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Agostino Giannini - La capinera

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Andbeat
view post Posted on 28/8/2007, 06:42     +1   -1




Agostino Giannini

nato a Guardavalle. (cz)
nel 1946
residente a Massa (ms)



Un racconto pubblicato il 17\3\’03



La capinera


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Massa \ martedì 24 luglio 2001 (antefatto capinera).

(00)Franca: afferma che, raccolta e messa
in un calzino d’uomo rovesciato,
posato sulla vetrina del biroldo e del salame e del formaggio,
accanto all’unica entrata, della piccola e modesta cucina,
il centro di un via vai, il cuore del locale.

Grande poco più di una ghianda matura,
la capinera svezzata e cresciuta,
nelle povere ed anguste mura di quel cascinale,
adibito a locale per merende,
che poi man mano è diventato un ritrovo per molti artisti.

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La piccola creatura, che non ha conosciuto
né cieli né ali libere, però ad una certa ora
lancia il solito e lacerante lamento:
tin tin, cri cri, saltellando da un sostegno
all’altro della sua naturale prigione.

Eccola perciò a fare le sue proteste,
al tramonto d’ogni sera, tutte le sere,
non potendo comunicare con altri mezzi,
lancia i suoi strazianti urli,
alla gente che s’abbuffa senza degnarla di uno sguardo,
nella sua piccolissima gabbia, da quasi dieci anni,
dall’inverno all’autunno, passando per l’estate, via primavera.

Raccolta ferita, curata e messa in una gabbia,
condannata alla più crudele delle condanne.

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Essere prigioniera della salvatrice,
ignara del suo desiderio unico di libertà,
incondizionata per un volatile di appena tre grammi.
Privato di quella libertà sacra santa
che la maggior parte dei suoi simili..

Invidioso per la capacità di “volare”e delle sue maestose ali,
che un DIO, gli diede agli albori della terra,
concedendogli di non lavorare,
a patto che curasse le piante dai parassiti,
e dalle infinite malattie.
In cambio d’essere “libera” di solcare i cieli della terra,

Quel volatile spennacchiato,
in balia agli umori dei clienti
e degli sguardi invadenti,
giorno e notte,
non buono neanche
per un semplice spuntino dell’uomo.

Costretta a subire gli urli degli esseri umani,
alla ricerca di se stessi,
con un bicchiere in mano,
lontani dalla realtà a caccia di illusioni immaginarie

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Costretta a non vedere il cielo,
costretta, a subire le angherie di chi è prigioniero,
dagli uomini che nelle vicinanze
confondono perfino gli odori del mondo,
come un super visore, si aggira nella gabbia
che per amore gli hanno dato,
senza pensare né chiedere i suoi desideri antichi,
i sogni di chi non vedono il cielo,
sua antica e sacra eredità,
vanto della specie riconosciuta da millenni.

Così passa il tempo, di una prigionia,
la solitaria e triste Capinera,
nella sala degli ubriaconi perenni,
ignari dell’infinita giustificata tristezza,
soffre senz’altra speranza,
che la sola voglia di libertà cui ormai
ha perso la battaglia per la sopravvivenza della sua specie,
anche perché ormai da dieci anni in gabbia,
e non sarebbe più in grado di volare,
né di rimediare a se stessa.

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La mia unghia sporca di quel ditone,
che aveva terrorizzato la Capinera in gabbia,
in mezzo all’aria viziata
che si può trovare in una trattoria,
dove trenta persone circa,
alla fine hanno di sicuro acceso una sigaretta.

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Naturalmente a porte chiuse, inoltre,
dove tutti parlano, e nessuno ascolta
creando così una gran confusione
mista al delirio collettivo, là,
dove alla fine, tutti si sono sfogati,
con l’aiuto di “san Martino”.

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La Capinera tutta spennacchiata, ad una certa ora,
ventuno e venti circa, con rabbia
trasmette un suo messaggio in codice “volatile”,
con un cinguettio a martello: tipo, tin tin...
e come se volesse comunicare il disprezzo per l’uomo
che cieco sordo e crudele, più di tutte le creature
che vive su questa terra.

Quel martellante “tin”, confuso e celato
dagli schiamazzi dei clienti del locale
e probabili che di passaggio, sotto i fumi dell’alcool,
mentre il padrone dell’unghia si avvicina,
invadendo il suo ambiente, regalato dagli “sgherri”

Quel dito penetra, nella gabbia,
mentre la Capinera allertata le va incontro sbattendo il becco
e gonfiando quei tre grammi di paura.

Ella si lancia contro al ditone minacciosa e spettinata,
dove non ha più motivo di curarsi,
sia dentro di sé, depressa,
senza una labile speranza di volare
nei cieli infiniti che sente a lei vicini, sia pur col cuore in gola.

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Il corpo di quella mano che voleva
solo darle del cibo in regalo,
sente che avrebbe dovuto fare di più,
che dargli una mezza oliva rimasta nel piatto.

Con la fantasia entrai anch’io nella gabbia,
cercando di immaginare il suo punto di vista, ma niente.

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Non potevo mai giustificare la prigionia,
di quell’essere così piccolo fragile delicata,
impaurita dalla stessa mano che la salvò anni prima.

Ora la teneva prigioniera,
a mostrare la “sua Capinera”, vanto crudele!

Nessun vero motivo ai suoi occhi,
era plausibile e giusto, nella mente,
la mia l’anima si spiritualizzò,
sognando d’essere uno di quei moscerini
che gli ronzavano attorno e sognai di volare come loro,
poi con amarezza mi chiese se conoscessi io
il motivo di quella prigionia senza senso, se non la morte.

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Non seppi rispondere, né trovare una delle mie
intuitive improvvise “saggezze” a testa bassa
come se avessi rubato della marmellata,
con il cuore in mano, m’allontanai,
avrei voluto fare di più.

Fuori della gabbia; non era cambiato nulla.
Chiassosi come prima, suicidi,
crudeli coltivavano il disprezzo, e la loro crudeltà
solo per vizio rendeva ancora di più odiosa
la legge naturale delle cose.

Cercai di capire i pensieri,
osservando dall’alto della sua prigione.
Guardando con una certa amarezza il suo salvatore,
complice ed artefice di quella pena che non avrebbe mai meritato.

Sognando…….

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Prima di uscire dal locale, mi voltai verso quella gabbia,
e di nuovo quel brivido.
Poi ripresi il ruolo di primate malvolentieri,
e con un punto di vergogna.

Sognai ad occhi aperti, e la vidi librare
fuori di quel tugurio e dalla prigione,
volare felice sugli alberi vicinissimi,
per posare le sue piume luccicanti e pettinate,
sull’argentea betulla,
felice di poter “telegrafare” ai suoi simili,
e al mondo, la gioia d’essere liberi,
e liberi di vivere, nelle correnti aeree dei cieli,
come scintille nelle stoppie.

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Appollaiata al suo solito ed ormai consumato trampolo,
se ne sta li instabile, nella gabbia,
la nostra sventurata Capinera,
ormai avanti negli anni,
rosa dalle continue solitudini cantate in prigionia,
si difende giocando con la sua stabilità,
sul famoso e citato trampolo.

Lei gioca, come una foglia sbattuta dal vento,
cerca di vincere le forze che le si oppongono.

Alla sinistra della gabbia, un quadro,
appena abbozzato, un enorme becco,
di volatile con gli occhi rossi (uccello di fuoco)
e spaventata lo osserva, ......come dire: “tu stai meglio di me”.


I numerosi clienti allegri e felici,
senza degnare di uno sguardo la nostra eroina,
intenti a tracannare e trangugiare,
non si accorgono delle sofferenze della CAPINERA.

Sbatté le ali per protesta, le sbatte in modo appariscente,
poi perde il precario equilibrio, e sbatte come un uccellino
alla sua prima uscita dal nido, poi infuriata
si mette ad urlare nel suo linguaggio,
e con un martellante: tin, tin, cri! Cri!

Cerca invano di richiamare l’attenzione su di lei,
salta, urla, strilla, ma l’uomo ha molte cose più importanti da fare.

Come, per esempio; bere,
mangiare fino a che non esce dalle stanche labbra,
il cibo superfluo che ormai non entra più.

Lo stomaco, stanco di quel forsennato ritmo continuo,
d’ingerenza esagerata ed insulsa..

Abbassa le penne e rinuncia alla lotta,
sia per la stanchezza sia per la perdita momentanea delle speranze,
che la capinera aveva riposto negli avventori del locale.

Raggiunto il suo (appoggio) vi si appollaia,
e certa di non essere veduta, tenta di stare,
in equilibrio con una sola zampa,
mentre gli occhi quasi chiusi indicano alla mia sensibilità,
che è ora di voltare lo sguardo altrove,
oppure d’ignorarla, fino alla prossima visita.


La coppia.

Da Franca, ogni anno,
una coppia di mezza età,
viene in vacanze a San Lorenzo in Candia.

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Entrano nel locale, con passo sicuro di chi sa dove e chi salutare,
cosi dopo i convenevoli, la donna sui cinquanta,
sfoggia un sorriso verso la gabbia,
dove un piccolo essere indifeso e solo,
nell’attesa dell’improbabile libertà,
si pettina il piumaggio rimastogli,
con fare calmo saltellando qua e là sui trespoli
fra una mela e una mosca.

FRANCA! Dice la donna, ma come…. è ancora viva!
La piccola Capinera?


Franca orgogliosa si tira su il gran seno,
regalando un sorriso a tutti i presenti,
mentre con ardore, la donna gli ricorda
la disavventura del volatile caduto da un albero vicino alla casa.

La padrona che per l’ennesima volta, racconta
il privilegio d’averla raccolta dieci anni prima,
per terra, nuda, piccola quanto mezzo dito mignolo,
color carne, e senza una piuma addosso.

Orgogliosa Franca narra con emozione
i primi bocconi dati sopra la sua mano,
sentendo il tremolio, caldo, del freddo della paura,
posata in un calzino da uomo, fatto a nido,
messo sulla vetrina dei panini,
per la curiosità di tutti i clienti della (tettoia).

Franchelia ( la salvatrice)

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Capitata in un luogo sbagliato, in una vita ambientale,
non sua, fuori dei sogni, dalle aspirazioni di una donna,
che si appresta a vivere con un uomo, alta, fisico prestante,
corpo possente instancabile donna di casa,
che si domanda quale sarà il suo futuro nella famiglia.

Alta prosperosa non molto bella nei duri lineamenti,
ma dolce e tenera di cuore,
costretta a stare nell’ambiente che a lei non aggrada,
bella nei movimenti,
nei gesti intimamente femminili,
rude e dolce allo stesso tempo,
“bella di cuore” questo potrebbe essere,
il nick per una donna sicura di se stessa,
delle abitudini, dei necessari clienti
che è costretta a servire,
quando vorrebbe essere sopra un monte,
inattiva a sognare, una vita a sua misura.

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Bella nell’intimo, questa creatura,
che instancabile cerca l’approvazione
di un cuore alla sua intima portata, bella;
dicevo com’è la natura e l’amore vero,
dove i sentimenti viaggiano in prima classe,
dove conta il battito del cuore, ferito e sofferente,
non chiede altro che comprensione
e amore senza remore, l’amore divino,
che gli sfugge, al tempo che passa inesorabile,
lasciando segni nel fisico più che nella mente sublime incorruttibile.

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Colei che raccolse una CAPINERA,
colei che s’immedesima in quell’essere indifeso
delicato e sensibile da sentire il cuoricino sbattere,
nel proprio palmo della mano,
colei che con crudeltà s’immedesima
in una creatura catturata da lei stessa,
con l’intento legittimo di curare la sventurata bestiola,
per perdonarsi il limitare dei suoi sogni.

Come un boia si presenta davanti
alla sua “preda” dolce e indifesa e gli sussurra
il perché di tanta crudeltà
nel tenere in gabbia una capinera,
con la sola colpa di essere caduta
dal nido troppo presto,
per poi vedere le lacrime davanti alla tv
per un piccolo litigio fra amanti,
nelle esasperate lunghissime sceneggiate
trasmesse in molti canali televisivi,
di pessima recita e di straziante fattura.

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Bella dicevo nelle sue istintive mosse di donna
comandata dal cuore,
dolce nel raccogliere un quasi certo boccone del “gatto”
svelta nel salvare un volatile,
dimenticando se stessa alla merce
delle cattiverie degli uomini,
intenti a produrre ricchezza esteriore,
dimenticando le esigenze dell’anima,
presa tra il denaro e l’amore,
tra il cielo e la terra,
tra il virtuale ed il pratico,
il quieto vivere del nostro tempo.

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Lei padrona dei gusti alimentari degli avventori,
che ai piedi delle tonde colline del CANDIA,
si riempiono la pancia,
e non solo per modo di dire,
ma per davvero.

Vista così sorridente non si direbbe di certo,
ma osservando meglio nei momenti d’abbandono,
il suo sorriso professionale e di facciata
diventa consono alla personalità che spinge,
per venirne fuori con prepotenza,
diventando perciò più vera, più viva,
con le sue guance affilate e rosee,
nascoste dai lunghi capelli ricci neri e corvini
fino a toccare la schiena modellata e sinuosa,
nascosta dai neri sguardi, artificiali e cortesi sorrisi,
costretta a stare in un ambiente poco a lei gradito.

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Nel modo in cui prende le ordinazioni ai tavoli,
seria dolce tranquilla, con un lemma
molto comune alle persone sicure di se.

Cerca così di non mostrare l’anima,
recitando la perenne commedia,
lontana dal posto in cui si trova,
immersa nei pensieri,
da venire la voglia d’aiutarla a lottare per lei,
a costruire il mondo migliore.

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Ora che scrivo la Capinera è in cielo,
vola come avrebbe voluto fare,
e come era suo diritto,
ma non sapeva che gli uomini
sono capaci di scambiare l’amore
con la libertà modificando gli animali e la loro natura.

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