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Il Paradosso della Declinante Felicità Femminile

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view post Posted on 10/4/2010, 21:23     +1   -1
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Il Paradosso della Declinante
Felicità Femminile



Una scena tratta da "cheri" con Michelle Pfeiffer

Cominciano piene di entusiasmi e progetti.
Poi la quotidianità ne affievolisce sogni ed energie.
È il tempo della gioia perduta.
Per gli uomini il cammino è l’opposto:
dopo i 45 la vita migliora





La curva scende lentamente. Scivola anno dopo anno senza più risalire. Non ci sono picchi né crolli, ma neanche ripensamenti. La traiettoria è coerente, il declino costante.

È stata riassunta così in un grafico, con i suoi limiti e le sue forzature, con la sua inesorabile capacità di sintesi, la felicità perduta delle donne. A indagare su un sentimento sfuggente che pervade la vita femminile (insoddisfazione? Stanchezza? Senso di sconfitta? Esclusione?) è una ricerca realizzata negli Stati Uniti. Che ha messo in luce quello che sembra un paradosso: nonostante le conquiste e i successi degli ultimi trenta, quarant’anni, le donne non sono felici.

Non lo sono rispetto alla loro vita, agli uomini, a se stesse. E lo sono meno di trent’anni fa. Quando collettivamente avevano pensato che le loro vite potessero cambiare. È una contraddizione.



È “Il paradosso della declinante felicità femminile” (The Paradox of Declining Female Happiness): questo il titolo di una ricerca realizzata da Betsey Stevenson e Justin Wolfers dell’università della Pennsylvania. Uno studio che ha cercato di quantificare qualcosa d’inafferrabile, ma allo stesso tempo percepibile. I risultati hanno scatenato reazioni, spaccato in due fronti le opinioni. Perché l’indagine, che sia condivisa o meno, svela una verità rimossa. E dice quello che le donne non dicono.

Una verità nascosta che sull’Huffington Post, autorevole sito del giornalismo americano, hanno provato a raccontare così: pensate di essere nel 1969, in una qualsiasi città, ad esempio Detroit, e di chiedere ad una delle tante lavoratrici di immaginare quale potrebbe essere il ruolo della donna tra 30-40 anni. Per quanto ottimistiche possano essere state le previsioni di quella “donna della strada”, sicuramente sono state distanti da quello che poi sarebbe accaduto.

Per esempio che la moglie di uno dei presidenti degli Stati Uniti sarebbe stata per mesi, nel 2008, favorita lei stessa nella corsa per la presidenza. Che una donna sarebbe stata nominata segretario di Stato. Che John McCain, repubblicano in corsa per la presidenza, avrebbe scelto una agguerrita madre di cinque figli, nonché pilota di elicotteri e cacciatrice di alci, come suo vice. Non avrebbe mai potuto immaginare, quella signora, che per la prima volta, in ottobre, le donne sarebbero state la maggioranza della forza lavoro.

E se avessero chiesto a quella lavoratrice del 1969 se le donne sarebbero state felici una volta raggiunti questi traguardi, naturalmente “sì” sarebbe stata la risposta. Eppure non è andata così.

Secondo i ricercatori, il livello complessivo di felicità delle donne è sceso negli ultimi 40 anni. Questo calo prescinde dal fateto che le donne abbiano o meno figli, dalla situazione economica, dallo stato di salute, dal lavoro svolto, se sono sposate o single. Le donne iniziano la loro vita più soddisfatte degli uomini, mentre verso la conclusione della loro esistenza lo sono meno. La felicità matrimoniale delle donne scende al di sotto di quella degli uomini intorno ai 39 anni, verso i 41 cala la soddisfazione economica, a 44 anni le donne sono più insoddisfatte degli uomini rispetto a ciò che hanno raggiunto.





A 47 anni le donne sono generalmente meno felici della propria vita di quanto lo siano gli uomini, e la curva continua a scendere. La traiettoria è coerente, ed è coerentemente in discesa. Per gli uomini invece la curva ad un certo punto risale, e verso i 50 anni i destini si dividono.

L’infelicità dunque, come un’ombra che appare sullo sfondo di questo percorso in ascesa, che si presenta a rallentare la corsa.
Come se l’emancipazione fosse diventata un’altra forma di schiavitù. E il desiderio di fare e di farcela si fosse trasformato nel dover fare a tutti i costi, e tutto al meglio, in una società che non dà sostegni, raramente premia, e non fa mai sconti.




Chiara Volpato

Chiara Volpato, docente di psicologia sociale all’università di Milano Bicocca, ma anche promotrice dell’appello alle first ladies a disertare il summit che si è tenuto a L’Aquila a luglio, e autrice di un articolo pubblicato sul “New York Times”, “Italian women rise up”, in cui si descrive la situazione delle donne italiane all’epoca del governo Berlusconi, l’immagine femminile nell’era di “Papi”, ha così commentato: «Io non userei però la parola infelicità. Piuttosto parlerei di stanchezza, di una spossatezza che pervade la vita quotidiana. Le donne si sono accollate molti ruoli e questo oltre a rendere la vita faticosa non sempre ha pagato. Le ha portate ad avere maggiori aspettative e quindi maggiori possibilità di essere deluse. Non a caso è tra i 45 e i 47 anni che l’insoddisfazione si radica, perché lì vedi che, dopo aver investito molto nel lavoro, fatichi a raccogliere i risultati. Gli uomini arrivano al vertice, le donne no: a parità di competenze vi giungono dieci anni dopo. È chiaro poi che la soddisfazione si definisce anche in base a chi ti confronti. All’epoca della prima ricerca, nel ’72, le donne si confrontavano con altre donne, all’interno del proprio gruppo. Ora si confrontano anche con gli uomini. E vedono che le cose non vanno così bene».

Troppi ruoli da ricoprire, dalla casa al lavoro, dalla coppia alla cura di sé e dei figli. E troppa fatica. Costrette a sgomitare in una società che non si è adeguata, che è sembrata accettare i cambiamenti, ma che nei fatti non è stata flessibile. Ed eccole le donne, di volta in volta a lottare su una barricata o a resistere in trincea. Spesso sole, o con accanto uomini che più che condividere, hanno ostacolato o semplicemente subito.




Paola Mastrocola

Paola Mastrocola, insegnante e scrittrice di acute cronache di vita scolastica, ammette: «Abbiamo ampliato gli orizzonti, conquistato altri mondi, ma anche mantenuto sulle nostre spalle tutti gli altri pesi. E oggi prevale la fatica quotidiana. C’è un accumulo di ruoli che se non porta all’infelicità certo grava sull’esistenza. Le donne sono stanche e quando si guardano intorno hanno difficoltà a rispecchiarsi nei modelli che vedono, si è affermata un’idea tragica della femminilità: tutto questo zampettare mostrando il mostrabile, con un’ossessione nell’intervenire sul proprio corpo e sulle proprie rughe. Un modello frustrante sia nel caso che lo si voglia rincorrere, sia che lo si voglia ignorare».

Se questo carico di responsabilità accomuna tutte le donne, in Italia il fardello è anche più pesante. Lo dicono le statistiche con la loro essenziale verità: in Italia le donne se la passano un po’ peggio.
Il 50% delle donne che lavora ha difficoltà a conciliare famiglia e lavoro.
Una difficoltà che incide sul desiderio di fare figli: molte li vorrebbero ma poche li fanno, il numero dei nati è 40,4 ogni mille donne contro i 54,8 della Francia.
Condizioni che hanno portato il Paese ad avere il più basso tasso di natalità.
Inoltre le donne lavorano un’ora in più degli uomini, sommando il lavoro fuori e quello dentro casa, e condividono di meno con gli uomini il lavoro domestico rispetto alle altre donne europee.




Linda Laura Sabbadini

Linda Laura Sabbadini, ricercatrice Istat spiega: «Emerge nettamente, dalle nostre indagini, il problema del tempo che non c’è. Le donne che lavorano sono schiacciate e insoddisfatte del loro tempo libero. Non tanto per la qualità ma per la quantità. Le donne lavorano più degli uomini. C’è però da dire che tengono molto alla loro autonomia. Non vogliono mollare, nonostante il contesto che non fornisce sostegni e la mancanza totale di welfare».

Ma non c’è solo l’eterno problema di far quadrare vita privata e lavoro.
Questo è solo il dilemma visibile dietro il quale si nasconde l’assillo dell’identità femminile, la necessità di definire le priorità.



Paola Pierri, una che la carriera l’ha fatta, ex direttore generale di Unicredit Banca Mobiliare e ora presidente di Unidea, fondazione no profit, dice: «Io non penso che le donne siano infelici, stanno sicuramente meglio oggi che in passato. In America c’è una percezione dell’età diversa, lì è un’ossessione e una donna oltre i 50 anni ha una vita difficile. Da noi è un po’ diverso. Io credo che l’infelicità per le donne sia dovuta più alla solitudine che a una mancata realizzazione professionale. Un insuccesso sul lavoro non è vissuto come tragedia, io non vedo donne distrutte dalla mancanza di successo. Le donne spostano i loro obiettivi e hanno tanti interessi, sono quelle che leggono più libri, affollano le mostre, fanno viaggi. Per le donne però è più doloroso non avere una vita sentimentale appagante: la mancanza di un uomo, di affetti consolidati, i figli, questo le fa soffrire. Una sofferenza ancora legata a una struttura molto tradizionale delle aspettative, che porta le donne a rivedere di volta in volta le loro priorità. A chiedersi cosa devono privilegiare, se e dove
hanno sbagliato».



Un oscillare fra due mondi che potrebbe essere un punto di forza ma spesso si tramuta in debolezza. Soprattutto quando per esserci occorre adeguarsi a modelli estetici, a canoni di bellezza che col passare degli anni possono scadere nel grottesco, fino a diventare delle “Barbie-Frankstein”, come ha scritto Maureen Dowd, giornalista del “New York Times”, proprio commentando la ricerca sulla felicità delle donne.




Lorella Zanardo

Lorella Zanardo, ex manager dall’insolito percorso professionale (ha lavorato in una multinazionale, ha incarichi di consulenza all’Unione europea, ma è anche realizzatrice di un video diffuso in Rete sull’uso del corpo femminile in televisione) dice: «I media non ci fanno invecchiare serenamente. Una volta quando s’invecchiava nel bene e nel male ci si rilassava: si usciva di scena e ci si dedicava ai propri interessi. La pressione che invece oggi le donne subiscono crea disagio e stanchezza. Ci viene chiesto tempo e anche soldi per mantenerci in forma, e tutto questo non solo per essere attraenti ma anche per essere semplicemente visibili. Questo vale un po’ per tutte, ma credo che la tristezza, il senso di sconfitta, lo sentano di più quelle donne che si sono adeguate a ritmi e modelli maschili, che hanno fatto percorsi di carriera che le hanno portate a trascurare altri aspetti dell’esistenza. Ho girato molto per lavoro l’Europa e ora l’Italia perché mi invitano alle proiezioni del video. Vedo molte donne, ma mi sembra che siano più serene quelle che hanno vite più equilibrate, più lente, più femminili».




Valeria Parrella

Per le donne è un momento di bilanci. C’è il desiderio di ridefinire la rotta. Ma le giovani non vogliono sentire parlare d’infelicità.

Recentemente da un libro di Valeria Parrella, “Ciao maschio”, è stato tratto un testo teatrale, la storia di una donna che in una sola notte rivede tutti gli uomini che ha amato.



La scrittrice trentenne, dice: «Non voglio neanche pensare che invecchiando sarò più infelice. Credo anche di capire, dai miei piccoli sondaggi esistenziali, che non c’è differenza tra uomini e donne in fatto d’infelicità. E che forse, di fronte ai problemi, le donne hanno più capacità di recupero. Credo però che rispetto agli anni ’70 siamo tutti più infelici. Per me non si può essere felici vedendo i clandestini respinti, l’emergenza ambientale, questa vita politica. È il mondo occidentale a essere più infelice».

E gli uomini? Si riconoscono in quel grafico che li vede più soddisfatti?




Mimmo Calopresti

Mimmo Calopresti, regista che racconta spesso nei suoi film esistenze difficili, ai margini, riflette:
«Forse gli uomini procedono con più sicurezza, con più tranquillità. Mi sarei aspettato in questi anni di vedere le donne più forti, più protagoniste, più vincenti, così non è stato. Ma tutti siamo un po’ più infelici. C’è un’idea di futuro che fa più paura, brancoliamo nelle incertezze, c’è una mancanza di energia collettiva. A uomini e donne manca una prospettiva, una direzione. Manca un sogno che invece prima avevamo».


:sob:


Articolo Originale di
Marina Cavallieri

 
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