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Il tempio Museo

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view post Posted on 6/9/2010, 07:55     +1   -1
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Israel Museum - Il tempio Museo

Una nuova ala dell'Israel Museum a Gerusalemme
è stata aperta e firmata James Carpenter.
Luce, trasparenza. E memoria non solo ebraica



James Carpenter, 61 anni, nato a Washington, in qualche modo è sradicato anche lui, ma in Israele. Estraneo alle vicende politiche e culturali di quel Paese, dove anzi per la prima volta gli è capitato di lavorare, è stato lui a coordinare l'espansione dell'Israel Museum a Gerusalemme, che è stato inaugurato il 21 luglio alla presenza delle massime autorità dello Stato.
Il progettista, che ha base a New York, ed è stato selezionato, tra altri, non per concorso ma sulla base di curriculum e intervista, racconta:
«È un luogo carico di significato sin dalla sua topografia. Il campus museale sorge a Givat Ram, in cima a una collina estremamente carica di significato: vicino alla Knesset e alla Corte Suprema, alla guardia della laicità in una città sempre più in mano agli integralisti. Nello stesso spazio ritroviamo gli edifici-simbolo di politica, giustizia e cultura. La chiamano la collina della Tranquillità».



Givat Ram è particolare.

Un'oasi anche concettuale in una città aspra, dove la cultura laica fatica a difendere i propri spazi dalle crescenti paranoie del nazionalismo etnico e della tensione interreligiosa.

L'altura verde sovrasta l'antico Monastero della Croce, origini nell'XI secolo, a lungo, nell'Ottocento, seminario teologico ortodosso.

Givat Ram è pulita e ordinata, un'eco della ville-jardin europea.





Nella polvere del cantiere ancora aperto i bravi giardinieri gerosolimitani (non di rado arabi) già risistemavano i roseti.

Il 21 luglio dunque ha riaperto l'Israel Museum: scrigno di belle arti e tesori culturali o centro di public relations per la "Prussia del Medio Oriente"? L'uno e l'altro, forse.





Ha riaperto rinnovato, con una spesa di 100 milioni di dollari (oltre 80 raccolti dalla diaspora, soprattutto in Europa e Usa): 7.800 metri quadri di nuove costruzioni e 19 mila di spazi espositivi rinnovati e ampliati.
Carpenter è stato affiancato da partner locali, Efrat-Kowalsky e Lerman Architects, di Tel Aviv. Per lui, abituato alla densità urbana di New York (è autore della torre 7 World Trade Center, del Time Warner Center a Columbus Circle, dell'ingresso della Hearst Tower), è stata un'esperienza inedita. E non facile.





Il museo, nato nel 1965, era la sintesi imperfetta di autori e linguaggi diversi. La base progettuale è l'edificio creato da Alfred Mansfeld, classico pioniere askenazita, ebreo russo che aveva studiato a Berlino e Parigi ed era emigrato in Palestina nel 1935.
Il linguaggio era nettamente modernista: molto cemento armato, orizzontalità, angoli retti e protezione dalla luce, come tanti edifici di Tel Aviv.






Una delle sculture presenti
negli spazi aperti dell'Israel Museum:
Ahava ("Amore" in lingua ebraica)

Carpenter ha spiegato: «A Mansfeld si erano aggiunte altre mani e altre sensibilità. Come il Rose Art Garden, il giardino di sculture disegnato dal nippo-americano Isamu Noguchi; e naturalmente il Tempio del Libro, di Frederick Kiesler».

Il Tempio è l'attrazione speciale, con quella bassa cupola espressionista, vagamente mammellare, che contiene i Manoscritti di Qumran e un patrimonio di antichi testi religiosi, legali, sapienziali he sono, le testimonianze dell'Ebraismo. La visita al Tempio è un'esperienza nuova ala di James Carpenter emotiva, ma anche spaziale, molto intensa.

Come ammesso dallo stesso Carpenter: «Siamo intervenuti con delicatezza. Dovevamo riunire, far dialogare, creare interconnessioni. Con il direttore James S. Snyder si è deciso di integrare le parti, aprire al paesaggio esterno, migliorare la circolazione, la luminosità. Senza sovrapporci con forza».

Il contrario di tanta architettura museale di oggi, tesa all'esibizionismo dell'oggetto mediático.

Tema cruciale era la protezione dalla luce, che in Israele può essere violenta.
Sul vetro e i materiali tralucenti Carpenter ha lavorato per anni: è un esperto.
«Il museo di Mansfeld usava molto cemento e poca luce naturale. Gli spazi espositivi erano tante scatole isolate dal paesaggio. Noi abbiamo cambiato. Sui lati esposti, ovest e est, abbiamo messo molto vetro, ma schermato da griglie in ceramica estrusa, che neutralizzano la luce diretta, la filtrano con morbidezza. Un trattamento comune a tanta tradizione costruttiva del Medio Oriente».




L'Antica Gerusalemme in miniatura...




L'ingresso dell'
Israel Museum

I visitatori verranno accolti da tre nuovi padiglioni vetrati, con la riorganizzazione di tutto l'ingresso, dalla biglietteria alla ristorazione, e una nuova prò menade accessibile a tutti, cento metri di tunnel pedonale che ha alla sua destra il Garden di Noguchi e il Tempio, ed è addolcito da giochi d'acqua e vitree trasparenze. Lo spazio espositivo si è rinnovato nelle tre ali principali: l'archeologia, le arti internazionali, e la vita ebraica.

Ripensata la Synagogue Route; introdotta una galleria permanente di artisti israeliani; raddoppiato lo spazio per l'arte moderna, che ha veri tesori, da Picasso a Modigliani, dagli impressionisti a Chagall, da Dada a Magritte, da Man Ray a Rothko e oltre. Di Olafur Eliasson e Anish Kapoor, concessione alle mode, due nuove installazioni all'aperto.

Faticoso costruire a Gerusalemme? La tensione è alta. Il processo di pace irrigiditosi dopo le ennesime provocazioni dei coloni, le gaffes di Netanyahu con Obama, le minacce di Hamas e dell'Iran.

Davanti a un "quarrelsome world", come direbbe Salman Rushdie, Carpenter fa il muro di gomma giacché sono temi scivolosi: «L'Israel Museum ha mantenuto il suo ideale delle origini, come luogo del dialogo, e io ne ho tenuto conto. Le collezioni vanno bel oltre la componente ebraica, con ricche presenze islamiche e cristiane. Si è allargata la base secolare, basti pensare all'arte moderna e contemporanea. Su Israele colgo, come tutti, l'alternare di ottimismo e pessimismo. Posso dire che hanno chiamato un architetto americano, libero, neutrale. E non mi hanno mai rivolto richieste di tipo ideologico».

Architettura, scuola di diplomazia. ;)




Post Scriptum: L'Angelo della Modernità





Oggi qualcuno lo chiama campus, ma a molti israeliani il termine suona irrispettoso.

L'Israel Museum è luogo di enorme valenza simbolica. Le "Guides Bleus" lo definiscono «un santuario». Di che cosa?

Più che dell'arte, dell'identità ebraica. Tanto tempo è trascorso dal 1965 della fondazione, sindaco il leggendario Teddy Kollek, figlio dell'Austri a-Ungheria, sionista e democratico. Da anni la politica dello Stato di Israele va ricostruendo in termini ideologici la questione identità e memoria, e l'ambiguo confine tra storia e mito: dal sacrificio di Masada fino al diritto a Giudea e Samaria.





L'Angelus Novus di Paul Klee

In questo senso l'Israel Museum è un giardino di tanti fiori, vario e riposante. Il florilegio di una civiltà, tanto più fiera quanto più assediata.

I suoi tesori cominciano dal Tempio del Libro che raccoglie i Manoscritti del Mar Morto, la traccia più antica del testo biblico, punto di ricostruzione dell'ebraismo originario.

Attraversano l'archeologia e l'etnografia, la religione e la vita ebraica, fino all'arte del Ventesimo e Ventunesimo secolo.

Su tutto veglia, a braccia spalancate, l'Angelus Novus di Paul Klee, tra le più commoventi opere della modernità, col suo enigma irrisolto sulla direzione della storia: d'Israele, e dell'Occidente intero.




Articolo originale
di
Enrico Arosio

Edited by filokalos - 8/9/2010, 09:28
 
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