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Progressi e limiti della Medicina, Verso un uso più etico della Scienza

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Andbeat
view post Posted on 4/10/2008, 20:39     +1   -1




Progressi e limiti della Medicina

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Verso un uso più etico della Scienza




La durata media della vita, che attualmente in Italia ha raggiunto gli ottant'anni, all'inizio del secolo scorso superava di poco i cinquanta. Nel 1901, in Italia, la mortalità infantile nel primo anno di vita era di 168 bambini ogni 1.000; nel 1935 questo numero era già sceso a meno di 100. Oggigiorno la mortalità infantile nel primo anno di vita si è di gran lunga ridotta superando di poco l'uno per mille.


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Wilhelm C. Röntgen

Il novecento, il secolo in cui si sono aperte, grazie alla scienza, più prospettive di vita per l'uomo, inizia con la scoperta dei raggi X.
Nel 1901 fu conferito al professor Rontgen, il Premio Nobel per la Fisica, per gli studi fatti sui raggi x, una delle scoperte scientifiche che maggiormente accese l'immaginario collettivo. Si legge, nella sua biografia, che Rontgen non volle mai brevettare la sua scoperta, poiché era convinto che "ogni scoperta o invenzione appartenesse all'Umanità intera...".

Ma se gli studi del fisico tedesco aprirono la strada a una delle più importanti branche della medicina, la radiologia, che viene applicata in innumerevoli settori di intervento, il nostro secolo resterà segnato soprattutto dalla vittoria della medicina contro le malattie infettive, con la scoperta dei sulfamidici e degli antibiotici.



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Alexander Fleming

Sul finire del 1928, lo scienziato londinese Alexander Fleming compie ricerche sulle proprietà antibatteriche delle muffe scoprendo il principio dell'"antibiosi" per cui quando due specie batteriche vengono a contatto tra loro, l'una tende a sopraffare l'altra.

Altre due tappe importantissime della storia della medicina sono: la sconfitta della poliomielite e i trapianti di cuore.
Nel 1954 si ebbe il primo trapianto di rene. Il trapianto fu eseguito con un rene prelevato da un soggetto vivente precisamente dal fratello gemello monozigote del paziente. Tale pratica suscitava polemiche di ordine etico sulla liceità di eseguire trapianti con prelievo di organo da vivente.



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Christian Barnard

Il 3 dicembre del 1967, al Groòte Schuur Hospital di Città del Capo, in Sud Africa, un cardiochirurgo di quarantaquattro anni, Christian Barnard effettua il primo trapianto di cuore. L'evento suscitò non poche reazioni perché l'organo trapiantato, il cuore, di per sé induceva a considerazioni di ordine filosofico e morale, ma la cosa più sorprendente fu quella, che il donatore del cuore era un "negro". Questo smentiva definitivamente la credenza, rassicurante per alcuni, che i negri fossero fisiologicamente diversi dai bianchi.

Letta con i suoi occhi, Barnard, la notte tra il due e tre dicembre, fece la cosa che per un medico è la più importante in assoluto: "salvare una vita umana".



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Louis Washkansky & Christian Barnard

C'è un paziente di nome Louis Washkansky, che a soli 53 anni è condannato a morte da una grave forma di diabete e di insufficienza cardiaca.
Sia i medici che il paziente sono consapevoli del fatto che non vi è più nulla da fare. L'unica cosa possibile è dargli un cuore nuovo. Nel pomeriggio del due dicembre un incidente stradale ha stroncato la giovane vita di Ann Darvall, di 24 anni. Il padre, nello strazio per la perdita della figlia, acconsente a che il suo cuore sia donato a quel signore di 53 anni, in fin di vita.

Alle 6.13 del 3 dicembre 1967 il cuore della giovane ha ripreso a battere nel petto dell'uomo. Washkansky vivrà solo per altri diciotto giorni.
I problemi del "rigetto" a quell'epoca, erano ancora irrisolvibili, ma quel signore, il padre di Ann insieme al dottor Barnard, avevano aperto una nuova strada alla speranza.



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In questa direzione, ci siamo abituati a pensare che dopo avere migliorato la nostra salute la scienza abbia ora il compito di realizzare i nostri più profondi desideri.

Avere figli sani, pensare di potere invecchiare mantenendo una buona forma, desiderare un corpo più bello, vedere dei genitori che non temono per la vita dei loro figli se hanno contratto una malattia infettiva, sono cose che ormai diamo per scontate.

Se una giovane coppia desidera avere un bambino come quello dei vicini bello, biondo, con gli occhi azzurri e con un bel carattere è corretto studiare il modo per realizzare questo desiderio?

Barnard, in una intervista rilasciata ad un quotidiano tedesco, non esita a rispondere "perché no dal momento che è tecnicamente possibile".
Non ha dubbi, il cardiochirurgo, sul fatto che la tecnologia abbia il compito di aumentare il tasso di felicità nel mondo, e osserva che questo è stato sempre il principio che ha ispirato la sua attività di medico, come quando, nel 1967, effettuò il primo trapianto di cuore della storia.
"Dio non avrebbe avuto nulla in contrario, anzi, avrebbe sicuramente fatto lo stesso". :blink:



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In modo schematico e senza mostrare la minima perplessità verso il paradosso etico da lui stesso formulato, spiega la tecnica:
"Che ci vuole. Si prende un embrione, si clona e si mette in frigorifero; nel frattempo l'originale viene impiantato nell'utero della madre. Non resta che aspettare che il bambino nasca e giudicare i risultati. Se poi vale la pena, nel senso che il bambino funziona, è carino, non dà troppi problemi e magari va anche bene a scuola, allora si ritira fuori dal frigorifero il clone e si reimpianta nell'utero di chi è disposto ad adottarlo, oppure si fa in provetta".

Lo scienziato continua:
"In questo modo è possibile sapere esattamente come quell'embrione si svilupperà e che genere d'uomo diventerà, e le coppie potranno avere esattamente ciò che desiderano. Se ciò le rende più felici, perché non farlo".



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Sulla teoria della clonazione dei bambini Barnard, non ha dubbi ma sull'uso terapeutico dell'embrione esprime qualche perplessità di ordine etico. Oggi sappiamo che la ricerca scientifica sulle cellule staminali aprirebbe grossi confini alla scienza del nostro secolo. Non si è ancora scoperto se le cellule staminali embrionali risulterebbero più utili rispetto a quelle derivate da altre fonti. In ogni caso se esistono delle possibilità è giusto rinnegarle per ragioni di ordine etico?

Secondo il chirurgo Barnard "Si", egli sostiene che "clonare gli embrioni per avere bambini biondi e con gli occhi azzurri non è che una possibilità di maggiore felicità per dei genitori resa possibile da un uso intelligente della tecnologia. Sull'uso di embrioni per fini esclusivamente di ricerca esprime il suo disaccordo: "anche un embrione di otto cellule è potenzialmente un essere umano, e non vedo come si possa pensare di considerarlo al pari di un qualunque materiale organico"



Alla domanda sui rischi etici connessi a una tale visione della biomedicina, Barnard risponde che "se c'è qualcosa che non è etico, di questi tempi, è il progetto di uno scudo stellare".



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E aggiunge che se rinascesse oggi non avrebbe dubbi.
Non sceglierebbe più la chirurgia, ma la strada della biomedicina.
La biologia molecolare ha aperto grandi speranze per la cura di alcune gravi malattie e non poche illusioni sulla conoscenza dello sviluppo umano.

Grazie agli studi, di biologia molecolare sono stati identificati diversi agenti cancerogeni che hanno portato a grandi progressi nella lotta contro i tumori. Si pensi, in tal senso, alle ricerche di Pandolfi sulle leucemie.



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Pier Paolo Pandolfi - Università di Harvard

Questo ricercatore italiano che lavora da anni, negli Stati Uniti può essere considerato il padre di una rivoluzione copernicana per la lotta ai tumori avendo identificato alcune delle principali cellule patogene. La sua teoria muove dall'idea che una volta identificate queste cellule bisogna guarirle e non distruggerle come finora si è fatto.

Allo stesso modo è facile intuire che non è possibile conoscere alcune caratteristiche di un essere umano solo attraverso la decodificazione del suo DNA poiché sappiamo bene come il corredo genetico di ogni uomo rappresenti soltanto l'elemento potenziale del suo sviluppo, il cui esito finale dipende da una miriade di fattori ambientali impossibili da prevedere.

In sintesi, non si può pensare che l'ultima frontiera della ricerca scientifica sia quella di riuscire a decodificare ogni minima molecola dell'organismo e così facendo riuscire a risolvere ogni nostro problema o desiderio.



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Franco Rotelli

La biologia molecolare, afferma lo psichiatra Franco Rotelli, potrà dirci ancora molte cose sui geni conquistando maggiore potere nell'ambito delle scienze, ma non potrà mai dare risposte sull'etica ovvero sul modo in cui gli uomini decidono di stabilire un contratto sociale, sui valori e sui punti in base ai quali gli individui decidono le modalità del proprio relazionarsi.

Per quanto riguarda le conseguenze etiche sul piano della cura, lo straordinario progresso dell'efficacia dell'intervento medico, supportato dai formidabili progressi delle conoscenze biomediche e dallo sviluppo delle biotecnologie applicative, ha portato a "disumanizzare" il rapporto clinico tra medico e paziente.



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Il medico, che un tempo si prendeva cura del sofferente, nella sua complessità psicosomatica, è un retaggio del passato. Oggi assistiamo ad un cambiamento di questa figura che da professionista si trasforma in "tecnico", sia pure di alto livello, da cui, come in qualunque campo, si possano pretendere prestazioni, purché rientrino nelle sue competenze.

In tal modo, si assiste al proliferare di tecnici, abili a risolvere i "guasti" organici, magari con interventi di altissima tecnologia, sino al trapianto multiplo di organi.

Si ha come la sensazione di un ritorno al passato, ad un'ideologia meccanicista, che considerava l'essere umano come una macchina composta da parti indipendenti tra loro.



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La perdita di valore nella "soggettività", ha portato ad una specializzazione spesso esasperata, che individua ormai figure professionali sempre più diversificate e legate fra di loro soltanto dall'aver frequentato lo stesso corso di laurea.

Come confrontare infatti, dal punto di vista dell'impegno etico e della responsabilità personale, chi si dedica ad esempio all'assistenza dei malati terminali, e chi opera esclusivamente nella chirurgia estetica di "ringiovanimento", eccetto l'obbligo comune di una professionalità competente?

D'altra parte diventa sempre più difficile trovare un medico che si prenda cura "globale" di un ammalato nella sua complessità psicofisica e spirituale. Spesso, inoltre, questa figura tende ad essere sminuita del paziente stesso che, influenzato dall'immaginario collettivo, riconosce nello "specialista" una figura più prestigiosa.



L'uso ripetuto e ormai abituale di termini come: azienda al posto di ospedale, cliente al posto di ammalato, operatore sanitario invece che medico o infermiere, hanno contribuito ad una visione sempre più tecnologica, e quindi materialistica, della funzione sanitaria.

Degradato spesso a "prestatore d'opera", il medico tende a perdere sempre di più la sua identità, che, è stata, per secoli, quella di accompagnare il proprio paziente nel dramma ineludibile della sofferenza, aiutandolo a trovare un senso anche nella malattia.



:ahia:




Articolo Originale
di
Alessia Magnano

 
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