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Come evitare che Facebook ci cambi la vita...

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TOPIC_ICON2  view post Posted on 10/1/2012, 17:17     +1   -1
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Super Ñasual Dating - Authentic Maidens

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Come evitare che Facebook ci cambi la vita...


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Quattro articoli che parlano
di come Facebook ci stia cambiando la vita.
E magari di come farne a meno.
Cercando, possibilmente,
di dare valore alle esperienze
a prescindere dal fatto che
si possano o meno
condividere online.



Nathan Jurgenson - Facebook, dunque sono
emilezola

Émile Zola

Nel 1901 Émile Zola pronunciò la famosa frase: «Secondo me non si può dire di aver veramente visto una cosa finché non la si è fotografata».

Oggi circola una battuta analoga: «Se la cosa non è stata pubblicata su Facebook, non è avvenuta». :blink:

Chi utilizza Facebook, ha molti «amici» (:shifty:) sul social network e vi accede parecchie volte al giorno, tende a percepire il mondo in modo diverso.

Siamo sempre più attenti all’impressione che darà di noi una foto su Facebook, all’aggiornamento del nostro profilo o a collegarci.

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Mentre leggete questo articolo, potete accedere a Foursquare — il social network che permette di condividere la propria posizione geografica —, riportare su Twitter una battuta spiritosa sentita al tavolo accanto e scattare un’interessante fotografia della perfetta schiuma che aleggia sulla superficie del mio cappuccino.

È facile: con il telefono si può fare in pochi minuti tutto questo e molto altro.

E, soprattutto, le mie iniziative avranno un pubblico.

Centinaia delle persone a cui sono più vicino le vedranno e qualcuno risponderà con commenti e con un «mi piace».

Cii siamo abituati così a vedere il mondo in termini di quello che possiamo pubblicare (o non pubblicare) in Internet.

Abbiamo imparato a vivere e a presentare una vita che possa piacere....



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Attenti alle frecce di Google Map... :rofl:



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Un fanatico di Facebook... :hmm:

Molti hanno criticato Facebook perché trasforma la bellezza non quantificabile dell’esperienza umana in qualcosa che si possa inserire in un database, o perché abusa di quel database per procurarsi profitti favolosi.

Sono critiche valide, ma la vera preoccupazione è che il reale potere dei social media sia quello di insinuarsi dentro di noi, cambiando il modo in cui la nostra coscienza percepisce il mondo, anche quando siamo disconnessi.

La fotografia di cui parlava Zola è stata inventata circa 150 anni fa e le nuove possibilità che ha aperto hanno fatto scalpore ovunque: potevamo documentare in modo nuovo noi stessi e il nostro mondo con maggior dettaglio e in forma assai più duratura.

Oggi i social media forniscono anch’essi un sistema nuovo, di ambito più largamente sociale, di documentare noi stessi, la vita e ilmondo.

Mai prima d’ora era stato possibile registrare e mostrare a tutti i nostri amici un flusso di foto, pensieri e opinioni con questa intensità e facilità.

Il potere di trasformazione dei social media è sicuramente di portata e significato simile all’invenzione della fotografia.

Il fotografo sa bene che dopo aver fatto molti scatti acquista un «occhio fotografico»: si comincia a vedere la realtà attraverso un mirino, a ragionare con la logica della macchina fotografica, in termini di inquadratura, luce, profondità di campo, messa a fuoco, movimento e così via.

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Anche senza avere la macchina a portata di mano, il mondo si trasforma in un potenziale set fotografico.

Oggi c’è il pericolo di acquisire un «occhio da Facebook»: il nostro cervello è sempre alla ricerca delle occasioni in cui il volatile momento dell’esperienza vissuta possa essere meglio tradotto in un post su Facebook, in un messaggio che possa attrarre il maggior numero di commenti e di gradimenti.

Facebook fissa sempre il presente come un passato futuro. Con questo voglio dire che gli utenti dei social media sono sempre consapevoli che il presente è qualcosa che si può pubblicare online e che sarà consumato da altri. Siamo così presi dal pubblicare la nostra vita su Facebook da dimenticarci di viverla nel presente?

Pensate a una volta in cui avete fatto un viaggio con una macchina fotografica in mano e poi a un’altra in cui non l’avevate.



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L’esperienza è leggermente diversa.

Abbiamo un rapporto diverso con la realtà quando non dobbiamo curarci di documentarla.

Oggi i social media ci mettono nella condizione di essere sempre in viaggio con la macchina fotografica in mano (metaforicamente e spesso letteralmente), di essere sempre in grado di documentare.

Ultimamente, assistendo a spettacoli di musica dal vivo, ho notato che sempre più spesso la gente si distrae dallo spettacolo perché vuole scattare foto e riprendere video da mettere su Facebook e su YouTube.



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Quando la scorsa settimana ho preparato una colazione particolarmente appetitosa, ho messo la foto su Facebook ancor prima di assaggiarla. «L’occhio da Facebook» in azione.

Susan Sontag ha scritto che «tutto esiste per finire in una fotografia».

Oggi potremmo dire che, sempre più, la maggior parte di quel che facciamo esiste per finire su Facebook.

Il cane dell’esperienza vissuta viene fatto scodinzolare dalla coda Facebook.






Alessandro Gilioli - Una settimana senza Facebook
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Alessandro Gilioli
pubblicista de
L'Espresso

Com’è vivere qualche giorno senza Facebook, dopo anni di frequentazione continua e ininterrotta?

(Quelli che seguono sono appunti molto personali e che quindi non hanno la pretesa di valere per nessun altro)



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La prima sensazione è stata molto simile a quando – fino a qualche anno fa – andavo in vacanza alla Capraia e non arrivavano i quotidiani: hai la sensazione di non capire bene quello che succede nel mondo.

O di poterlo intuire soltanto e di dovere immaginare il resto.

Alla Capraia c’era la radio: da quello che riuscivo a sentire confusamente a un gr, dovevo ricostruire tutto l’universo da cui ero rimasto escluso.

Lo stesso adesso, con ingredienti molto modificati: da quel che leggevo nell’informazione caratacea e digitale mi veniva spontaneo cercare di recuperare tutto quello che mi ero perso via Facebook.



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Link, discussioni, polemiche, video, opinioni, invettive, scherzi e pure semplici notizie.

Ecco: non essendo un digiuno mediatico (ma solo un’assenza da Fb) in teoria sono rimasto immerso nel famoso flusso.

Ma era come se fossi immerso a metà. O con una muta da dieci centimetri addosso.

Alla sensazione ha contribuito il fatto di essere in vacanza: e quindi di essere escluso anche da quel pianeta di segnalazioni reciproche che ci si fanno in redazione e alla macchinetta del caffè. Il che ha aumentato il senso di ovattamento.

Così mi è venuto istintivo surrogare. Il numero di quotidiani acquistati è aumentato.



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Così come il numero di blog e di siti visitati direttamente dalla loro home o dai feed. Così come i passaggi su Twitter, naturalmente: la cui frequentazione tuttavia mi si è più o meno consciamente rivelata stare a quella di Fb come l’onanismo all’amore. O come la sigaretta al sigaro, come il fast food a una cena vera. Non so se mi spiego.

Sia chiaro che non ho avuto crisi di astinenza, ci mancherebbe. Voglio dire: né il mio umore né il mio benessere hanno subito variazioni.
Soprattutto, non ho avuto la percezione di una diminuzione di socialità.Anzi, mi sono accorto che per me Fb ha poco a che fare con la socialità – non parliamo dell’amicizia.

Certo, qui conta l’età – immagino che un ragazzo senza Fb si senta come mi sarei sentito io senza telefono trent’anni fa – ma per me il ’social’ del network in questione sta soltanto nel suo essere giacimento sociale in continua formazione di spunti, di idee, di novità, di stimoli alla curiosità.

Insomma, sta nell’essere una gigantesca testata in crowdsourcing, una testata molto ’sveglia’ e vivace, fatta di contenuti originali e di segnalazioni a contenuti altrui.

Che non riesco più a trovare – nella stessa dimensione, con la stessa soddisfazione – in altro modo.
Nella settimana in questione anche le suggestioni per scrivere si sono, se non desertificate, di certo inaridite.
È inevitabile. E mi sono chiesto come facevo quando non ero su Fb.

Quindi? Quindi niente.

Restare senza Fb mi ha fatto vedere le cose come una volta ho visto una partita dell’Inter in India: su un vecchio televisorino analogico e con il commento in urdu. Non è che non capissi chi stava vincendo ...

Ma diciamo che le trame del gioco facevo più fatica a seguirle.



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Questa è la mia personale esperienza e sicuramente non ha nulla a che vedere con quelle potenziali di tutti gli altri.

Anzi: probabilmente è proprio questa la forza di Fb: sapersi piegare a poco a poco alle esigenze di ciascuno dei suoi iscritti, rispondendo ai suoi bisogni. Chi come me va in cerca di spunti e di opinioni, chi di amici, chi di giochi, chi di sesso, chi di musica, chi di video etc etc.
Immagino che ciascuno, rimanendo senza, abbia sensazioni diverse.

Magari però con un comune denominatore, che ci può piacere o meno: questa cosa, finché non ne arriverà un’altra, fa parte delle nostre vite. Senza esaltazioni e senza demonizzazioni. Come il telefonino, la vasca da bagno e il caffè appena svegli.
A proposito, per chi c’è: ci si rivede lunedì su Facebook. ;)






Enzo Baruffaldi - Fuga da MySpace: e se il prossimo fosse Facebook?
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Il social network musicale è alla frutta, mentre qualche anno fa spopolava. E se il prossimo a scomparire fosse proprio la creazione di Mark Zuckerberg?

Cinque anni fa non avremmo mai immaginato internet senza MySpace. Eppure sembra stia succedendo. Riusciamo a immaginare un mondo fra cinque anni senza Facebook?

Il social network creato da Mark Zuckerberg ha il vantaggio di poter evitare tutti gli errori compiuti da MySpace, ma le migrazioni degli utenti nella Rete non sono quasi mai di così facile previsione.

La crisi della compagnia comprata nel 2005 da Rupert Murdoch (per 580 lungimiranti milioni di dollari) sta toccando il suo punto più nero: è appena stato licenziato il 47% dello staff, la raccolta pubblicitaria quest’anno sarà superata da quella di Twitter (fonte PCMag), l’ ultimo restyling ha suscitato ben poche critiche positive, e si sta valutando se e come vendere o smembrare il gruppo.



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Nonostante tutto, è abbastanza impressionante leggere appelli dai titoli radicali come An open letter to independent artists to delete their MySpace pages, in cui si invita a fare piazza pulita di vecchi profili e amicizie. Proprio le band e i musicisti, che avevano contribuito in maniera decisiva alla diffusione di MySpace, ora gli voltano le spalle. Proprio chi aveva trovato il mezzo ideale per comunicare con i propri fan e raggiungere il successo attraverso il passaparola nell’epoca del 2.0 e del download, ora lo rinnega. Principali capi d’accusa: la struttura lenta e fatiscente, la grafica imbarazzante, l’ ottusità delle applicazioni principali come il player, lo spam invadente e la generale aria di vacuità che ormai pervade le pagine di MySpace.

Altri strumenti, più agili e leggeri, sono oggi a portata di mano. Un profilo su Facebook, magari sincronizzato con gli account di Twitter o Tumblr aggiornati direttamente dagli artisti via mobile (con quel tocco di narcisismo alla Kanye West o Lady Gaga che non guasta mai), soddisfa tutte le esigenze dal punto di vista sociale: news commentabili, messaggi, video, foto, calendari di eventi, inviti, eccetera.

Dall’altra parte, BandCamp e Soundcloud (e molti altri) offrono tutto quello che serve per quanto riguarda strettamente la musica: un veloce player per streaming (o eventuale download) esportabile e personalizzabile, possibilità di vendita on-line senza (troppe) intermediazioni, statistiche chiare.



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Come MySpace sia riuscito a farsi sfuggire di mano tutte queste cose, che potenzialmente già possedeva, resta un mistero, ma in ogni caso sembra proprio che sia destinato a diventare un fossile del Web. Una vivace discussione su Quora a cui hanno partecipato nomi come Nat Brown ( iLike.com) e Sean Smith (imeem), dà per scontato che ormai da tempo la piattaforma non sia più il social network migliore per rispondere alle esigenze di chi fa musica.

Soprattutto, però, si domanda se oggi ci sia ancora posto per un nuovo social network dominante dedicato a band, etichette discografiche e fan.

E Facebook? Il principale punto di forza del social network di Zuckerberg è il numero dei propri iscritti: a gennaio 2012 sono oltre 900 milioni gli utenti attivi.

Ovviamente, ai grandi finanziatori (da ultimo Goldman Sachs, che ha investito 450 milioni di dollari) sta molto a cuore la possibilità di raccogliere la monumentale quantità di dati personali inseriti dagli utenti sui propri profili e su quelli degli amici e convertirla poi in terreno fertile per la pubblicità.



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Ma questo non è l’unico orizzonte di crescita: lo sviluppo del commercio elettronico è ancora solo all’inizio; chi utilizza Facebook prevalentemente per giocare è spesso disposto a spendere soldi per acquisire i “ Facebook credits”; prima o poi Facebook e Google arriveranno a scontrarsi sullo stesso terreno... Insomma, problemi seri, tutti conseguenza dell’enorme dimensione ormai raggiunta dal social network.

E proprio perché “ ci sono tutti” e si trova tutto, prima o poi a qualcuno potrebbe venire voglia di qualcosa di diverso e più originale, più cool. Potrebbe essere il solito gruppo rock sconosciuto che pretende di fare lo stravagante per farsi notare, o un cantautore antagonista che si batte contro lo strapotere delle corporation, oppure qualche fan stanco del layout e dello spam, e alla ricerca di qualcosa di meno invadente e meno opprimente.

Proprio come è successo al vecchio MySpace.




Faccialibro: la prima sitcom dedicata ai maniaci di Facebook. Tutti i VIDEO



Ilaria Venturi - Test sopravvivenza in un liceo, senza Facebook per sette giorni
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"Mia mamma non ci credeva, invece ce l´ho fatta".

Dopo sette giorni senza mandare sms e chattare in Facebook, Caterina esulta.

E scatta l´orgoglio della seconda A del Righi.

Si sentono quasi eroi, quelli che possono stare senza tv-computer-telefonino, i sopravvissuti, i protagonisti di un digiuno impossibile, almeno agli occhi degli adulti.

"Che soddisfazione", dicono ora alla professoressa di Lettere, Matilde Maresca.

È lei che ha lanciato la sfida: l´astinenza dalle nuove tecnologie, quelle da cui si sentivano più dipendenti, per una settimana. Al rientro dalle vacanze di Natale faranno un giorno a settimana, a rotazione, di black out: chi spegnerà la tv, il pc o il cellulare, chi non giocherà alla 'play' per 24 ore.



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Così sino alla fine dell'anno. È la rivincita della Net generation.

Ma a mezzanotte e un minuto di domenica, quando la prova è terminata, che è successo?

Diego risponde per tutti: "Dormivamo".

Ma qualcuno rompe gli indugi.

Lorenzo confessa: "Mi sono messo su un cd degli Iron Maiden, il metal a cui avevo rinunciato, è la mia debolezza. A volume basso, però".

Federico ha acceso il computer: "Non potevo rinunciare a sapere cosa era successo nella pagina di Lady Gaga".



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Difficile è stato organizzarsi per la serata o la partita a basket: chi ha rispolverato il telefono di casa, chi si è perso qualche amico all'appuntamento.

"Almeno ci siamo confrontati tra persone reali", osserva Filippo.

Ci tengono a non sentirsi diversi.

"Non siamo cambiati, mica siamo diventati hippies! Solo che ora sappiamo usare più responsabilmente il telefonino o il computer".

Non rinunceranno a chattare o agli sms, certo che no.

"Ma non era questo lo scopo", osserva l´insegnante. "L'idea era proporre un uso più consapevole delle tecnologie".







Edited by filokalos - 11/1/2012, 12:58
 
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