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Ritratti di Case abbandonate

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view post Posted on 8/12/2010, 17:55     +1   -1
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Ritratti di Case abbandonate

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Tracce di un mondo che scompare,
come una strana malattia...



Le case abbandonate sono tante, nascoste. La loro esistenza è accompagnata da leggende, racconti, storie da raccogliere anche attraverso le immagini, tracce abbozzate, storie che scelgono di farsi scoprire, storie nascoste che devono essere inseguite con la curiosità e l'immaginifico stupore tipico dell'infanzia.

Alessandro Scillutani e Mirella Gazzotti ne hanno fotografato tantissime, in parte ispirati dal progetto di un fotografo americano ("100 Abandoned Houses" di Kevin Bauman), in parte dal poetico lavoro di Gianni Celati, “Visioni di case che crollano”.

Il lavoro è stato presentato il 2 dicembre a Reggio Emilia, alla Biennale del Paesaggio, sotto la forma di un documentario che raccoglie ricordi di scrittori, registi, poeti, come Tonino Guerra, Pupi Avati, Marco Revelli, Antonella Tarpino, Vito Teti, i quali raccontano le loro storie, le loro esperienze di vita vissuta, le loro case e la loro memoria di case abitate e abbandonate.



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Il nostro paese è caratterizzato da un'attitudine a dimenticare, a trascurare il valore della memoria: questo lavoro documenta ciò che va sgretolandosi giorno dopo giorno. :(



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L’idea principale è di mostrare le migliaia di case che crollano nelle campagne della valle del Po come malinconici resti del passato ed anche uno tra i più sorprendenti aspetti d’un paesaggio moderno.

In un’epoca in cui si tende a restaurare tutto per cancellare le tracce del tempo, queste case portano i segni d’una profondità del tempo e così pongono la domanda: cosa fare delle nostre rovine, cosa fare di tutto ciò che è arcaico e sorpassato, e non può essere smerciato come un altro articolo di consumo?

Per l’uomo moderno la vecchiaia e la malattia sono una specie di scandalo.

Tutto ciò che crolla per vecchiaia (dalle case alle facce) deve essere sottoposto a una forma di restauro cosmetico.
C’è da chiedersi se in tutto ciò non vi sia un tremendo rifiuto del mondo, che si spande sempre più con la produzione di immagini spettacolari di consumo.
A partire dai segni del crollo nelle vecchie case della nostra memoria, si tratta di fissare lo sguardo sulle rovine e di imparare a guardarle non più come una malattia, ma come un aspetto che non è necessario nascondere con una forma di maquillage.



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Le case crollanti sono quelle che qualunque automobilista vede da ogni parte in ciò che resta della campagna: coloniche un tempo piene di vita, volumi meravigliosamente capaci e sapienti, mattoni che sapevano assorbire la luce e il calore, e che oggi appaiono come relitti o come “musei all’aria aperta, un po’ come a Pompei”.


Con inquadrature che rendono omaggio allo stupore e all’amore del mondo esterno, soprattutto quello più inerme, il film "Visioni di case che crollano" di Gianni Celati ha mostrato lo spazio disabitato intorno alle grandi case crollanti (tra il fragore dei camion che per un decimo di secondo rendono le immagini astratte e pop).


“C’è qualcuno che le guarda?” – chiede una voce nel film. “Secondo me non le guarda nessuno”, risponde uno che abita lì vicino.

E le altre risposte della gente riguardo ai ruderi, nota qualcun altro, sono in genere un po’ false: fa loro velo un atteggiamento culturale, concettualizzante e astratto, che copre le difficoltà del linguaggio e dello sguardo di fronte a qualcosa che in realtà si rimuove perché dà solo tristezza. Le si rifiuta come si fa con la vecchiaia, coi corpi (e la mente) degli anziani.




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E allora quelle case in rovina, nelle campagne anch’esse ormai invisibili, sono emblema di ciò che resiste, o che resta (è la stessa parola), come gli extracomunitari che trovano in esse rifugio.

Sono diverse di natura dal make up generalizzato dei corpi e delle immagini, del linguaggio e della vita degli adulti medi, acculturati e buoni consumatori, modellata dalla pubblicità e dalla televisione.

Quelle case sono disabitate e crollanti perché sono inutili, e furono sentite inutili nel momento in cui i contadini decisero di abbandonarle per le case nuove, quelle con l’acqua calda e corrente, quelle coi mobili nuovi.

Quando, all’epoca delle macchine fatte in serie, vendettero il cavallo del calesse.



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Si tratta di riattivare la semplice percezione delle cose poco osservate, la capacità di guardare il mondo esterno così come è.

Forse il problema di fondo è che noi non crediamo più veramente al mondo esterno, crediamo solo a un’immagine di noi stessi da proiettare in base all’estetica spettacolare dei consumi (John Berger, nel suo ultimo libro, The Shape of a Pocket, ha parlato della "grande disfatta del mondo").

È un problema che diventerà sempre più pressante, e che già ora si pone nella riattivazione di molti luoghi lasciati in abbandono e trasformati in musei o spazi culturali

Le case abbandonate fanno pensare all’infanzia e alle storie di paura, ma da adulti non ce ne accorgiamo più. :sob:




Titolo originale: Case Sparse. Visioni di Case che Crollano
Regia: Gianni Celati
Anno di produzione: 2003

Durata: 61'
sceneggiatura: Gianni Celati
fotografia: L. Borsetti, F. Crosara, M.Fabbri, F. Logullo, P. Muran, G. Rossi, M. Signorini

suono: Francesco Logullo
montaggio: Lamberto Borsetti
musiche: Tristan Honsinger, Peter Kowald, Gabrio Taglietti,Stefano Scodannibbio, Henneman String Quartet

Cast: John Berger (Il Narratore) - Bianca Maria D'Amato (L'Attrice) - Alberto Sironi (Il Regista)

Tipologia: Documentario
Genere: Ambiente, Sociale
Paese: Italia

Produzione: Stefilm International, Pierrot e la Rosa, ZDF, Arte Cinema, Infinito; in collaborazione con YLE Teema, Finnish Broadcasting Corporation, Leena Pasanen, Tele +
Post Produzione: Florian Studio di Bologna.

Formato di proiezione: BetaCam, colore
Produttore: Pierrot e la rosa - Stefilm



Edited by filokalos - 1/2/2011, 17:32
 
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