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Superficiali, smemorati, confusi

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view post Posted on 30/10/2010, 11:44     +1   -1
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Superficiali, smemorati, confusi

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Ecco in che stato ci riduce il web

Il giornalista Nicholas Carr aveva già detto che
Google ci rende stupidi,
ora rincara la dose e, pareri di scienziati alla mano,
sostiene che la Rete ha cancellato
la nostra capacità di «pensiero profondo».
Rendendoci frettolosi, distratti. E schiavi dei clic.




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Stiamo diventando più superficiali e smemorati, e la colpa è di Internet.


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È la tesi di Nicholas Carr, giornalista del New York Times e di Wired, nel suo nuovo saggio The shallows. What the Internet is doing to our brains (ed. Norton, $17,79), corposo approfondimento di quell'articolo del 2008, Is Google making us Stoopid?, che oltreoceano ha acceso un formidabile dibattito tra entusiasti tecnologi, tecnofobi, neuroscienziati e massmediologi.

Che succede al cervello di noi altri internauti?

Nicholas Carr, che snocciola dati e ricerche spiega: «Quando siamo online si rinforzano i circuiti neurali che usiamo per analizzare superficialmente e rapidamente grandi quantità di informazioni, e si indeboliscono quelli che ci permettono di capire a fondo ciò che stiamo leggendo. Clifford Nass, docente di comunicazione a Stanford, nel 2009 ha mostrato che le persone più vulnerabili alle distrazioni sono i media multitasker, ossia coloro che fanno uso intensivo di email, sms, siti web, social network, perché col tempo il cervello si abitua ad un processo di attenzione "dal basso", dove ogni minimo stimolo diventa importante e la scelta sulle cose da osservare o ignorare diventa sempre meno consapevole».



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Nicholas Carr

E i danni di Internet non si fermerebbero qui e Carr, per rincarare la dose continua:«Neuroscienziati cognitivi come Jordan Grafman suggeriscono che quando usiamo Internet l'attenzione si parcellizza e tanto meno siamo capaci di pensare a fondo e trovare soluzioni ai problemi. E la psicologa Patricia Greenfield della University of California, riassume l'esito di cinquanta studi sugli effetti dei media sul cervello indicando che Internet stimola lo sviluppo di capacità visuali e spaziali, ma a spese delle capacità di acquisizione di conoscenza, pensiero critico, riflessione e immaginazione».

Sotto accusa anzitutto l'ipertesto.

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Erping
Zhu

«Erping Zhu, ricercatrice di didattica informatica all'Università del Michigan, ha mostrato che la nostra comprensione di un testo su web diminuisce quanti più link sono presenti nella pagina, perché aumenta il tempo speso a decidere se seguirli o meno».
E Gary Small, docente di psichiatria alla University of California ha rilevato che chi legge testi online ha una notevole attivazione della corteccia prefrontale, area cerebrale dedicata a decidere e a risolvere problemi.



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Gary Small

«Le decisioni da prendere durante la navigazione minano la nostra concentrazione. Navigare attraverso gli ipertesti passando di collegamento in collegamento è più impegnativo che leggere un libro o un giornale, e ci lascia conoscenze meno approfondite».

La nostra vulnerabilità maggiore? La plasticità del cervello: «Col tempo, i circuiti neurali corrispondenti alle attività che facciamo più frequentemente si rinsaldano, mentre gli altri si perdono. Con il nostro uso continuo di Internet stiamo disallenando i circuiti collegati alle forme di pensiero più profondo per ijrivilegiare quelli che ci consentono di raccogliere informazioni in modo superficiale».

Ci concentriamo meno. E ricordiamo meno. «È l'effetto del web sulla memoria a breve termine, quella che accoglie le informazioni prima che queste possano essere conservate nella memoria a lungo termine. Ha una capacità molto limitata: contiene solo quello di cui siamo consci di momento in momento. Del resto non ha bisogno di molto spazio, perché quando ospita un'informazione che riteniamo utile, l'attenzione che prestiamo a quel dato fa sì che venga trascritto nella memoria a lungo termine, ed è solo a questo punto che si formano le ricche connessioni neuronali che danno profondità e rigore concettuale alle nostre idee. Ma se siamo sempre interrotti, nulla rimane lì abbastanza per completare la transizione nella memoria a lungo termine».



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Nel 2007 Jo-Anne LeFevre, direttore dell'Istituto di Scienze Cognitive dell'Università di Carleton (Canada), analizzando 38 studi sugli ipertesti, ha ottenuto risultati che sostengono le tesi di Carr.
«Gli ipertesti sovraccaricano la memoria a breve termine, penalizzando la comprensione. I rapidi cambiamenti di argomento stimolati dai link sono un ostacolo per chi legge».

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Jo-Anne LeFevre


Quali sono le forze che ci spingono verso la frammentazione del pensiero?

«Innanzitutto il valore economico dei click. Consideriamo Google: ha aumentato l'efficienza della Rete nell'informarci, ma è anche un disseminatore di distrazioni: gli esperti di user experience di Google, come Irene Au, affermano che lo scopo di Google è di attrarre velocemente gli utenti sul motore di ricerca e "mandarli via" con altrettanta velocità. Google monetizza i nostri click con i suoi sistemi di advertising: è nel business della distrazione».

Ma è quando il Web si fa sociale che diventa irresistibile: «Sappiamo che gli esseri umani provano attrazione per ciò che segnala un cambiamento. Quando poi le nuove informazioni sono messaggi da amici e colleghi il desiderio di sapere è compulsivo».

Come ha osservato lo psichiatra americano Michael Hausauer: «Sia che si tratti di Facebook o di Twitter, ciò che la Rete ci offre è un flusso costante di interruzioni: e la loro assenza può farci sentire socialmente isolati. E questo è vero soprattutto per i più giovani».

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Articolo Originale
di
Giuliano Aluffi



Edited by filokalos - 31/1/2011, 15:44
 
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