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La Circe della Versilia

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view post Posted on 13/12/2010, 20:12     +1   -1
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La Circe della Versilia

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Maria Luigia Redoli. Vistosa, platinata,
cinquantenne prorompente e appassionata di un carabiniere,
Carlo Cappelletti, che ha circa la metà dei suoi anni,
nel 1989 la cronaca la battezzò la "Circe della Versilia".
E fu quando la giustizia accusò lei e il suo giovane amante
di avere ucciso con diciotto coltellate, in una notte di luglio,
nel garage della sua abitazione a Forte dei Marmi,
il vecchio e ingombrante consorte Luciano Iacopi,
ricchissimo proprietario terriero in odore di usura.




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Fu il Giallo della Versilia, affollato di maghi e di fattucchiere, di coltellate e di misteri.

Irrisolti, per la corte d'Assise di Lucca che mando assolti i singolari amanti.

Sulla base degli stessi elementi, nel 1991 la Corte d'Appello di Firenze, consegnò invece all'ergastolo Maria Luigia Redoli e Carlo Cappelletti.

Condanna confermata in Cassazione.



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Prima pagina del libro "il Caso Circe"...
Maria Luigia Redoli, donna di mezza età, convinse il suo giovane amante, Carlo Cappelletti, un carabiniere a cavallo, ad assassinare il proprio marito Luciano Iacopi, uomo anziano, ricco ma non amato.
La Redoli, donna spregiudicata, venne definita dai mezzi di informazione la Circe della Versilia.

Un fatto di cronaca nera che ha segnato in maniera indelebile l'immaginario non solo della Versilia ma dell'Italia tutta.

Un fatto che è tornato prepotentemente d'attualità a causa degli ultimi eventi, compresa la richiesta di riapertura del processo da parte della Redoli.

Un dossier completo ed attento che ricostruisce in maniera puntuale e ricca di suspance i feroci fatti. Un'ampia e "forte" appendice fotografica che descrive in maniera diretta e cruda il crimine.



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Un matrimonio deteriorato. Una nuova passione che accende desideri di rivalsa. E sullo sfondo, un patrimonio miliardario. Il tutto condito dalla "magia". :o no?:

Sono gli elementi del giallo dell'estate del 1989, che ebbe come teatro Forte dei Marmi, la rinomata località turistica della Versilia. Un giallo che ruota intorno a pochi, ma curiosi, personaggi.

Il primo è la vittima. Luciano Iacopi, 69 anni, è un facoltoso mediatore immobiliare. È sposato con una donna molto più giovane, dalla quale ha avuto due figli. Ma il rapporto è andato in crisi: nella sua abitazione, una palazzina sulla via Provinciale, alle spalle del centro di Forte dei Marmi, l'uomo vive da solo.

Da qualche tempo ha una nuova compagna. Viene trovato ucciso a coltellate nell'autorimessa sotto casa la notte tra il 16 e il 17 luglio 1989.

La moglie di Iacopi si chiama Maria Luigia Redoli; torinese d'origine, ha 50 anni. È una donna imponente e vistosa, dal look singolare e aggressivo. Bionda platinata, indossa sempre un paio di grossi occhiali scuri. E appassionata di magia: paga astrologi e cartomanti per avere consulti e farsi fare le carte, ma anche per delle "fatture".

Lui, lei. E l'altro, come nel più classico dei triangoli amorosi. La donna infatti da due mesi ha un amante: un giovane e aitante carabiniere, un ragazzo dal fisico imponente (è alto quasi due metri) e robusto che ha la metà dei suoi anni.
Carlo Cappelletti, 24enne di Norma (Latina), dopo aver lavorato come macellaio è in servizio da quattro anni al Quarto reparto cavalleggeri di Roma.



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Maria Luigia Redoli (la Circe della Versilia) e Carlo Cappelletti,
il suo giovane amante, e complice dell'omicidio

Suo cugino, Simone Cassandra, passerà alle cronache a metà degli anni Novanta come "il mostro di Norma" dopo aver confessato l'omicidio di tre persone, fra cui un bambino di 12 anni.

La Redoli e Cappelletti si sono conosciuti a Marina di Pietrasanta in occasione di un carosello dei carabinieri a cavallo.
Dalla fine di giugno, dopo essersi procurato una frattura al braccio destro in seguito a una caduta, il militare si è stabilito per la convalescenza in un albergo al Lido di Camaiore, l'Hotel San Domingo.

E qui, dopo la morte del marito, lo ha raggiunto la donna, insieme ai suoi due figli.

Tamara, la maggiore, ha 18 anni. Sembra una "copia" della madre: ha gli stessi capelli platinati, gli occhiali neri, lo stesso modo di truccarsi e vestire.

E anche lei è appassionata di magia. Di più: pare avere «facoltà medianiche», fabbrica «sacchettini della felicità». :blink:
C'è chi l'ha vista muovere «con la forza del pensiero» una chiave poggiata sulla pagina di una Bibbia.

Infine, c'è il fratello di Tamara, Diego. Ha 14 anni, frequenta la scuola media.



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Maria Luigia Redoli piange al funerale
del marito Luciano Iacopi

I quattro - la Redoli, Cappelletti e i due ragazzi - sono sempre insieme, al ristorante come in discoteca. È la madre il "capo" indiscusso del gruppo.
La sera del delitto, un sabato, sono alla "Bussola", il celebre night delle Focette. Ne escono solo a tarda ora. E passano dall'abitazione in via Provinciale.
È Maria Luigia Redoli a scoprire, intorno alle 2 di notte, il cadavere del marito colpito più volte, furiosamente, con un coltello, al ventre e in altre parti del corpo.
Ed è sempre lei che dà l'allarme, telefonando ai carabinieri.
Considerato il notevole patrimonio della vittima, valutato in circa otto miliardi di lire fra immobili, titoli e denaro depositato in diversi istituti di credito della Versilia, le indagini si muovono inizialmente nel mondo degli affari trattati da Iacopi.
Tre settimane dopo il delitto, la svolta.
La moglie e l'amante della donna vengono fermati con l'accusa di omicidio volontario. Ripetutamente interrogati, negano ogni responsabilità.
Ammettono solo la loro relazione, che del resto è evidente, dal momento che vivono da settimane nella stessa camera d'albergo, vicina a quella dove stanno i figli di lei.



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Il luogo dove è stato ucciso nel 1989, Luciano Jacopi
marito di Maria Luigia Redoli

Qualche giorno prima, in cella di sicurezza, è finita anche Tamara.
Interrogata per l'ennesima volta su come aveva passato quel sabato sera insieme al fratello, alla madre e a Cappelletti, era caduta in contraddizione con altre testimonianze raccolte dagli inquirenti.
Trattenuta nella caserma dei carabinieri di Viareggio, dopo essersi sfogata con un pianto, rimase tranquilla per tutta la notte e l'indomani mattina ripetè la sua versione dei fatti davanti al magistrato, prima di essere messa in libertà provvisoria.
L'attaccamento di Tamara, come del fratello Diego, alla madre è uno degli elementi su cui ruota il "giallo della Versilia".
È per loro, dice la gente di Forte dei Marmi, che Maria Luigia era rimasta in casa del marito.
Dal punto di vista economico, la situazione tra i due coniugi era già stata chiarita due anni prima, con la separazione dei beni.
Alla donna era stata intestata la proprietà di due locali commerciali in viale Mazzini sempre a Forte dei Marmi, dai quali ricavava circa due milioni di lire al mese di affitto. Il marito le passava un altro milione per le sue spese.
Il resto dell'ingente patrimonio era ben saldo nelle mani di Luciano Iacopi, che nel testamento avrebbe lasciato tutto ai figli, tranne una piccola quota destinata alla moglie.



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17 luglio 1989. Obitorio del cimitero di Viareggio.
La foto del cadavere di Luciano iacopi, 69 anni

Indagando sulle spese di quest'ultima, i carabinieri scoprono che è solita rivolgersi, e pagare, dei maghi al fine di far eliminare il marito attraverso gli strumenti della "magia nera".
Fallito ogni tentativo in questo senso, poco tempo prima del delitto la donna ha dato 15 milioni di lire in contanti a un mago di sua conoscenza, affinché le procurasse un killer in carne e ossa.
Al processo, celebrato nella primavera successiva, Maria Luigia Redoli, che dopo il delitto la gente del Forte e le cronache hanno impietosamente ribattezzato la "Circe della Versilia", si difende strenuamente dalle accuse - come farà sempre - e sostiene di essere stata in qualche modo plagiata dal mago che avrebbe dovuto trovare il sicario eracconta tra le lacrime:
«Non volevo la morte di mio marito, non mi mancava nulla, uando andavo da quell'uomo [il mago] non capivo più niente, non mi rendevo conto di quello che facevo. Non fu una mia iniziativa. Fu lui che mi disse: dammi 15 milioni e ti faccio ammazzare il marito. Corsi in banca a prendere i soldi e glieli consegnai. Insomma, non ebbi il tempo di sottrarmi alla sua influenza. Solo dopo una settimana cominciai a richiedergli indietro quei soldi, non volevo assolutamente che succedesse quello che diceva lui, non volevo che accadesse qualcosa a mio marito»

Ribatte il mago: «Io influenza malefica su di lei? Per carità! Era lei che dell'idea di far morire il marito si era fatta una vera e propria ossessione».


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4 aprile 1990. Pubblico e media davanti al tribunale.
(Processo di primo grado in corte d'assise a Lucca)

L'uomo afferma che la Redoli lo tormentava con continue richieste di una "fattura" per far morire il marito, che odiava, gli avrebbe detto, «perché estremamente tirato sia con lei che con i figli. Dopo varie insistenze, dissi che c'era la possibilità di fare eliminare suo marito, però occorrevano dei soldi, una trentina di milioni di cui 15 subito. Credevo che di fronte a questa cifra si sarebbe scoraggiata, e invece mi disse che aveva parlato con la figlia Tamara e che erano d'accordo. Ho preso quei 15 milioni per dare una lezione a quella donna. Non lo dico per giustificarmi, ma in quel periodo in varie trasmissioni in tv private avevo cercato di convincere la gente a smettere di andare da maghi o astrologi per chiedere cose assurde, come far male o ammazzare la gente. Ecco, quelle persone meritavano una lezione».
La Redoli avrebbe chiesto una "fattura mortale" contro il marito («un uomo dspotico che non le permetteva una vita allegra») anche a un altro mago della zona il "Mago Lauro" il quale affermò: «Le dissi che io non facevo fatture mortali - e allora lei ribatté: "Dato che lei non lo vuol fare, allora lo ammazzo io". E lo diceva con atteggiamento fermo, inflessibile, come se stesse bevendo un caffè. Le consigliai così di rivolgersi a gente di Livorno o La Spezia con poteri malefici» :woot:
Nella requisitoria, il pubblico ministero Domenico Manzione chiede l'ergastolo per la Redoli e per Cappelletti, 25 anni di reclusione per la figlia Tamara, ritenuti colpevoli dell'uccisione premeditata di Luciano Iacopi.


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Spiega il pm: «Per Cappelletti e la Redoli, l'unica pena possibile è l'ergastolo: ho cercato a lungo fra le carte processuali qualche attenuante, ma non ne ho trovata nessuna. Per Tamara invece, oltre a quella dell'età, essa è vittima e carnefice nello stesso tempo... Non c'è nessun dubbio, c'è anzi la prova chiara che la donna e sua figlia siano le mandanti, e ci sono indizi gravi, precisi e concordanti che indicano in Cappelletti l'esecutore materiale dell'omicidio. Un omicidio col marchio di fabbrica, perché 18 coltellate inferte in gran parte quando la vittima doveva già essere crollata sul pavimento del garage della villetta al Forte, possono venire solo da chi nutriva verso di lui un odio sordo e profondo... L'uomo non era uno stinco di santo, certo, ma uno strozzino no e cerchiamo di non ammazzarlo una seconda volta in quest'aula.»
L'accusa afferma di essersi fondata su un dato ritenuto «indubbio»: la volontà omicida della Redoli e di sua figlia. A riprova di ciò, per il pm, vi è una lunga catena di elementi: le foto della vittima trafitte da spilloni, una lettera in cui Tamara parla di «morte imminente, forse domattina», le "fatture" mortali commissionate a vari "maghi" e la richiesta a uno di questi, Marco Porticati, di un killer in carne e ossa con tanto di anticipo di 15 milioni; infine la telefonata, qualche giorno dopo il delitto, in cui la "Circe" dice a Porticati «sia ben chiaro, non sono stati loro» (cioè il killer che doveva assoldare il "mago") ad ammazzare il marito e chiedeva quindi che le restituissero i soldi.
In chiusura di udienza la difesa riserva anche una sorpresa. L'avvocato Lena tira fuori dalle carte processuali la registrazione di una conversazione telefonica del 12 agosto 1989 tra un giornalista e Vittorio Grazzini, titolare dell'Hotel San Domingo. Grazzini ricorda che la sera del delitto la Redoli, che con Cappelletti e i suoi due figli aveva appena finito di cenare in albergo, uscendo
lo aveva invitato ad andare con loro alla "Bussola" e che lui aveva rifiutato perché aveva troppo da fare. Il legale esclama:
«Ma ve l'immaginate gli assassini che invitano a ballare un estraneo poco prima di andare a commettere il delitto?» :huh:

La testimonianza dell'albergatore escluderebbe non solo la premeditazione, ma anche una minima preparazione del delitto.



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Carlo Cappelletti ascoltato dai giudici durante
il processo di primo grado in corte d'assise a Lucca

L'ultimo legale del collegio difensivo a prendere la parola è l'avvocato Graziano Maffei, che punta a demolire la principale testimonianza dell'accusa, quella del "mago" Porticati. «È stata usata in modo strumentale, perché lo stesso Porticati aveva tutto l'interesse a difendersi da una possibile imputazione avendo intascato 15 milioni per eliminare Luciano Iacopi».

Rimane un ultimo elemento da chiarire: dopo il delitto, la porta della casa dove abitava Iacopi è stata trovata chiusa a chiave. Secondo la difesa, l'uomo è stato ucciso dopo che era uscito di casa, e aveva fatto in tempo a chiudere la porta.
La sentenza accoglie in pieno le tesi difensive: tutti gli imputati sono assolti. Dopo otto mesi di carcere, la Redoli e Cappelletti possono così tornare in libertà. L'ormai ex carabiniere subisce solo una condanna a due anni e due mesi per detenzione di armi, a causa delle armi e munizioni trovate nella sua abitazione in provincia di Latina.

La donna vende un memoriale in esclusiva a un settimanale, che lo pubblicherà a puntate. Ma l'illusione che tutto sia finito, lasciato alle spalle, e di poter continuare a vivere in libertà dura poco.

Nemmeno un anno dopo, nel gennaio del 1991, la Corte d'Assise d'Appello di Firenze, dopo 26 ore di camera di consiglio, ritiene il materiale processuale insufficiente per una decisione di assoluzione o di condanna e ordina a sorpresa di riaprire il processo con l'interrogatorio dei testi principali e con una serie di perizie supplementari.

Fra queste, una medico-legale circa «tempi e meccanismi aei processo digestivo gastrico della vittima» per determinare con più esattezza l'ora della morte, fissata approssimativamente «nelle ultime ore del 16 luglio 1989» : si tratta, in pratica, di rivedere i nodi centrali della vicenda, sui quali accusa e difesa avevano fornito letture opposte.

I difensori degli imputati ribattono giocando l'ultima carta a loro disposizione: l'ora esatta dell'ultimo pasto consumato da Iacopi prima di morire.



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La sera del delitto, alle 21.45, appena rientrato a casa l'uomo aveva telefonato alla sua compagna, con la quale aveva trascorso tutto il giorno a Follonica, sul litorale grossetano, e le aveva detto che non avrebbe mangiato («bevo una birra e vado a letto senza cenare»).

Se invece avesse cenato, l'ora del delitto sarebbe da spostare a dopo le 22, e questo scagionerebbe gli imputati, che più o meno alla stessa ora furono visti alla "Bussola".

Per avvalorare questa ipotesi, la difesa fa riferimento ad alcuni resti alimentari trovati nella cucina dell'appartamento della vittima nel corso di una serie di rilievi fotografici disposti dalla Corte d'Assise d'Appello.

Ma il sostituto procuratore generale Piero Mocali chiama a deporre il maresciallo Giovanni Pudda, comandante della stazione dei carabinieri di Forte dei Marmi, che il giorno dopo il delitto eseguì nell'appartamento un sopralluogo alla ricerca di resti di cibo, e che conferma in aula di non averne trovati.

Dunque Iacopi, quella sera, non cenò; e questo rimette in piedi la possibilità che sia stato ucciso prima delle 22, nel periodo di tempo compreso tra la telefonata alla compagna e l'arrivo degli imputati alla "Bussola".




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10 ottobre 1991. Carlo Cappelletti, l'amante della circe della versilia,
viene portato dal tribunale al carcere di San Giorgio (Lucca)

Ma è un altro elemento a tradire Maria Luigia Redoli e Carlo Cappelletti, un elemento che sembra tratto da un film di Hitchcock: un mazzo di chiavi.
La notte del delitto la porta di casa di Iacopi fu trovata chiusa, con tutte e quattro le mandate della serratura.
L'uomo, però, non aveva chiavi con sé: le aveva lasciate in casa, su una mensola.

Siccome la compagna confermò che quel giorno, come sempre, la vittima le aveva portate con sé, se ne deduce che la sera era rientrato a casa, le aveva appoggiate nell'appartamento e dopo essersi svestito era poi andato incontro al suo assassino. Doveva essere stato quest'ultimo, per forza di cose, a chiudere la porta.

Ora, di quelle chiavi esistevano solo altre due copie: una tenuta nel portaoggetti di un motorino parcheggiato in una rimessa chiusa a chiave e attigua a quella dell'omicidio, e l'altra in possesso della Redoli.

Quando i giudici hanno concluso che chi aveva chiuso a chiave quella porta era l'assassino, hanno firmato la condanna della donna e del suo amante. Un tassello decisivo, che «ha impedito a questo delitto di essere perfetto», come ha detto il pg Mocali nella requisitoria.
Secondo la ricostruzione che ha portato alla loro condanna, la Redoli e Cappelletti quella sera entrarono nel garage della palazzina in via Provinciale e chiamarono Iacopi, che scese dalla scala interna lasciando aperta la porta del-appartamento, dal momento che non aveva preso le chiavi con sé.

L'uomo fu accoltellato e lasciato a terra. La donna e l'amante salirono in casa per ripulirsi dalle macchie di sangue e sporcarono la maniglia della porta di casa, sulla quale rimasero delle tracce. Poi, uscendo, la Redoli con un gesto «assolutamente istintivo», come disse la Corte, dettato dall'abitudine, chiuse con tutte le quattro mandate la porta dell'appartamento, come faceva sempre.

Il tempo materiale per compiere l'omicidio c'era eccome: gli imputati hanno sempre sostenuto di essere usciti dall'albergo dove viveva Cappelletti alle 21.30 e di essere arrivati alla "Bussola" 45 minuti dopo. Iacopi alle 21.45 era al telefono con la sua compagna.
Gli stessi imputati hanno detto che erano passati nei pressi della villetta e di avere perfino incrociato un'auto dei carabinieri, che li avevano fermati per un normale controllo.
Nelle motivazioni alla sentenza, i giudici fiorentini indicano nella moglie della vittima l'ispiratrice del delitto e nel suo amante l'esecutore materiale.



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Sceso in garage su richiesta della moglie con qualche pretesto, Iacopi - si legge - «appena sbucato dalla porta di comunicazione, fu aggredito alle spalle da Cappelletti, immobilizzato e subito colpito con una lunga serie di colpi», vibrati con la mano sinistra, mentre col braccio destro l'ex carabiniere lo aveva immobilizzato.

L'ultima mazzata sul capo della Redoli e del suo giovane compagno arriva dalla Cassazione, che il 23 settembre di quello stesso anno 1991 conferma in tato la sentenza della Corte di Assise d'Appello di Firenze, ritenendola "logica e ben motivata", e indica le motivazioni a uccidere della donna nella «insofferenza per il rapporto coniugale» e nell'«aspirazione a poter disporre dei beni del marito.»
Maria Luigia Redoli e Carlo Cappelletti, costretti fino a quel momento, da 219 giorni, a una convivenza forzata nella villetta di Forte dei Marmi, devono essere trasferiti in carcere.

L'epilogo, drammatico, della loro unione si trascina per quattro giorni prima che gli ex colleghi di Cappelletti si presentino per eseguire l'ordine di carcerazione. In quei giorni, davanti alla villetta in via Provinciale si raduna una piccola folla di curiosi. Alla Redoli saltano i nervi: al secondo giorno di attesa li apostrofa con male parole, e quelli rispondono con applausi e altri insulti, a dimostrazione del pessimo rapporto tra la gente del Forte e la "Circe".



In seguito la Redoli viene dichiarata dal Tribunale civile di Lucca «indegna» di entrare in possesso dell'eredità del marito, che viene così divisa tra i due figli, Tamara e Diego.

Successive, reiterate richieste di revisione del processo per l'omicidio di Luciano Iacopi, presentate sia dalla Redoli che da Cappelletti, sono state sempre respinte dalla Corte d'Appello di Firenze.

Ma la "Circe" non si è mai arresa e continua a urlare la sua innocenza, anche dopo la fine della sua storia d'amore con Carlo Cappelletti, col quale non ha più avuto contatti dal 1995.



:hmm:


Edited by filokalos - 14/12/2010, 17:20
 
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