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Giuseppe Garibaldi (1807-1882)

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view post Posted on 8/1/2011, 19:03     +1   -1
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Giuseppe Garibaldi


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(1807-1882)

Nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia,
arricchiamo la sezione dedicata agli
Uomini che hanno cambiato il Mondo
con il patriota che più di ogni altro ne ha contribuito
in modo appassionato e tenace.
L'Eroe dei due mondi è la figura più rilevante del Risorgimento
ed uno dei personaggi storici italiani più celebri nel mondo.
È considerato, insieme a Giuseppe Mazzini,
Vittorio Emanuele II e Camillo Benso, conte di Cavour,
uno dei padri della Patria.




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Giuseppe Garibaldi
nelle insolite vesti di artigiano

Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza il 4 luglio 1807 da Domenico e da Rosa Raimondi.
Il padre esercitava la pesca e il cabotaggio con una tartana di sua proprietà.
L'aria aperta, la distesa del mare e il cielo sopra di sé: per il ragazzo non c'era mestiere più bello.
Veniva su sano e forte, ricco di impulsi coraggiosi.
A 8 anni trasse in salvo una lavandaia travolta dalla piena del fosso dove bagnava i panni.
Il padre voleva che studiasse da avvocato o da prete.
Lui, deciso a rivendicare la sua vocazione marinara, un giorno fuggì di casa: il futuro corsaro, raccolti tre compagni su una barca, fece vela verso est, alla ventura.
Lo ripresero al largo di Monaco, venne punito, alla maniera spiccia che usava allora, con una appropriata dose di cinghiate, ma l'ebbe vinta. Il primo imbarco, da mozzo, lo portò a Odessa, a 15 anni.
Nei viaggi seguenti vide cento porti, tre volte subì l'assalto dei pirati e il saccheggio del carico e fu anche ferito.
Nel 1832 conseguì il brevetto di capitano di lungo corso.
L'esperienza cosmopolita gli ispirò ideali di fratellanza universale; si riconobbe nel socialismo umanitario professato da un gruppo di sansimoniani, compagni di viaggio, che preconizzavano una società senza classi, la parità razziale, l'emancipazione femminile.
Nel 1833, a Taganrog nel mar d'Azov, un compatriota lo iniziò alla Giovine Italia di Mazzini.
Seguendone le direttive, s'arruolò nella Marina sarda, con l'intento di far proseliti. Coinvolto nel fallimento d'una congiura mazziniana, il 4 febbraio 1834 dovette salvarsi con la fuga e l'esilio, inseguito da una condanna "a morte ignominiosa".
La leggenda garibaldina nasce in Sudamerica.
L'esule vi sbarca nel 1836; là diventa uomo di guerra, a sostegno prima del Rio Grande do Sul, ribelle alla dominazione brasiliana; in seguito dell'Uruguay, aggredito dall'Argentina. Al comando di esigue flottiglie, fa la "guerra di corsa" contro i traffici del nemico.
Dal Rio Grande nel 1840 porta con sé Anita, una giovane creola rapita al marito, alla morte del quale, due anni dopo, si sposeranno.
Era già nato Menotti - settembre '40 -, cui seguiranno Teresita e Ricciotti.
Anita si attacca a lui con passione selvaggia: il bronzo di Mario Rutelli al Gianicolo, che la raffigura, splendida cavallerizza, con la pistola in pugno e un bambino al collo, dà la viva immagine di questa donna impetuosa e possessiva che col suo José condivide ogni rischio.

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Ana Maria de jesus Riberlo,
più nota come Anita Garibaldi,
viene ricordata da Roma al Gianicolo,
con una bella statua equestre
ai cui piedi sta proprio la tomba dell’eroina
della proclamazione della repubblica Romana.
L’opera è di Mario Rutelli e risale al 1932.

A Montevideo sotto assedio, i residenti di cittadinanza straniera si organizzarono anch'essi militarmente.
Nacque così, nel 1843, la Legione italiana agli ordini di Garibaldi.
Una partita di bluse da lavoro, bottino della guerra navale, fornì le uniformi.
Destinate in origine ai macelli di Buenos Aires, erano d'un rosso fiammante, che sui volontari parve insegna rivoluzionaria.
Nasceva il mito delle Camicie rosse.


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La Legione fece parlare di sé.
La battaglia sul fiume Sant'Antonio, dell'8 febbraio 1846, ebbe echi in Europa.
A Londra Mazzini esaltò i combattenti italiani.
A Firenze perfino i circoli aristocratici aderirono all'offerta d'una spada d'onore a Garibaldi.
Il 21 giugno 1848, quando la guerra di Lombardia era in pieno corso, Garibaldi sbarcava a Nizza con sessanta compagni.
Arrivava quasi a cose fatte.
Il governo provvisorio milanese gli diede il grado di generale e alcuni battaglioni di volontari; ma presto l'armistizio del 9 agosto pose fine alla guerra regia.
Garibaldi non depose le armi: occupò Varese, impegnò gli austriaci in duri scontri a Luino e Morazzone; ma il 27 agosto fu costretto a riparare in Svizzera.


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Garibaldi nella battaglia di Porta Cavalleggeri il 30 Aprile 1849

A fine anno il papa fugge a Gaeta e nasce la Repubblica romana.
Fra le gesta di Garibaldi la difesa di Roma, con i suoi bagliori e con le sue ombre, ha il fascino d'un melodramma romantico.
Egli viene preceduto dalla nomea di pirata, scorridore, filibustiere, alla testa d'una nuova legione, il cui nerbo è ancora costituito dai veterani di Montevideo.
«Metteva paura a vederli», scrive Farini.
Quattro eserciti incombono sullo Stato: austriaci, napoletani, spagnoli e la spedizione francese del generale Oudinot, diretta alla capitale.
Il 30 aprile, sul Gianicolo in fiore, la primavera romana s'accende dei colori della vittoria.
Sotto l'impeto di Garibaldi, Oudinot ripiega in rotta su Civitavecchia.
Roma in tripudio scioglie a distesa le sue campane.
Il generale francese toma, dopo una tregua d'un mese, con forze triplicate. Ventiquattr'ore prima che la tregua scada, nella notte del 3 giugno occupa di sorpresa le posizioni chiave del Gianicolo.
Segue una giornata di sangue.
Garibaldi è un gigante, al suo cenno s'infiamma una splendida gioventù, venuta d'ogni parte d'Italia.



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Goffredo Mameli

Scrive ancora Farini: «Repubblicani o no, ché molti non lo erano, non mazziniani i più, stavano stretti alla bandiera senza speranza di vittoria [...] Stentavano, combattevano, morivano per l'onore proprio, per l'onore delle armi d'Italia».
Villa Corsini è ripresa e perduta tre volte. Angelo Masina, alla testa della cavalleria bolognese, cade conducendo per la quarta volta la carica su per la scalea dei Quattro Venti.
Muore il fiore della Legione Lombarda, Daverio, Dandolo.
La resistenza dura ostinata tutto il mese.
Il 27 Giacomo Medici deve lasciare le macerie fumanti del Vascello.
Il 30 l'avanzata francese raggiunge il quartier generale di Garibaldi a villa Spada e muore Luciano Manara.
Muore anche, ai Pellegrini. Goffredo Mameli per le ferite riportate al Vascello.
Scendeva il crepuscolo sulla rivoluzione romana.
Essa aveva suscitato immense speranze e alimentato generose illusioni.
Malgrado il severo monito mazziniano - «l'assassinio non è repubblica» - aveva tollerato anche eccessi e violenze: a San Callisto si troveranno poi i resti dei preti trucidati dai finanzieri di Callimaco Zambianchi.
Ma la Repubblica, che cadeva proclamando dal Campidoglio la prima costituzione democratica italiana e il suffragio universale, consegnava ai giorni a venire il destino irrevocabile di Roma capitale d'Italia.



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Il 2 luglio, mentre Oudinot fa il suo ingresso in città, Garibaldi esce da porta San Giovanni, con 4000 uomini.
Gli cavalca a lato Anita, incinta.

Fu una spedizione disperata, col miraggio di Venezia, che resisteva ancora. Finì nella solitudine lagunare di Comacchio, con la morte di Anita. :cry:

Negli anni seguenti, prima di stabilirsi nell'isola di Caprera a coltivare la terra, l'eroe fa il candelaio a New York, il capitano marittimo in Perù, traffica con la Cina; un trasporto di guano gli merita il dileggio sguaiato del padre Bresciani («schizzate d'uccelli [...] chicchirilli di gallina [...] stronzolini di palombo [...]»).
Torna alle armi per la guerra del 1859, col grado di generale piemontese al comando di 3000 volontari, i "Cacciatori delle Alpi".
Diffidente e gelosa, la casta militare lo tiene ai margini della campagna, presto interrotta a Villafranca.
Frattanto la sua unità era cresciuta a 12.000 uomini; nessuno aveva come lui il dono d'attrarre volontari.
«Mandate le balle di seta, il negoziante parte».



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Lo sbarco a Marsala

Il 5 maggio 1860, a questo "messaggio speciale" diramato dal telegrafo, accorse nel borgo genovese di Quarto la schiera dei Mille.

La spedizione prese il mare diretta in Sicilia, col motto «Italia e Vittorio Emanuele».

Garibaldi dava inizio alla più grande delle sue avventure. L'impresa militare più sensazionale del secolo, la giudicò Friedrich Engels.

Allo sbarco di Marsala, l'11 maggio, si contarono in 1088, armati di vecchi fucili rugginosi, 20 cartucce a testa e un'artiglieria di tre cannoncini e una colubrina del XVII secolo, «lunga come la fame».

A ottobre, sul Volturno - una grande battaglia manovrata -, saranno più di trentamila, quanti Garibaldi non aveva mai comandato.

La Sicilia fu presa in tre mesi. Il 14 maggio, a Salemi, Garibaldi si attribuiva con un proclama la dittatura sull'isola.

A Calatafimi gli si fecero incontro 2000 uomini in pieno assetto e con buoni cannoni, che si appostarono su un poggio a terrazze.

Ma i Mille parevano diavoli: una terrazza dopo l'altra, amministrando le munizioni con occhiuta parsimonia, in un seguito di assalti alla baionetta tutti in salita, toccarono la cima disperati, col fiato grosso e vittoriosi.

Poi, mentre una forte colonna di mercenari svizzeri, attirata con uno stratagemma nell'interno, li cercava dalle parti di Corleone, il 27 mattina entravano di sorpresa a Palermo assaltando porta Termini e sollevavano la popolazione; a infiammare il popolo dava mano il comando borbonico con l'ordine dissennato di cannoneggiare la città.

Il 6 giugno il generale Lanza, comandante supremo in Sicilia, capitolò: i 20.000 uomini della guarnigione ebbero "l'onore delle armi" e si rimbarcarono per Napoli. Mai s'era visto spettacolo più umiliante di quei ventimila che sfilavano davanti a mille vincitori.



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Garibaldi in testa alle truppe, la battaglia di Milazzo

Le forze di Garibaldi crebbero rapidamente con nuovi volontari e con le spedizioni di Giacomo Medici, Enrico Cosenz e Agostino Bertani.
Ormai erano un vero esercito, l'Esercito Meridionale. :bravo:

A Milazzo si consolidò l'occupazione dell'isola.

Fu una giornata durissima, dove lo stesso dittatore dovette farsi largo a sciabolate.
Il 19 agosto di notte, eludendo le navi napoletane di pattuglia, passò lo Stretto.
Il 21, bombardata dalle colline, capitolò Reggio, il 31 Cosenza.
Mentre 16.000 borbonici in preda al panico gettavano le armi a reparti interi, le camicie rosse avanzavano rapidissime: il 6 settembre erano a Salerno.
Il dittatore aveva una fretta indiavolata.
C'era in corso una sfida. Cavour all'unità non aveva mai creduto, la considerava una delle tante "corbellerie" mazziniane. :blink:
E ora non accettava che fosse "la rivoluzione" a farla: «Il re non può ricevere la corona d'Italia dalle mani di Garibaldi; vacillerebbe sulla sua testa».

Pensò di fermarlo tramando a Napoli contro il Borbone, in modo di rovesciarlo prima di lui.



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L’incontro di Garibaldi con Vittorio Emanuele II
presso Teano

Fece fiasco perché i suoi emissari sapevano l'arte di corrompere ministri e generali, ma di rivoluzioni non ne capivano.

Il 7 settembre, seguito da una dozzina di compagni, il dittatore arrivava a Napoli col treno di Salerno e, in carrozza con Liborio Romano ministro dell'interno di Francesco il, attraversava la città tra un delirio di folla.

Cavour riprese l'iniziativa con una delle sue mosse da giocatore d'azzardo.

Creati degli "incidenti" al confine pontificio, mandò il re a salvare dalla sovversione il papa, togliendogli Marche e Umbria, per poi andare a prendere possesso del regno meridionale.

Non c'era altro modo, fu spiegato a Napoleone e ai conservatori di Torino, per chiudere alle camicie rosse la via di Roma.

Dopo l'incontro famoso di Teano, immortalato dalle oleografie ottocentesche, il 7 novembre Vittorio Emanuele, accompagnato da Garibaldi, fece il suo ingresso a Napoli.



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Garibaldi entra in Napoli additato come un santo



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Garibaldi fu ferito, fu ferito nell'Aspromonte... :fu fi:

Fra le truppe schierate a rendere gli onori non c'era una camicia rossa: erano tutte a Caserta dal 6, ad aspettare la rivista promessa dal re, che non si fece vedere.

Venne in sua vece un ordine del giorno di ringraziamento, dal sapore di benservito, firmato solo dall'aiutante di campo.

Come scrisse Maxime du Camp, un letterato francese che faceva parte dei Mille, sembrava che avesse agitato la sua bacchetta la malefica strega dell'ingratitudine.

Il 9 Garibaldi s'imbarcò all'alba.

La stampa ufficiale ebbe l'ordine di tacere la notizia; delle navi presenti nella baia, quelle straniere resero gli onori.

Donato un regno, tornava a Caprera portando con sé un sacco di sementi e cinquanta lire.

Nel decennio che s'apriva Garibaldi fece ancora due tentativi su Roma, incoraggiato in segreto dal governo e sconfessato all'ultimo istante.

Nel 1862 fu Aspromonte, col generale malamente ferito e tradotto prigioniero nel forte di Varignano.



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La Battaglia di Mentana

Nel '67 Mentana e una nuova prigionia.

Fra i due episodi la guerra del '66, in alleanza con la Prussia.

Garibaldi ebbe nuovamente il comando dei volontari: il suo nome serviva al governo di copertura a sinistra.

Si ripeterono gli sgarbi consueti: cattivo armamento, equipaggiamento scarso, un compito lontano dal centro delle operazioni.

Il re, Lamarmora e Cialdini presero a sgambettarsi come primedonne per contendersi il comando, e riuscirono a fare d'un lieve insuccesso a Custoza un disastro senza riparo; seguì sul mare la disfatta di Lissa.

Garibaldi fu il solo a vincere in quella campagna: Càffaro, il monte Suello, il forte di Ledro, e Bezzecca, che apriva la strada di Trento; ma con l'armistizio venne l'ordine di sgombrare il Trentino.
Mack Smith annota: «La vittoria di Garibaldi a Bezzecca e il suo famoso telegramma "Obbedisco" sono tra i pochi risultati memorabili della campagna, e la sua obbedienza tra tante difficoltà avrebbe dovuto costituire un esempio per Cialdini e per l'esercito regolare».

Nel 1870 l'Italia andò a Roma, senza Garibaldi. :o no?:
Dopo Sedan egli si offrì alla Francia repubblicana.



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Alla testa della cosiddetta Armata dei Vosgi occupò Digione, resistendo fino all'armistizio.

Victor Hugo ricordò all'Assemblea rifugiata a Bordeaux: «Fra tutti i generali francesi che hanno combattuto questa guerra solo Garibaldi non ha subito sconfitte».

Fu l'ultima campagna. L'eroe si ritirò a Caprera, di dove si allontanerà rare volte.

S'era rifatto una famiglia con la tata dei figli d'Anita, Francesca Armosino; ma per sposarla e dare il nome ai figli avuti da lei, Clelia e Manlio, dovette aspettare vent'anni l'annullamento d'un disgraziato matrimonio contratto nel 1860, che subito al termine del rito nuziale s'era rivelato un raggiro.



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Morte di Garibaldi

Garibaldi si spense il 2 giugno 1882.

Aveva disposto di essere arso all'aperto, su un rogo di legna e arbusti di àloè e mirto di Caprera, che la moglie preparò con le sue mani.

Ma Roma mise il veto, in nome, si disse, del sentimento religioso.


Si vollero esequie solenni, fra un accorrere di autorità, di dignitari blasonati e fiumi di retorica

Di tanti elogi in morte, merita un ricordo quello tributato in vita e in tempi non sospetti da un uomo agli antipodi rispetto a lui e col quale i rapporti furono sempre tesi: Cavour.




Tg2 dossier su "Garibaldi - L'eroe dai due volti"

Nell'agosto del 1860, proprio nei giorni delle trame per fermare la marcia garibaldina su Napoli, il conte scriveva a Costantino Nigra: «Garibaldi ha reso all'Italia i più grandi servigi che un uomo potesse renderle: ha dato agl'italiani fiducia in se stessi e ha dimostrato all'Europa che essi sanno battersi e morire per conquistarsi una patria».


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Edited by filokalos - 9/3/2011, 20:08
 
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