi km da Giardini-Naxos, ai 3348 del punto più alto, coincidente con la vetta del cratere nord-est dell'Etna. Di conseguenza, c'è una varietà di paesaggi che comprende l'imponente mole del vulcano con il suo clima alpino presso le cime; i boschi intorno alle sue basse falde; gli aranceti, i vigneti e i noccioleti a valle; le brulle lave e le gole dell'Alcantara.

Nel comune di Castiglione ricade la maggior parte del Parco regionale fluviale dell'Alcantara, uno dei più importanti fiumi siciliani, che deriva il suo nome dall'arabo al-Quantarah, "il ponte", a indicare il ponte romano in pietra lavica nei pressi di Calatabiano, ammirato dai conquistatori arabi. Il ietto del fiume è costituito da un sostrato roccioso di natura lavica, frutto di eventi sismici o di eruzioni vulcaniche che incanalarono magma fluido, da cui derivano gli attuali colonnati basaltici.

Le profonde voragini note come le "gole dell'Alcantara" sono dunque blocchi di basalto scavati dall’acqua, somiglianti a un canyon.
Le colate laviche uscite dalla bocca dei vulcani un milione d'anni fa, le creste dentellate che formano le pareti rocciose a forte pendenza e le acque freddissime del fiume, hanno contribuito alla fama di queste gole alte fino a 50 metri.



:saluto:

view post Posted: 2/8/2012, 08:20     Sparx: videogame anti-depressivo - Psicologia

Sparx: videogame anti-depressivo

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Vincere umor nero e pensieri molesti
combattendoli sullo schermo di un
computer: è la filosofia di Sparx, un
programma di self help per ragazzi che
soffrono di depressione lieve moderata
realizzato dall’Università di Auckland in
Nuova Zelanda, un videogioco in 3 D nel
quale giovani guerrieri combattono contro
i mostruosi Gnat (ovvero: Gloomy Negative
Automatic Thoughts, pensieri cupi e
negativi fuori controllo).




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Se soffrite di depressione e le avete provate tutte, forse ancora non avete provato Sparx.

Si tratta di un videogioco, che per ora non si vende da nessuna parte ma è ancora in fase di prova all’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, in cui i nemici non sono dei mostri ma i pensieri negativi.

Sparx significa Smart Positive Active Realistic X-factor, ed aiuta gli adolescenti a cui è rivolto a far fronte ad ansie e paure. E a volte persino a sconfiggerle. ^_^

Tecnicamente è un mix tra un videogioco d’azione ed uno di strategia.

Per coinvolgere maggiormente gli adolescenti SPARX utilizza un’ambientazione in stile fantasy; il giocatore con il suo avatar personalizzato intraprenderà un lungo viaggio che lo porterà ad esplorare le sette province previste dalla mappa di gioco.

Il gioco alterna fasi di strategia, enigmi e sfide e fasi di combattimento dove il giocatore dovrà combattere contro gli Gnat acronimo di Gloomy Negative Automatic Thoughts, ovvero i pensieri negativi.





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Sconfiggendoli e superando le prove che vengono proposte il giocatore imparerà a controllare le proprie emozioni e a sconfiggere la sua depressione.

Secondo un articolo del “British Medical Journal”, il programma coordinato e realizzato da Sally Merry e Carolina Stasiak, ha dato buoni risultati in una sperimentazione che ha coinvolto 187 adolescenti in 24 centri di assistenza.

I pazienti che hanno utilizzato Sparx sono risultati meno depressi e con meno pensieri ansiosi di quanti hanno seguito una psicoterapia.

E il 44% dei ragazzi che hanno giocato almeno fino al 4 livello è stato considerato guarito, rispetto al 26% di quanti hanno seguito una psicoterapia.



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Sono risultati che dovrebbero indurre a usare con ancora più cautela gli psicofarmaci per curare i giovanissimi.

Come ha indicato uno studio dell’Università di Torino coordinato da Roberta Siliquini, ordinario di Epidemiologia: un adolescente su quattro
avrebbe assunto psicofarmaci almeno una volta nella vita, spesso senza prescrizione medica.

Un programma di self help come Sparx potrebbe essere un’alternativa economica e facilmente gestibile: è basato sui principi della psicologia cognitiva comportamentale, e strutturato in sette moduli corrispondenti a sette livelli di gioco che si possono completare in 4/7 settimane imparando a controllare le proprie emozioni: l’avatar di ciascun giocatore si muove in un’ambientazione fantasy combattendo mostri o altri ostacoli che simboleggiano i pensieri negativi o la difficoltà di gestire le emozioni o di affrontare le difficoltà.


Con questo non si è voluto affermare che il videogioco sia meglio della terapia medica. Infatti questo è stato utilizzato solo in pazienti che soffrivano di attacchi lievi di depressione e ansia, mentre per quelli con problemi gravi è il caso di continuare con la terapia tradizionale.

Ma ciò che risulta da questo studio, è che questo videogioco può affiancare il normale iter psicologico ed aiutarlo come fanno ad esempio altre tecniche come la musicoterapia, la cromoterapia, ecc.

Inoltre, anche se il numero dei partecipanti era nutrito, 187 in tutto con età inferiori ai 19 anni, non è scientificamente sufficiente per confermare la teoria, e sicuramente ci vorranno altri test per stabilire con certezza se il videogioco funziona.



Nel frattempo però se uscisse sul mercato siamo sicuri che non farebbe del male a nessuno. ^_^



Edited by filokalos - 2/8/2012, 18:47
view post Posted: 25/7/2012, 11:25     Passo a prenderti su... - L'Antro di Circe

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La generazione dei digital native
non ama più spostarsi nello spazio fisico,
ma predilige "contattarsi" nella dimensione virtuale.
Una ricerca ne rivela un'ulteriore conseguenza....


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I giovani preferiscono navigare su Internet, piuttosto che andarsi a fare un giro in macchina.


All'aumento delle vendite dei computer corrisponde una contrazione di licenze di guida (e dunque di auto).


Un rapporto inversamente proporzionale svelato grazie a uno studio della University of Michigan, condotto negli Stati Uniti e in altri paesi come Canada, Gran Bretagna, Germania, Giappone, Svezia, Norvegia e Corea del Sud.


Nel 1983, un terzo dei neopatentati americani aveva un’età inferiore ai trent'anni, oggi invece è solo il 22%, e tra i ventenni di allora il 94% aveva la patente (contro l’84% del 2008).




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Allego insieme al video un commento che mi è sembrato davvero esaustivo:
Facebook è il cancro di internet,e sta rincoglionendo un mondo intero sempre più virtuale e privo di valori.
Rimpiango gli anni 80/90,quando ci si conosceva e si approcciava in giro,
quando ci si lasciava il numero di tel di casa con persone alle quali si voleva veramente bene,
quando ci si sedeva intorno a un tavolo tra amici a giocare a Monopoli,
a Risiko,quando si scrivevano lettere d'amore alla fidazata o alla ragazza
che ci aveva rapito il cuore,e le si spedivano,quando esisteva una privacy... :ok:

Una tendezza al ribasso trasversale, che coinvolge paesi diversi per cultura e situazione economica.

Il mito delle quattro ruote soffre la concorrenza delle chat, la tastiera per spassarsela su Facebook e gli altri social network attira più del volante?

In parte, sì.

I sociologi dell’ateneo americano sottolineano infatti come spostarsi in macchina, trent’anni fa, fosse fondamentale per vedere gli amici e passare del tempo con loro, e la guida regalava un grande senso di libertà.

Ora le distanze si sono annullate, dal momento che basta un click per incontrarsi nella piazza virtuale del Web stando tranquillamente rilassati sul divano o in poltrona.

Non è la stessa cosa, certo, però qualcuno se ne accorgerà soltanto crescendo. Forse... :rolleyes:



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Ricerche di Marco Scafati


Edited by filokalos - 25/7/2012, 13:07
view post Posted: 18/7/2012, 07:58     +1SOTTO SOPRA - Imago

SOTTO SOPRA

micheacrawfordyamamayli

Così bello che è un vero peccato nasconderlo.
Il nuovo intimo gioca col gusto vintage.
Tra malizia e innocenza



"Give me all your luvin", canta Madonna in un suo recente video.

E fa spuntare sotto il mini pulì nero un reggiseno maculato, proprio lei che, negli anni '80, sdoganò l'intimo come capo di abbigliamento.

Oggi l'intramontabile guèpière è stata rivisitata in chiave contemporanea anche dallo stilista Giovanni Bedin, che disegna il marchio francese Worth: corsetti con stecche che segnano il punto vita e piacciono a dive anticonvenzionali come Charlize Theron...


:down:
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Fra culotte e perizoma, vestaglie e boxer, il mercato dell'underwear, comunque, segna un po' il passo: -1,7% la variazione della spesa complessiva nel 2011 per il comparto donna e -2,1% quella del settore maschile rispetto al 2010, secondo i dati forniti da Sistema Moda Italia.



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Completo fantasia microfloreale nei toni del giallo e del viola, formato da
reggiseno push-up (25,90 euro) e slip (12,90 euro).

Collezione Yamamay



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Claudio Taiana

Claudio Taiana, presidente della fiera europea dei produttori di tessuti per intimo, Maredimoda Intimodimoda, in programma a Cannes dal 6 al 9 novembre prossimi, spiega:«Il consumatore acquista capi meno cari, prodotti in Paesi stranieri come la Cina o la Turchia, a scapito del prodotto italiano. A comprare di più sono gli under '40, in cerca di capi con un contenuto creativo e fantasioso. L'unico segmento in crescita è quello dell'homewear, che propone abiti da casa pratici e versatili, validissima alternativa alle tute, e traino sicuro per tutti quei punti vendita multimarca che fanno fatica a smerciare linee underwear prodotte da aziende medio-piccole di qualità».



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Bustier con giarrettiere staccabili (42,90 euro), slip brasiliano (12,90 euro)
e calza da reggicalze avorio (13,90 euro)

Collezione SISI-Goldenpoint



Quello dell'intimo è un mercato in evoluzione le cui potenzialità appaiono ancora inespresse.



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La pop star Rihanna indossa un reggiseno a balconcino in pizzo (44 euro) con slip abbinato (24,50 euro)
Emporio Armani Underwear



È un settore attraversato da profondi e radicali cambiamenti quello dell’abbigliamento intimo e mare, sia a livello distributivo che in termini di comportamento d’acquisto e gusto estetico del consumatore.



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Vestaglia in crèpe di seta con dettagli di raso e pizzo leavers (490 euro),
Reggiseno a balconcino (160 euro) e
Perizoma bicolore coordinato (90 euro)

Serie Via delle Rose di La Perla



Dalla frenata dei consumi in Italia col conseguente interesse delle aziende verso i mercati esteri, al boom delle catene, dalle difficoltà in cui versano i multimarca tradizionali fino al trend della lingerie modellante.



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La modella Tanya Mityushina indossa una sottoveste modellante
Laize Shaping bianca (in vendita a 49,90 euro)

Collezione Intimissimi




Una panoramica di un settore della moda italiana che, dopo un periodo non facile, è alla ricerca di idee e strade nuove per tornare a brillare.



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Sono realizzati in Lycra e tessuto Sensitive Touch effetto seta, invisibile sotto gli abiti,
lo slip con balza in pizzo (10,95 euro) e il reggiseno (29,95 euro) di Sloggi

Collezione Triumph



La ripresa c’è, ma è ancora debole. Questa in sintesi l’opinione dei principali player dell’intimo e beachwear interpellati sull’andamento del mercato. Un settore che, di fatto, nel 2010 in Italia ha sostanzialmente limitato i danni, registrando un calo dei consumi interni di un solo punto percentuale e una riduzione della spesa dell’1,4% rispetto al 2009, per un valore di 4.057 milioni di euro (Fonte: FCP – Fashion Consumer Panel, Sita Ricerca).



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Tulle ricamato nero con pizzo cuoricini per il reggiseno a triangolo lungo
abbinato alla culotte plissettata. Prezzi su richiesta.

Collezione Twin-Set Simona Barbieri Lingerie



Un risultato tutto sommato accettabile, considerando da un lato l’andamento negativo delle ultime stagioni e dall’altro la difficoltà in cui – fatta eccezione per il lusso – ancora versa il comparto della moda italiana.



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Completo in pizzo formato da reggiseno push-up (46 euro) e slip (28 euro)
Liu Jo Underwear



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Tutto in pizzo e tulle:
Reggiseno balconette imbottito con spalline multifunzione (33,90 euro),
Perizoma (9,99 euro) e Giarrettiera (9,99 euro)

Serie Paradise di Lovable

L'Italia è fra i paesi occidentali in cui si spende di più per il tessile-abbigliamento, con un trend di crescita positivo nel consumo di abbigliamento intimo.



La globalizzazione, la delocalizzazione produttiva, Internet, la logistica, le più raffinate esigenze di ricerca stilistica e di cura del prodotto e la crescente complessità psicologica del consumatore portano radicali cambiamenti e pressanti sfide anche nel comparto dell'intimo che va incontro a inevitabili trasformazioni.



Una nuova costellazione di operatori, forme di produzione e di distribuzione, accanto a una nuova tipologia di cliente, si affaccia su un mercato che, se da una parte appare più complesso e competitivo, dall'altra può schiudere opportunità di espansione fino a poco tempo fa impensate.



In Italia, il negozio tradizionale, multimarca, detiene ancora oggi un ruolo privilegiato ma dovrà accettare la scommessa del cambiamento per fronteggiare nuovi concorrenti, la grande distribuzione e le catene monomarca, sempre più agguerriti nella promozione di nuovi prodotti e nuove tecniche espositive.




Intimissimi Super Push-Up - TV Spot 2011
AGENZIA: Leo Burnett Italia
MODELLA: Irina Shaykhlislamova

La tendenza per il futuro prossimo, come illustra l'autrice anche attraverso l'esame di alcuni significativi casi aziendali italiani (la Perla, Armani, Cavalli) e stranieri (Victoria's Secret, Walford, Calvin Klein) è quella di rendere il punto vendita un concept-store, capace di trasmettere un'idea, uno stile riconoscibile dalla clientela che ricerca al momento dell'acquisto non solo un prodotto, ma anche un'atmosfera, e in ultima analisi, un'esperienza gratificante.

La scommessa dell'intimo può costituire un prezioso strumento di analisi e comprensione dell'attuale fase di cambiamento del mercato per i vari operatori del settore dell'intimo - imprenditori, manager, creativi, responsabili marketing, commercianti.
Per quanto riguarda le esportazioni, invece, segnali positivi arrivano da Paesi come la Russia (+14,2%), la Repubblica Ceca (+14,2%), i Paesi Bassi (+12,3%) e Hong Kong (+14,4%)



Edited by filokalos - 19/7/2012, 18:04
view post Posted: 26/6/2012, 08:34     Un Poeta come Amico - Erato
Caspita, endecasillabi in rime alternate!

Vera poesia nel pieno rispetto della tradizione. ^_^

Alla faccia di tutti gli spacciatori di fuffa di cui è pieno il Web... <_<

C'è solo un piccolo disguido... :unsure:
La sezione dedicata alla Poesia è Erato (musa della poesia amorosa).
Ed è là che sposterò questa discussione.... ;)



P.S. = Benvenuto nel Forum delle Muse... :ok:
view post Posted: 21/6/2012, 15:28     Quando il buon partito è lei - Clio

Quando il buon partito è lei

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Più ricca e colta,
il buon partito è lei
così cambia il matrimonio all'italiana
Boom delle coppie in cui
il soggetto debole è l'uomo



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Alla fine vince (quasi) sempre l’amore. E meno male, visto che l’ascensore sociale del matrimonio si è fermato da un pezzo, ci si sposa sempre di più tra simili, ma se invece accade che con le nozze si faccia un salto di classe, questo, attenzione, avviene alla rovescia.

Se la coppia è “diseguale” infatti è perché lei, e non più lui, è più istruita.

Ha inoltre un lavoro migliore, uno status più forte, ed è dunque più ricca, come accade oggi in un piccolo ma significativo 9% delle famiglie nel nostro paese.

Matrimonio all'italiana. Sempre più breve, sempre meno frequente, nell’onda piena delle unioni di fatto.

Ma dove le donne, ormai, detengono saldamente il potere sul portafoglio, come rivela un interessante studio di tre docenti universitarie, Graziella Bertocchi, Marianna Brunetti e Costanza Torricelli, in cui si afferma che se nel 1986 «soltanto l’1,6% delle donne decideva le scelte economiche della famiglia, nel 2010 questo dato è del 30,8%».



Nozze made in Italy.



Molto simili ormai, seppure con un po’ di ritardo, ai matrimoni di tutto il mondo occidentale.

Almeno a giudicare dalla ricerca appena pubblicata in Gran Bretagna dall’Institute for Public Policy Research, in cui si dimostra come a differenza delle loro madri e delle loro nonne, cresciute nel mito del «buon matrimonio», oltre il 50% delle ragazze inglesi nate tra il 1976 e il 1981 abbia invece sposato un compagno della propria identica condizione sociale.



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Affossando così una volta per tutte il sogno di Cenerentola, ma anche la favola per adesso bella di Kate Middleton, ragazza commoner che diventa duchessa di Cambridge. Non solo però. Tra le ragazze degli anni Ottanta, scrive l’Institute for Public Research «è notevolmente cresciuto il numero di donne convolate a nozze con un partner di livello sociale inferiore…».

È la cross-class-family, famiglia in cui i ceti sociali si intrecciano, un melting pot culturale, etnico, economico, ma oggi esattamente all’inverso di quanto avvenuto per secoli, e dove sono i maschi a dover salire un gradino.

Anche se le coppie giovani, così affermano i sociologi anglosassoni, si distinguono soprattutto per essere composte da simili, stesso ambiente, stessa professione, stesso ceto d’appartenenza.

E i dati italiani, ancora pochi in realtà, ci dicono che anche da noi sta succedendo la stessa cosa, visto che nel 60% delle unioni mariti e moglie hanno analoghi titoli di studio e l’80% delle volte provengono dalla stessa regione.




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Bisogna però andare più a fondo, per cogliere il cambiamento, spiega Graziella Bertocchi, docente all’università di Modena e autrice del saggio “È una questione di soldi o di testa? Le determinanti del potere all’interno delle famiglie italiane”.

Saggio che rielabora alcuni dati della Banca d’Italia, da cui emerge che nel 18% delle coppie lei ha un titolo di studio superiore al partner, nel 9% dei casi è la donna ad avere uno stipendio migliore e in una piccola percentuale (11%) è anche più grande di età.

«In realtà il divario economico resta forte, a parità di professioni le donne guadagnano di meno. Ma all’interno della coppia invece l’eguaglianza è sempre più evidente».

Virando magari verso un nuovo e ancora inedito matriarcato.

Uguali dunque, o asimmetrici al contrario, ma con un movimento che secondo Daniela Del Boca, professore di Economia all’università di Torino, «è positivo, perché è l’approdo di un cammino di parità che le donne hanno raggiunto attraverso sempre più alti livelli di istruzione, e un ingresso massiccio nei luoghi di lavoro».

Ed è proprio nei luoghi di lavoro (mentre un tempo era la cerchia familiare) che spesso avviene l’incontro che poi porta al matrimonio, aggiunge Del Boca, «visto che ci sposa sempre più tardi, ed è questo che garantisce la similarità di cultura, di formazione ma anche di reddito».

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Un rovesciamento di ruoli che le cause di divorzio indirettamente confermano: può accadere cioè che sia la moglie a dover mantenere l’ex...

Dunque ci si sposa per amore, e molto contano, allora, le affinità elettive.

Eppure nella fine della mobilità sociale del matrimonio, c’è anche chi vede un pericoloso effetto di “cristallizzazione” che di fatto aumenterebbe le diseguaglianze.

L’Ocse ad esempio, nel dicembre scorso, aveva affermato che a causa della crisi l’Italia «rischia di scoprire le caste».




Nel 2007 il film è stato restaurato, con il contributo di SKY Cinema.
Matrimonio all'italiana (1964), un film di Vittorio De Sica,
con Marcello Mastroianni, Sophia Loren, Aldo Puglisi, Marilù Tolo,
Tecla Scarano, Gianni Ridolfi.Lino Mattera

L’allarme che giunge dall’Ocse è cheSempre più persone si sposano con partner che hanno redditi da lavoro simili ai loro.

Professori con professori, medici con medici, i ricchi con i ricchi e anche il matrimonio diventa un fattore di polarizzazione economica, contribuendo all’aumento della diseguaglianza tra le famiglie.

E su questo punto concorda il demografo Marzio Barbagli.
«L’ascesa sociale delle donne attraverso il matrimonio è sempre stato un fenomeno marginale, anche se generazioni di ragazze magari hanno sognato di potersi sistemare così. Ed è vero invece che ci si sposa tra «simili» perché questo consente di conservare il patrimonio, fattore che indirettamente blocca la mobilità sociale. Ma la vera novità, esplosa negli ultimi decenni, è il rovesciamento dei ceti all’interno della coppia, dove sono le donne ad avere, in misura sempre maggiore, ruoli e stipendi dominanti».



Articolo Originale di
Maria Novella De Luca



Edited by filokalos - 21/6/2012, 19:34
view post Posted: 7/6/2012, 11:42     Astrup Fearnley Museet - Architettura & Urbanistica

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L'Astrup Fearnley Museum of Modern Art
(così com'è noto nel resto del mondo)
è un museo di Oslo di proprietà privata,
che raccoglie e presenta arte contemporanea internazionale.
Il Museo è stato inaugurato nel 1993
e nel corso dell'ultimo decennio,
l'attenzione dei curatori del Museo
si è concentrata su artisti americani contemporanei,
mentre, più recentemente,
si è dato spazio alle opere di importanti artisti
giapponesi, cinesi, indiani.

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Icone come Jeff Koons, Damien Hirst e Cindy Sherman, ma anche emergenti come Paul Chan e Frank Benson.


Il 29 settembre si ritroveranno sotto lo stesso tetto curvilineo in vetro, acciaio e legno laminato del nuovo Astrup Fearnley Museet progettato da Renzo Piano per il quartiere Tjuvholmen, il nuovo “fronte del porto” di Oslo che si protende su una penisola artificiale oltre l’area ex industriale di Aker Brygge.


Il museo d’arte, un’istituzione privata che attinge alla collezione intrapresa negli anni Sessanta dagli armatori-mecenati norvegesi Astrup e Fearnley, patiti di avanguardie, coabiterà nel complesso ideato dall’archistar italiana con un fabbricato di uffici e un centro culturale, integrati funzionalmente dall’avveniristica copertura che ha la duplice funzione di convogliare la luce e riparare dal vento.



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Lo stesso percorso espositivo (4.200 mq su oltre 7 mila di superficie totale del museo) attraverserà tutti e tre gli edifici, raccordati al paesaggio e alle zone residenziali da un sistema di ponti.



L’immacolato cantiere sul fiordo, meta di pellegrinaggio nelle lunghe serate della primavera norvegese, è ben visibile dalla passeggiata di quasi 800 metri che indirizza la movida sulla banchina dell’Aker, dove si affacciano già locali e ristoranti.




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Il museo propone visite guidate per le classi pubbliche e scolastiche, coordina Art Club per bambini e ragazzi, e fa uso della tecnologia Wi-Fi per ampliare la diffusione e facilitare l'interazione con le mostre.



Il museo organizza tre o quattro spettacoli ogni anno.




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Edited by filokalos - 7/6/2012, 13:14
view post Posted: 31/5/2012, 15:09     La Divina Commedia di Eimuntas Nekrošius - Melpomene

La Divina Commedia di Eimuntas Nekrošius

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Un esplicito omaggio alla cultura italiana
dato dal grande regista lituano Eimuntas Nekrošius,
il quale ha pensato col suo nuovo lavoro
di riproporre in chiave assolutamente inedita
la “Divina Commedia” di Dante Alighieri.



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Eimuntas Nekrosius


Eimuntas Nekrosius, lituano 60enne ma di casa in Italia, considerato il più visionario tra gli uomini di teatro contemporanei, ha deciso di mettere in scena Dante, dando nuova vita al testo più immaginifico nella storia della nostra letteratura.

In prima mondiale la Divina Commedia versione Nekrosius, ha debuttato a Brindisi, al Nuovo Teatro Verdi, il 22 e il 23 maggio, nell’ambito della cinque giorni teatrale di Puglia showcase e, ha replicato, a Modena il 26 e il 27 maggio a Vie Scena Contemporanea Festival.

Sul palco, tradotti in lituano e sottotitolati, vanno Inferno e Purgatorio, per il Paradiso bisognerà attendere il 21 settembre e il 65mo ciclo di Spettacoli classici al Teatro Olimpico di Vicenza (teatrolimpicovicenza.it).

Come l’ha definita lo stesso Nekrosius, si tratta di «una tentazione grande», che vede una sfida al limite dell’impossibile rendere le tre Cantiche in un linguaggio teatrale.



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Spettacolo di circa quattro ore di durata, questa “Divina Commedia”, prodotta dalla Compagnia Meno Fortas, è stata per il pluripremiato regista un’impresa, per sua stessa ammissione, ai limiti dell’impossibile.




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La Beatrice piena di post-it... :blink:

Il poema dantesco per il regista lituano è “un lago profondo, una fonte inesauribile di sapienza e di poesia.”

L’attenzione dell’artista si è concentrata sui personaggi di Dante e di Virgilio, fin sulla soglia del Paradiso, nel quale è Beatrice ad assumere il ruolo di guida del poeta nel suo viaggio.

Il talento visionario di Nekrošius trova un eccezionale alimento nella miniera di immagini del poema, e genera uno spettacolo di forte impatto visivo, nel quale gli oggetti e le scene, curate dal figlio Marius, si animano di una forte risonanza plastica e metaforica.

La forza scenica dei lavori di Nekrošius, che si è confrontato nel corso della sua lunga e fortunata carriera con i grandi autori classici, russi e non solo (Cechov, Gogol’, Goethe, Puškin), consente al pubblico di oltrepassare la barriera linguistica, per abbandonarsi all’immagine, al gesto, al paesaggio sonoro, anche se il nucleo essenziale del testo rimane sempre rintracciabile, anche grazie alla musica e alla danza.



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Il regista ha pensato ad un viaggio d’amore, una storia d’amicizia: sono pochi e semplici gli elementi che caratterizzano sia l’adattamento teatrale del testo che la scena, ma danno vita ad un linguaggio teatrale di forte poesia e valenza metaforica.

Gli attori entrano in scena da un fondale nero ed interpretano alcuni dei canti più celebri dell’Inferno e del Purgatorio, su musiche che spaziano da Let it be dei Beatles fino ad alcune sonate di Bach: le linee del percorso drammaturgico sono segnate dalla prima cantica, l'Inferno.

Qui Dante incontra Virgilio, che lo guiderà fino all’incontro con Beatrice nel Paradiso, osserva le anime del Limbo, fra cui grandi pensatori e poeti come Omero, Seneca e Ovidio, che hanno vissuto prima di Cristo, visita il cerchio dei suicidi, trasformati in alberi, e riceve da loro le lettere che si incarica di consegnare ai vivi.

Ma è nelle scene d’amore che il regista lituano riesce a dare il meglio di sé: Beatrice zampetta coi suoi piedini sul cuore di Dante, Francesca trema di passione al fianco del silenzioso Paolo.

Il grande affresco poetico diventa l’epopea di un eroe orgoglioso, che riuscirà a ritrovare l’umiltà soltanto alla vista di sofferenze e punizioni esemplari e come precisa Nekrošius : “È un’opera universale, non solo italiana. Poeti e scrittori la citano, è una base filosofica sostanziale per i giovani, un supporto per vivere”.



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Saranno le note di “Let it be” dei Beatles e le sonate di Bach, ad accompagnare il viaggio di Dante e Virgilio in una terra da dove è difficile ritornare: dove il Limbo è popolato da vip vanitosi, il diavolo è un accanito tabagista, le vesti di Beatrice sono coperte da post it, memento di desideri, dove fa la sua comparsa Gemma, arrabbiata e gelosa consorte di Dante e dove forse le lettere dei suicidi verranno finalmente consegnate.



Divina Commedia di Dante Alighieri
regia: Eimuntas Nekrošius

prodotto da Meno Fortas
co-prodotto da: Stanislavsky Foundation, Moscow, Baltic House Festival,
St. Petersburg, Lithuanian National Theatre

in collaborazione con il Ministero della Cultura Lituano
e Aldo Miguel Grompone (Roma)

con:
Rolandas Kazlas (Dante),
Vaidas Vilius (Virgilio),
Ieva Triškauskaitė (Beatrice),
Remigijus Vilkaitis (Papa),
Paulius Markevičius (Messaggero),
Audronis Rūkas (2πR),
Marija Petravičiūtė (Italia),
Julija Šatkauskaitė (Sapia),
Beata Tiškevič (Francesca),
Milda Noreikaitė (Gemma),
Jurgita Jurkutė (Pia),
Darius Petrovskis (Vanni Fucci),
Simonas Dovidauskas (Brunetto Latini),
Vygandas Vadeiša (Casella / Charon),
Pijus Ganusauskas (Florence citizen),
Justas Valinskas (Nino)

scenografia: Marius Nekrošius
costumi: Nadežda Gultiajeva
musica originale: Andrius Mamontovas

luci: Džiugas Vakrinas
assistente alla regia: Tauras Čižas
sound designer: Arvydas Dūkšta

attrezzista: Genadij Virkovskij
tecnico di palco: Oleg Virkovskij
traduzione in Lituano del poema di
Aleksys Churginas

durata: 4h 30' :woot:



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Edited by filokalos - 31/5/2012, 17:07
view post Posted: 25/5/2012, 08:49     Aragona: dalle macalube al mistero di Pangea - Urania

Aragona: dalle macalube al mistero di Pangea

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Ad Aragona, ridente e industrioso centro in provincia d'Agrigento, fondato, nel 1606, da Beatrice d'Aragona, madre del conte Baldassare Naselli di Comiso, non c'è solo aria pulita e natura incontaminata, l'attrattiva di un insolito fenomeno tellurico, quello delle macalube, talvolta giudicato miracoloso, altre volte diabolico.


Sono piccole bocche vulcaniche, alte da poco meno di cinquanta centimetri a circa due metri, che eruttano bolle di gas metano.


Il termine risale agli arabi che le chiamarono maqlub, vale a dire impressionanti, forse perché intimoriti dallo spettacolo notturno offerto dal fenomeno eruttivo.


I coni, eruttando gas metano, prendono fuoco molto facilmente offrendo allo sbalordito visitatore lo spettacolo infernale di alte fiamme danzanti.




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Il "desolante" scenario delle macalube di Aragona




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Le Salse di Nirano, vicino a Sassuolo.
Sono sorgenti di acque fossili, salate,
originate da argille metanifere fessurate
in seguito ad attività geotettoniche,
che edificano coni argillosi di forma
e dimensione variabili nel tempo

Opera del Diavolo? La gente assicura che non è così.


Qui Belzebù, almeno per loro, non ha mai potuto allignare.


Inutile, poi, fare il raffronto tra questo curioso e avvincente fenomeno vulcanico e quello delle salinelle di Paterni), legato prima alla memoria della dea Hyblaia e ai laghetti mefitici tra Mineo e Palagonia, sacri ai Fratelli Palici.

Secondo gli scienziati, infatti, questi fenomeni non hanno la stessa origine.


I fanghi eruttati ad Aragona sono freddi. Ricordano quelli delle salse di Sassuolo, in Emilia.


Gli scienziati classificano queste emissioni gassose, spesso miste ad anidride carbonica, come manifestazioni "paravulcaniche".

Le salinelle di Paternò sono tutt'altra cosa: l'idrogeno solforato contenuto nell'acqua che zampilla dal sottosuolo si spande nell'aria evocando quell'atmosfera infernale che ispirava i sacerdoti della dea Hyblaia e facendo poi immaginare che quella zona fosse popolata da diavoli.




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L'attività parossistica del Luglio 1999 alle Salinelle di Paternò



Non è l'unica zona dell'Agrigentino a offrire la forte sensazione di trovarsi davanti ai grandi misteri della Terra. Nel territorio di Palazzo Adriano e della Valle del Sosio, le reliquie della natura prima della formazione del mar Mediterraneo squarciano il velo di mistero che ha sempre circondato la nascita della Sicilia e la formazione dei continenti nella notte dei tempi.



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Olotipo di Palaeopemphix sosiensis



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Enteletes waageni(primo piano),
Heterelasmina & Enteletes tschernyschewi

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L'ammonoide Parapronarites konincki

Qui resistono al tempo i fossili più antichi e unici di Sicilia: risalgono all'epoca del Permiano, vale a dire 200 milioni di anni fa, quando i vulcani in continua eruzione, dall'Italia al Nord Europa, contribuirono alla formazione della Pangea, unico continente terrestre.

Di questa lontanissima era restano le rocce calcaree con il ricordo di spugne, briozoi, brachiopodi, ammoniti, trilobiti e ostracodi, tutti rare testimonianze della fauna marina che popolava l'oceano Tetide, progenitore del Mediterraneo attuale, che bagnava il continente della Pangea prima della formazione degli attuali continenti.




panoramaferla



Edited by filokalos - 25/5/2012, 10:24
784 replies since 29/8/2008